Doccia scozzese sugli insegnanti. La religione non è un'arma di P. Cor.

Doccia scozzese sugli insegnanti. La religione non è un'arma LETTERE AL GIORNALE Doccia scozzese sugli insegnanti. La religione non è un'arma Sulla scuola infausti presagi Sono un insegnante di scuola media, con trentotto anni di servizio pensionabile. E sono uno di quelli che, contravvenendo ad una «legge» che ancora non c'è di ulteriore riforma del sistema pensionistico, ha osato, in applicazione della legge in materia che invece c'e, presentare, a fine 1996, domanda di pensionamento per anzianità. Come me hanno fatto tanti altri miei colleghi. In troppi, per il governo. Per cui, specialmente nell'ultimo mese, siamo stati, ufficiosamente, posti di fronte al ricatto: ritirare la domanda o essere puniti. Verso la fine di marzo, solo pochissimi avevano ritirato la domanda ed è arrivata puntuale, e questa volta ufficialmente, la punizione: congelamento della buonuscita per sei mesi. Cosi all'umiliazione di sempre per aver percepito stipendi costantemente più bassi di ogni altra categoria, dai comunali ai regionali ai parastatali, s'è aggiunta l'offesa della punizione iniqua e in sé contraddittoria, in quanto destinata a pesare maggiormente su chi ha quarant'anni circa di servizio e meno su chi ne ha circa trenta. Tanti hanno da mesi interloquito sulla opportunità di rivedere il sistoma pensionistico, ma quasi nessuno si è posto il problema delle conseguenze che tale ossessiva discussione poteva provocare sull'organizzazione della scuola e dello stesso stato dell'economia e in particolare dei riflessi psicologici, in termini di ansietà e insicurezza, che, come una doccia scozzese, andavano colpendo quella parte di categoria docente più direttamente interessata. In tanto bailamme, mi sarei aspettato che fosse intervenuto direttamente il presidente del Consiglio per fare mi po' di chiarezza, per pronunciare quelle parole di buon senso che gli insegnanti avrebbero da lui voluto sentire per ritirare le domande, parole di impegno che la futura riforma, riconosciuti tutti i diritti acquisiti in precedenza, avrebbe riguardato solo gli anni successivi alia sua entrata in vigore. Invece niente. Un si- lenzio che ogni giorno di più si caricava di infausti presagi. Quando, poi, l'ha finalmente rotto, ha annunciato la punizione. Una punizione che suona alle orecchie dell'opinione pubblica come mia colpa rivolta verso chi intende servirsi di leggi dello Stato e non verso chi tali leggi in passato ha promosso ed approvato. Con molta umiltà, al presidente del Consiglio e alla sua maggioranza consenziente vorrei ricordare che la punizione, che è di per sé violenza in quanto espressione di autoritarismo, spesso lascia segni difficilmente cancellabili e mai, salvo qualche illusorio effetto immediato, ha alla lunga prodotto il risultato sperato (che in politica vuol dire consenso e successo). Giuseppe Ciaccio, Torino Emigranti, ciò che conta è il comportamento Spesso qualcuno ci ricorda che in passato siamo stati un popolo di emigranti, ed è vero. Nessuno però ricorda che i nostri emigranti se violavano le leggi dei Paesi ospiti venivano perseguiti severamente. Invece nel nostro Bel Paese agiscono praticamente impuniti, o rilasciati dopo pochi giorni dall'arresto, autori di gravi reati. Non si tratta di reati di poco conto: spaccio di droga, prostituzione, prossenetismo, borseggi, scippi, furti, accattonaggio e quant'altro. Basta leggere le cronache cittadine. Se fossimo uno Stato decentemente organizzato sul territorio, con leggi efficaci, una giustizia rapida ed efficiente, una dirigenza politica all'altezza della situazione, sarebbero benvenuti anche 100.000 albanesi. Giovani, sani, discreti conoscitori della nostra lingua, facilmente assimilabili, potrebbero colmare il calo delle nascite che tanto preoccupa i nostri economisti. Ma in questo Stato sgangherato no: anche solo 15.000 albanesi sarebbero un grave problema. Salvo eccezioni i maschi albanesi (Berlusconi me lo consenta) più che emigranti in cerca di lavoro mi sembrano una banda di tagliagole destinati ad ingrossare le file dei malviventi nostrani ed immigrati. Direi che sarebbe meglio fermarli sul «bagnasciuga» (se la parola non portasse male!), e rispedirli al mittente. E che nessuna anima bella «buonista» si permetta di