La crisi dichiarata o no si aprirà di fatto domani alla Camera

La crisi dichiarata o no si aprirà di fatto domani alla Camera La crisi dichiarata o no si aprirà di fatto domani alla Camera brio politico. Le elezioni sarebbero un'enormità: l'immagine intemazionale dell'Italia ne verrebbe devastata, si perderebbe l'appuntamento europeo, salterebbe di nuovo la prospettiva delle riforme e questi risultati, di conseguenza, squalificherebbero l'intera classe politica. Eppoi si andrebbe a votare con lo stesso sistema elettorale che, messo alla prova due volte, ha dimostrato di non essere in grado di assicurare la governabilità. Ai cortei degli imprenditori, dei magistrati, si aggiungerebbero quelli di altre categorie e sarebbe pronta la scorciatoia Ma ci staranno alla sfida Gabriele Albertini e Aldo Fumagalli? Il candidato del Polo manda a dire che «da domani al 25 aprile sono previsti 16 appuntamenti pubblici ove i tre candidati più accreditati si confronteranno». Inutile, perciò, aggiungere il duello numero 17 nel chiasso della piazza «come accadeva al¬ cuni anni fa in alcuni collegamenti televisivi». La pensa così anche Fumagalli. «Valuterò la proposta - dice ma trovo curioso che Formentini voglia il confronto in una grande piazza perché il rischio è quello che si crei un clima di stadio, poco utile a un serio e proficuo dibattito», lu. b.] per passare dalla seconda Repubblica alla terza, quella dei Di Pietro o di qualche altro uomo del destino. Varrebbe quindi la pana seguire un'altra strada, .alvaguardando ancora una :olta il ruolo della politica. Nella «crisi» che - dichiarata o no - si apre di fatto mercoledì, un governo di minoranza può gestire l'ordinaria amministrazione, nulla di più. Nel contempo, però, può dare alle forze politiche la possibilità di confronti rsi sulle grosse questioni chi verranno al pettine da quia giugno L'Ulivo dovrà verificare con Rifondazione se, come ha detto ieri D'Alema, lo scontro sull'Albania è «la metafora di una difficoltà più generale/» che riguarda anche la riforma dello Stato sociale, l'ammodernamento delle istituzioni e una nuova legge elettorale. Sempre in queste settimane ci si potrà anche rendere conto se gli stessi terni potranno essere affrontati c risolti da una maggioranza più grande, che si ponga l'obiettivo di portare l'Italia in Europa c ammodernare le nostre istituzioni lasciando da parte 2goismi di partito o d'azienda Al termine di questo percorso si tireranno le somme sperando che questa classe politica non voglia ragionare a «babbo morto» su come è finita la nostra democrazia Augusto Minzolini ROMA. Termina come era cominciata, all'insegna della massima confusione, l'ennesima puntata del tormentone albanese: a 24 ore dal voto del Senato non si sa ancora quale sarà la maggioranza che voterà per la missione italiana. Il tentativo portato avanti dall'Ulivo, con il beneplacito di Silvio Berlusconi e del ccd, di ottenere un «sì» esplicito e comune di Polo e centro sinistra si è infranto sullo scoglio-Fini. Il presidente di An non è disponibile a prendere parte ad una votazione che potrebbe avere come risultato quello di agevolare il governo. Morale della favola: sull'Albania non si spacca solo la maggioranza, da cui si defila Rifondazione, ma anche il Polo, che stamani terrà un vertice per tentare di ricomporre le divisioni. E' il degno finale di una giornata di convulse trattative: è tutto un susseguirsi di telefonate, abboccamenti e riunioni. In mattinata, nella sede di Rifondazione si svolge la direzione del partito, che riconferma il «no» alla missione. Franco Giordano, esponente della segreteria, denuncia «pressioni» di esponenti del governo su singoli parlamentari del prc. I personaggi contattati senza successo sarebbero stati Tiziana Valpiana e Niki Vendola (che sarebbe stato cercato dallo stesso Massimo D'Alema). Molte telefonate all'indirizzo di alcuni parlamentari sarebbero partite anche da Palazzo Chigi. Suppergiù nelie stesse ore in cui si svolge la direzione del prc si incrocia una serie di contatti telefonici. Il sottosegretario Enrico Micheli ha un colloquio con il segretario del ppi Franco Marini. «Siamo in uno stato di crisi e a questo punto - gli dice - le strade sono due: o muore Sansone con tutti i filistei, oppure il Presidente della Repubblica ci può rinviare alla Camere dove Prodi otterrebbe un nuovo voto di fiducia». Ed è proprio questa seconda ipotesi a tentare il capo del governo, che in con untra il lea Omeglio, a «babbo morto». Anche il Professore sta tentando di mettere in piedi una strategia di difesa che, però, in un modo o nell'altro si riduce sempre alla solita politica dello struzzo: il capo del governo si rifiuta di ammettere che la sua maggioranza non c'è più, e nella sua ostinazione è pronto a ridurre la nostra politica estera, la decisione di inviare un contingente militare in Albania, alla stregua di un provvedimento di normale amministrazione, come l'istituzione di una nuova lotteria nazionale o di una nuova tassa sul «gratta e vinci». Che questo sia il modo di ragionare del Professore lo si arguisce dalla posizione che ha assunto nell'incontro con i capigruppo della sua maggioranza. «Con il no di Rifondazione - ha spiegato - si è creata una situazione molto seria. Bisognerà procedere ad una verifica che comprenda anche un passaggio parlamentare. Io, comunque, sono indisponibile a qualsiasi altro scenario che prescinda dalla mia maggioranza». Allora, Prodi ha preso davvero il toro per le corna chiedendo una verifica parlamentare con Bertinotti? Neanche per idea. Semmai il premier, toccando il culmine del trasformismo, vorrebbe mercoledì prossimo approvare la missione in Albania con i voti del Polo, eppoi, addi-

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