I23 centimetri persi da Venezia

123 centimetri persi da Venezia 123 centimetri persi da Venezia POCO meno di due anni fa, proprio su questo giornale, «il prolungamento indefinito delle discussioni sulle opere di difesa di Venezia e di riequilibrio della laguna» era stato denunciato da Mario Fazio come «non più sopportabile». Ora è arrivato (ed è già alle nostre spalle) il trentennale del tragico 4 novembre 1966, giorno in cui la città lagunare venne messa in ginocchio da un'acqua alta di 1 metro e 94 centimetri, la più catastrofica da due secoli a questa parte. Tra i riti della mesta ricorrenza, uno più degli altri sarà forse servito a scuotere gli animi, soprattutto dei giovani: la mostra «Laboratorio Venezia», tuttora in corso nelle sale del Museo Correr. Una mostra che, senza volerlo, finisce per essere anche una messa in mora dei responsabili di ogni ulteriore lacerazione scientifica, ritardo politico o pastoia burocratica. Nelle immagini e nei tabelloni didattici (perfino «scolastici», e ben venga la comprensibilità per i non addetti ai lavori!) c'è tutta la dimensione di una crisi ambientale che, trattandosi di Venezia, è certamente la più grave del nostro Paese; e nello stesso tempo la dimensione di un'impresa scientifica e tecnologica che, se pienamente realizzata, sarà una delle più complesse e impegnative di questo scorcio di millennio. I termini della crisi sono una specie di bollettino di guerra. Venezia si e «abbassata» in un secolo di oltre 23 centimetri a causa di fenomeni congiunti della subsidenza e dell'eustatismo, cioè dell'abbassamento del suolo e dell'innalzamento del mare. Fra il 1950 e il 1970, anni di maggior cecità ecologica, l'estrazione dal sottosuolo di acqua per scopi industriali ha fatto «scendere» Marghera di 12 centimetri e Venezia di 8. Così, se all'inizio del secolo Piazza San Marco - il punto più basso della città - si allagava sei o sette volte all'anno, ora succede anche quaranta volte. La laguna è un organismo morfologicamente violentato, non più in grado di mantenere in equilibrio gli opposti fenomeni della sedimentazione e dell'erosione. Ogni anno perde fino a un milione di tonnellate di sedimenti a favore del mare. Barene e velme (i caratteristici fondali appena affioranti dalle acque) si sono ridotte alla meta della superficie che avevano all'inizio del secolo: da 90 a 45 chilometri quadrati. Si punta il dito, fra l'altro, sulle casse di colmata create a Marghera per il polo industriale; sulla profonda ferita che fu, alla fine degli Anni Sessanta, lo scavo del «Canale dei Petroli») per fare arrivare le grandi petroliere a Porto Marghera. Di petroliere, in laguna, ne pasà sano ogni anno §k 1200, trasportaliÉm. do 12 milioni di III tonnellate di projHH dotti petroliferi: un agguato mortale per Venezia, invano denunciato. Poi, l'inquinamento: ogni giorno 3 milioni e mezzo di metri cubi di acque di scarico industriale, più gli apporti del bacino scolante dell'entroterra con i fosfati delle colture agricole e zootecniche. Potrebbe essere immaginata una macchina più perversa per la morte di Venezia? E trent'anni di progetti e di discussioni sono arrivati a contrapporre un «sistema» coerente e globale di rimedi? Nelle sale del Correr, al di sotto dei tabelloni e dei grafici si sentono covare ancora i tizzoni del dissidio scientifico, intellettuale e politico. Ma c'è anche l'impressione che tutto quanto si poteva studiare, approfondire e discutere è stato studiato, approfondito e discusso. Che la scienza, su Venezia, ha detto tutto, e a volte anche il contrario di tutto. Ora bisogna tirare le somme. Il tempo della gestazione è finito. C'è sul tappeto, a difesa dalle acque alte eccezionali, una gigantesca opera di sbarramenti mobili alle bocche di porto, i tre varchi (Lido, Malamocco e Chioggia) che mettono in contatto la laguna con il mare, Si tratta di una schiera di paratoie incernierate sul fondale delle bocche, da sollevare sfruttando la spinta di galleggiamento in caso di acque alte superiori al metro, in modo da fare argine temporaneo al mare. L'opera, probabilmente la maggiore mai concepita dall'ingegneria civile italiana, è stata progettata dal «Consorzio Venezia Nuova», concessionario dello Stato per gli interventi a salvaguardia di Venezia. E c'è sul tappeto una progettualità, a sua volta imponente, che mira al riequilibrio idrologico e morfologico generale della laguna e al suo disinquinamento. Dalle tante polemiche sono stati comunque partoriti un cospicuo allargamento del problema e un'enorme massa di documenti scientifici. E di interventi, nel frattempo, ne sono stati fatti, sia ad opera dello Stato sia dalle istituzioni locali: tra gli altri il rinforzo di chilometri di litorali e la ricostituzione di barene, mentre si ò riavviata dopo trent'anni di inerzia la sacrosanta pratica della pulizia dei 170 ini veneziani dai depositi di fango. Entro l'anno si conoscerà il destino della grande diga mobile sommersa. Si sarebbe dovuta realizzare fra il 1995 e il 2003, con un costo di 530!) miliardi. Non è stato così. Nell'ottobre del 1994 il Consiglio superiore dei lavori pubblici ha approvato il progetto di massima, già concluso da alcuni anni anche nella sua fase sperimentale con un prototipo denominato «Mose». Ma è stata voluta ancora una valutazione di impatto ambientale. La sentenza è attesa per i prossimi mesi. E allora: o l'idea delle paratoie si butterà a mare, 0 esse serviranno contro il mare (non prima di una decina d'anni). Purché, Venezia, finalmente, da laboratorio diventi cantiere globale. Roberto Antonetto

Persone citate: Mario Fazio, Roberto Antonetto