accu¬ sarmi di razzismo: sono lieto di avere amici di etnie e religioni diverse, ed inoltre ho adottato, guarda caso, una persona extracomunitaria. Quello che conta per me è il comportamento delle persone. Enzo Alberto Lucca Torino Il bene prezioso della libertà Ultimamente ho sentito molto par lare di «religione», perlopiù in ma> niere abbastanza radicali e intolleranti. Infatti chi combatte per i propri punti di vista nella stampa come in televisione tende a non prendere nemmeno in considera¬ zione che possano essere accettabili opinioni divergenti. Così ci si combatte usando «la propria» religione, quella «vera - ovviamente! runica giusta - ovviamente!», come se fosse un'arma da brandire contro gli altri. Sarebbe ora che anche in questo Paese si applicasse il concetto di reale libertà religiosa. Una vera libertà religiosa consiste nel non vedersi messi alla berlina se si è Testimoni di Geova, nel non sentirsi accusare di «autoerotismo mentale» - e cito qui il card. Ratzinger - se si è Buddisti, nel non essere discriminati, come capita in Germania e per certi versi anche qui in Italia, se si pratica Scientology, o sentirsi messi al bando perché appartenenti a una religione di cosiddetta «minoranza». Il mondo è bello perché è vario. Molte volte ho discusso in maniera piacevole e profonda con persone di altri Paesi, con altre culture e basi religiose, e ho sempre visto come chiunque si senta libero di esprimere con tranquillità le proprie credenze sia anche automaticamente disponibile ad aprirsi e tendersi verso punti di vista diversi. Perché in fondo siamo tutti curiosi, ci diverte sentir parlare degli altri! Ma se ci sentiamo sotto attacco per le nostre opinioni o, peggio ancora, se siamo abituati a usare le nostre idee per schiacciare gli altri, sicuri di una maggioranza numerica che ci protegge, allora ogni frase diverrà una pietra da scagliare. Pensiamoci bene. La libertà, quella vera, è un bene prezioso che va difeso con l'unica arma efficace: il rispetto per gli altri e le loro idee. Linda Cornelius, Milano Gente perbene peggio delle «schiave» L'8 marzo è ormai lontano, ma mi rincresce constatare coni? da nessuna parte (Tg nazionali, regionali o locali) né sui giornali, né fra le lettere ai giornali stessi, si siano spese in quell'occasione due parole per ricordare tutte le giovani e giova nissime (io le definirei «schiave» costrette a prostituirsi sui bordi delle nostre strade a qualsiasi ora del giorno e della notte. Quanto hanno rubato gli uomini a queste ragazze in sogni per il futuro, desideri, sentimenti e dignità? E quanto «pesano», comunque, il disprezzo e l'indifferenza di tutti coloro che le considerano «solo delle p...»? Eppure, tra «quelle», ci sono ragazze di una dolcezza eccezionale e di una limpidezza d'animo superiore a quella di tante persone «dabbene». Nessuna di loro, credo, l'8 marzo ha festeggiato il fatto di essere donna... Io, come uomo, ho regalato una mimosa ad una di loro... ma non credo che il mio gesto sia stato imitato da altri. G. N., Carignano Cossiga e la mozione sul dibattito albanesi Nella corrispondenza pubblicata sul numero di mercoledì 9 aprile della Stampa con l'appropriato titolo «L'ora dei Grandi Vecchi» leggo che l'idea del governo sarebbe stata quella di far stendere al senatore a vita Francesco De Martino e a me stesso, definiti con molta generosità (almeno per quanto mi riguarda): «numi», una mozione per rastrellare il voto unanime del Senato al termine del dibattito sulla questione albanese. Invero il presidente del Senato Nicola Mancino, rivolgendosi a me come ex presidente del Senato e come senatore a vita, chiese la mia disponibilità ma non come persona gradita né alla sinistra né alla destra - che in questo caso io non avrei accettato - ma come persona super partes gradita a entrambe. Io non considero disdicevole né essere di sinistra né essere di destra, né essere gradito alla sinistra né essere gradito alla destra, ma sol che la cosa fosse vera e non fosse invece un giudizio arbitrario di p. cor. sen Francesco Cossiga Non considererei disdicevole essere super partes sol che la cosa fosse vera. [p. cor.]

Persone citate: Berlusconi, Enzo Alberto, Francesco Cossiga, Francesco De Martino, Giuseppe Ciaccio, Nicola Mancino, Ratzinger

Luoghi citati: Germania, Italia, Lucca, Milano, Torino