Se la tragedia incombe i politici si dileguano di Filippo Ceccarelli

Se la tragedia incombe ipolitici si dileguano F IL PALAZZO =1 Se la tragedia incombe ipolitici si dileguano UANDO, viste le brutte, un personaggio pubblico, un uomo politico, un governante si sottrae alle proprie responsabilità e sparisce dalla scena, restano di solito nella memoria e negli archivi scuse bizzarre e spie-' gazioni perloppiù stranianti. Così, durante la rivolta universitaria del marzo 1977, Enrico Berlinguer, che pure era Berlinguer, si fece venire un'indigestione di datteri, e quindi il rapporto al Comitato centrale del pei lo tenne qualcun altro. Più o meno allo stesso modo, nel 1983, per non partecipare al meeting di CI Pertini accusò una distorsione della caviglia. Nel 1992 il povero Goria, allora alle Finanze, si fece sorprendere alle isole Comore da uno di quei drammatici dilemmi fiscali che di tanto in tanto affliggono milioni di contribuenti. Ci vollero giorni, con rabbiose file che uscivano dagli uffici postali, per ottenere qualche segno dal lontanissimo ministro. Né soggiorni esotici, in questi tempi, né speciali malesseri per il titolare della Difesa Andreatta che invece di precipitarsi a Brindisi dopo il naufragio, degli albanesi veniva segnalato, in mirabile distanza psico-geografica, alla mostra genovese di Van Dick. Ora, è probabile che in futuro anche la tempestività pasquale di Andreatta, questa sua benemerita sollecitudine a sfondo artistico entri a far parte dell'aureo repertorio di stravaganze dette, fatte o sottoscritte dai politici sotto la spinta dell'imbarazzo, della paura o del quieto vivere. Magari insieme alla giustificazione dell'indimenticabile ministro Maroni, trovatosi a firmare il decreto Biondi senza averlo letto. Ma pur mettendo nel conto l'inevitabilità del grottesco, forse vale la pena di fare un pensierino più generale su come, di fronte alla tragedia, una classe politica tra le più ciarliere ed esibizioniste del mondo si sia eclissata. Proponendosi a un'opionione pubblica ormai assuefatta a) rumorio di fondo sotto forma di sottrazione, assenza, silenzio, fuga, vuoto, nulla. Perché sì, certo, la Pasqua, l'abbacchio e le vacanze. Ma a parte Berlusconi - non a caso un uomo della comunicazione - è proprio la comunicazione, questa specie di infallibile divinità su cui i politici calibrano spudoratamente ogni loro mossa, che è stata sospesa quando più ce n'era bisogno. Così, di colpo, è sparita la bonomia rassicurante di Prodi, s'è spento ogni vibrante appello di Scalfaro, è mancata qualsiasi asprezza pedagogica di D'Alema, s'è eclissato il buonismo veltroniano, si è volatilizzato il buonsenso nazionale e finiano, e pure le loquaci ministre del pds - da cui sulla tragica sorte di tante donne qualcosina ci si poteva aspettare - se ne sono state zitte, stavolta. E la più netta impressione è che tutti hanno taciuto, o addirittura sono spariti dalla circolazione, non per prudenza, o dolore, ma soprattutto perché non sapevano cosa dire, o non potevano dire quel che pensavano, o non gli conveniva farlo per primi. Un «difetto di presenza» l'ha chiamato generosamente D'Alema. Un terribile e sintomatico black-out, viene da pensare, che per la prima volta, anche tecnicamente, ha messo in evidenza la furba insicurezza di leader altrimenti linguacciuti e invasivi, sempre più disposti a riempire fatui contenitori e soporiferi talk-show. Ebbene, nulla più di questo loro remoto silenzio, nell'angosciosa Pasqua albanese, è sembrato illuminare l'auto-ostentazione e il vaniloquio di sempre. Solo in questo, purtroppo, è forse servita la disfatta dei chiacchieroni. Filippo Ceccarelli elli | WS*

Luoghi citati: Brindisi, Comore