Cia contro ambasciata Usa per colpa di Berlinguer

Cia contro ambasciata Usa per colpa di Berlinguer Una vicenda del 1980 svelata nel libro di un protagonista di allora Cia contro ambasciata Usa per colpa di Berlinguer WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Nei primi mesi del 1980 la Cia si adoperò per far entrare il pei nel governo, convinta che la rottura con Mosca fosse ormai definitiva e il partito di Berlinguer potesse dare maggiore stabilità al Paese. Ma il Dipartimento di Stato era contrario. Ed era contraria l'ambasciata di Roma, guidata da Richard Gardner. Il braccio di ferro durò fino alle elezioni presidenziali di quell'estate. Poi la vittoria di Ronald Reagan mise fine al progetto. E' lo scenario tratteggiato da Duane Clarridge, capo dell'ufficio romano della Cia dal 1979 al 1981, nell'autobiografia uscita in questi giorni negli Stati Uniti [A spyfor ali seasons: my life in the Cia, Scribner). Ed è uno scenario che si riduce essenzialmente al duello serrato tra Clarridge e l'allora ambasciatore americano a Roma, Richard Gardner. Clarridge è un old boy della Cia, uno di quegli agenti reclutati nelle migliori università dell'East Coast negli Anni Cinquanta, quando il quartier generale di Langley ancora non esisteva e l'Agenzia era sparpagliata in varie sedi lungo il Potomac. Fu silurato dalla nuova guardia nella scia dello scandalo Iran-Contras, e poi perdonato quando George Bush, ex capo della Cia, divenne Presidente. Ma Clarridge non ha il dente avvelenato. Ha fatto la vita avventurosa che scelse dopo l'università, gestendo l'attività spionistica americana in Nepal, India, Turchia, Centro-America e appunto in Italia, dove arrivò nel 1979 pieno di illusioni sulla bella vita romana. «Fu un triste risveglio. Chi arriva a Roma dall'Africa o dal Medio Oriente subito si accorge di essere ripiombato nel Terzo Mondo. La città è più simile al Cairo che a Londra. Il traffico è tremendo. Le faccende più banali, come il pagamento del conto dell'elettricità, diventano insormontabili: sei costretto a fare file interminabili alla posta. E poi i romani, così arroganti e chiusi nelle loro cricche e conventicole». L'atteggiamento di Clarridge nei confronti del partito comunista era decisamente più benevolo. Così mise a punto un piano in tre fasi che doveva culminare con una rottura totale del pei con Mosca «e la benedizione degli Stati Uniti alla partecipazione dei comunisti al governo». Certo, la sinistra del partito non avrebbe accettato, riconosce Clarridge, ma anche se la leadership moderata di Berlinguer non avesse prevalso «avremmo forse ottenuto una spaccatura del partito, che sarebbe stata comunque utile». Nel frattempo l'ambasciatore Gardner («Era un tipo intelligente ma anche un po' piagnone. E sia lui sia la moglie erano innamorati del partito socialista») tesseva una trama completamente diversa, che doveva portare il psi alla guida del governo. Dice Clarridge: «Non avevo nulla contro i socialisti. Era Gardner, piuttosto, che si opponeva al mio piano di tirare il pei completamente fuori dell'orbita sovietica. Uno scenario del genere per lui era inaccettabile perché avrebbe voluto dire che i suoi amici socialisti sarebbero rimasti tagliati fuori nella giostra politica italiana». Gardner non era l'unico all'ambasciata a non vedere di buon occhio gli intrighi di Clarridge, il quale tutto era fuorché un fine diplomatico. Il consigliere politico Robert Frowick (oggi ambasciatore americano all'Osce) non si fidava affatto. E neppure il vice di Clarridge, Bob Paganelli, era così convinto. Ma Clarridge insisteva, «Ero deciso a strappare il pei all'Urss una volta per tutte», scrive con spavalderia. A Langley i vertici della Cia seguivano la schermaglia con un po' di perplessità - Clarridge aveva la reputazione di essere uno di destra, un anti-comunista convinto, e dunque come mai faceva il tenero con il pei? - ma con sufficiente interesse per far circolare la proposta al Dipartimento di Stato proprio nei giorni in cui Gardner era a Washington per sostenere Bettino Craxi. «Quando tornò a Roma, Gardner pareva apoplettico», scrive Clarridge. Arrivò giusto in tempo per partecipare a una colazione di lavoro con il capo della Cia in Europa, Alan Wolfe, Paganelli e Clarridge. «L'incontro fu molto aspro. Wolfe appoggiò il mio piano. Paganelli faceva l'arbitro. Non riuscimmo a metterci d'accordo. Avrebbe deciso Washington». Ma Washington non decise. Le discussioni furono sospese durante la campagna presidenziale. Jimmy Carter perse le elezioni. Alla Casa Bianca andò Ronald Reagan. «Ed era chiaro che la nuova squadra aveva ben altre idee su come bisognava trattare con i comunisti». I socialisti arrivarono alla guida del governo tre anni dopo. «E così Gardner vide il suo desiderio esaudirsi», conclude Clarridge, un gentleman spy alla vecchia maniera che alla fine, dopo tutti questi anni (e ora che a guidare l'esecutivo sono gli ex comunisti) concede volentieri l'onore delle armi all'antico rivale. Andrea di Robilant Così l'Intelligence anticomunista si batté perché il pei entrasse al governo. Ma Gardner parteggiava per Craxi sso to e dner Una vicenda del 1980 svelata nel libro di un proON ORRISPONDENTE si del 1980 la Cia si ar entrare il pei nel vinta che la rottura se ormai definitiva Berlinguer potesse e stabilità al Paese. mento di Stato era era contraria l'amoma, guidata da Rir. Il braccio di feralle elezioni presiquell'estate. Poi la onald Reagan mise to. rio tratteggiato da dge, capo dell'uffiella Cia dal 1979 al utobiografia uscita Ecodgar Enrico Berlinguer: la Cia era convinta che il pei desse le maggiori garanzie di stabilità al Paese. In alto l'ambasciatore Richard Gardner Nella foto in basso Bettino Craxi, che era sostenuto dall'ambasciatore americano Gardner e da sua moglie