Algeri dichiara guerra a barba e velo
Algeri dichiara guerra a barba e velo Confiscati i documenti a chi non si rade, alle donne viene strappato il «khimar» Algeri dichiara guerra a barba e velo Polizia in azione contro i simboli dell'integralismo ALGERI NOSTRO SERVIZIO Ritorno della caccia alle facce? Provocazione gratuita? Eccesso di zelo delle autorità algerine con l'avvicinarsi delle elezioni legislative? Da una quindicina di giorni gli agenti di polizia, appostati vicino alle più grandi moschee della capitale o nei dintorni, hanno ripreso una vecchia abitudine: come nel 1993, dopo la messa fuori legge del Fis (Fronte islamico di salute), se la prendono con i barbuti. Quattro anni fa non esitavano a raderli sul posto, ma i metodi della polizia si sono «addolciti». Ora i poliziotti si accontentano di confiscare la carta di identità ai portatori di barba. Che esse siano folte o appena accennate, importa poco. Per potere recuperare il documento, gli uomini devono presentarsi in commissariato rasati di fresco. Quanto alle donne algerine che portano il «khimar», il velo tradizionale, gli agenti non esitano a strapparlo loro con il pretesto che i terroristi girerebbero nella capi- tale travestiti da donna. Queste misure vessatorie hanno choccato una parte della popolazione, ma il partito islamico «moderato» Hamas, che ha due rappresentanti in Parlamento, è al momento la sola organizzazione politica ad a*'er reagito ufficialmente contro quella che in un comunicato ha definito una misura di fatto «irresponsabile e provocatoria» e nella prassi «in¬ costituzionale». Com'è sua abitudine, Hamas - su cui si è riversata una parte dell'elettorato dell'ex Fis - sa misurare le proprie critiche. Se infatti denuncia «il deterioramento e la deriva di certi organismi che per propria natura dovrebbero rappresentare e far rispettare le leggi», il movimento di Cheikh Mahfoud Nahnah si prende cura di aggiungere che queste sbavature intervengono «nel momento in cui il Paese si prepara a reinstallare le istituzioni costituzionali». Hamas ha dunque domandato «alle autorità nazionali di interrompere questo comportamento che non fa che esacerbare una situazione già precaria e che rischia di ostacolare l'uscita dalla crisi». La Lega algerina dei diritti dell'uomo, pur vicina al gover- no, è intervenuta a sua volta per «difendere le libertà individuali e la libertà dei cittadini». Essa ha chiesto al ministro degli Interni di «punire i responsabili» di questa offensiva anti-barbuti. Critico con l'imbarazzata prudenza della stampa algerina, che si è limitata a pubblicare senza commenti il comunicato di Hamas, il quotidiano «Liberté», considerato vicino al Raggruppamento per la cultura e la democrazia di Said Saadi, ha pubblicato un articolo prendendo le parti della polizia. Il giornale non si è curato di negare i fatti e precisa; «Fonti da noi interpellate vicine alle autorità hanno confermato l'esistenza di misure decretate nei confronti del movimento Hamas». Ma, prosegue l'articolo, queste misure non hanno nulla di illegale: «Risulta che le autorità stanno semplicemente applicando un decreto promulgato nel 1993 da (ndr: l'ex primo ministro) Belaid Abdesselam e che vieta la pubblica ostentazione di appartenenza ai movimenti islamici». Il decreto certamente esiste, ma le attuali autorità algerine lo utilizzano con molta elasticità. Denunciato a suo tempo dall'opposizione come «liberticita», il testo della nonna di Belaid Abdesselam vietava tale ostentazione nella pubblica amministrazione e sui posti di lavoro. Proprio basandosi su quel decreto il potere aveva potuto licenziare da un giorno all'altro numerosi funzionari pubblici. Ma, mai, esso era stato fino ad oggi, almeno ufficialmente, utilizzato per costringere a radersi gli algerini trovati in strada. Jean-Pierre Tuquoi Copyright «Le Monde» e per l'Italia «La Stampa» La barba lunga tra gli uomini islamici, come il volto coperto tra le donne, viene considerata il simbolo più esplicito dell'ortodossia religiosa
Persone citate: Cheikh Mahfoud Nahnah, Saadi, Said
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