«Questo governo durerà»

rodi: la missione, un dovere morale «Questo governo durerà» rodi: la missione, un dovere morale «Il mio è un appello morale senza alcun significato politico». Parla e sorride. Romano Prodi, sottolineando quell'aggettivo - mo-ra-le mentre se ne va sull'eco di un discorso («Questo è un governo che vuole durare») che suona come risposta chiara a tutti gli aruspici della crisi. Non fa nomi, Prodi, che sia Fausto Bertinotti il ) destinatario numero uno di tanto messaggio, nessuno ha dubbi. Bertinotti e con lui tanti altri, dentro e fuori la maggioranza, dentro e fuori l'opposizione. Non fa nomi, Prodi, ma affronta di petto l'argomento: «In questi giorni c'è chi ironizza, chi scommette sulla caduta del governo, chi dice che anziché sull'Europa questo governo cadrà sull'Albania». Pausa, la faccia che si fa seria, la voce che si alza quel tanto che basta mentre la testa vorrebbe far segno di no: «Questo governo non è nato per orizzonti di breve periodo ma ha un j piano di lunga durata. Oggi non possiamo disgiungere la questione albanese dalla questione europea, l'Albania è Europa e non ci può essere una dignitosa presenza dell'Italia in Europa se non siamo capaci di gestire un problema regionale come quello albanese». Su questo è esplicito Prodi. Dice: «Non possiamo ritirarci di fronte a un compito che non è militare, ma di responsabilità democratica. Per la prima volta c'è stato affidato dall'Europa un comando di pace, non possiamo sottrarci». Strano sabato di vigilia, questo di Romano Prodi. Lunedì si vota sull'Albania. E mezzo Parlamento è dirottato qua e là a far campagna elettorale con i big impegnati in comizi di fuoco, Bossi a Milano, Bertinotti pure, Berlusconi non si sa, e lui, il presidente che molti vogliono traballante, che ruba tempo al riposo bolognese in famiglia per venirsene qui a Dalmine, a celebrare i 90 anni dell'omonima azienda siderurgica, qui dove il Nord è profondo Nord, la Padania è purissima, quattro abitanti su dieci votano Lega e il Carroccio ha più fans (e sindaci) che altrove. Un impegno preso da tempo, fanno sapere i collaboratori del presidente. «Vedo con piacere che il processo di privatizzazione di questa azienda ha avuto un esito positivo - dice Prodi, che era presidente dell'Iri quando la Dalmine fu ceduta -, siamo orgogliosi di averlo fatto a dimostrazione che i timori che aveva qualcuno erano fuori posto», è la constatazione - felice di un Prodi che tra i capannoni della fabbrica sembra ritrovare l'entusiasmo dei bei tempi andati, quelli da professore, da economista, da esperto di questioni industriali. Bene, bene, è la dimostrazione - ripete - che le privatizzazioni possono e devono andare avanti. Nonostante l'opposizione di Bertinotti? Alzatina di spalle e sorriso che si allarga come solo sulla faccia di Prodi riesce ad allargarsi: «Non è importante quello che pensa Bertinotti sulle privatizzazioni, ma quello che pensa il governo». Nuova frecciatina e via. Via a parlare, davanti ai trecento della Dalmine, delle privatizzazioni che si faranno: «Quelle delle strutture produttive sono quasi giunte al termine - dice -, adesso tocca ai servizi e alle telecomunicazioni». «Naturalmente le privatizzazioni da sole non bastano aggiunge - se non sono accompagnate da un processo di liberalizzazione». Servono regole, servono arbitri («Meglio dire arbitro che authority, la gente capisce meglio»): «Bisognerà aspettare ma i frutti arriveranno, per centrare questi obiettivi ci vuole un governo di legislatura, di lunga durata». E, ovviamente, impegno numero uno del governo resta l'Europa, la moneta unica, l'ingresso insieme agli altri partner. Lo dice ai trecento della Dalmine, Prodi: «In questi mesi il governo e stato oggetto di critiche perché sembriamo sacrificare tutto a Maastricht». Ma, conclude, «ricordo che se non raggiungeremo questo obiettivo tutto il resto sarà vano e l'Italia rischia di tornare periferia, il debito pubblico tornerà a schiacciarci, i tassi risaliranno e addio...». Pazienza, dunque, pazientino anche gh imprenditori, insiste Prodi, prima o poi i risultati si vedranno: «Gli obiettivi del governo sono una grande sfida che, certo, può comportare impopolarità ma qualcosa già si vede, i tassi d'interesse, per esempio, che si sono ridotti avvicinandosi a quelli tedeschi». Applaudono i trecento della Dalmine. Fuori, davanti all'ingresso, la pattuglia leghista apre gli striscioni («Roma, attenta, la Padania si è svegliata» e «Romano di nome e di fatto), suona i suoi campanacci e accoglie il presidente dell'odiato governo di Roma con un esplicito «Toma in Albaniaaaa», mentre il sindaco leghista sfoggia la fascia tricolore e il fazzoletto verde nel taschino. Succede in Padania. Prodi la butta sul ridere: «Questi ragazzi - dice - hanno il fiato corto...». Ma poi, davanti ai 300 della Dalmine, eccolo farsi serio: «Io insisto sempre su un termine, "cucire", bisogna cucire il Paese e non separarlo, perché se non si va avanti insieme, l'Italia non si sviluppa». Armando Zeni «Lo dico a chi sta scommettendo usuila nostra caduta» olo e il fadella ione viene E in spoo? Il otti e nche. tre il nario tese. si recuperi un po' di responsabilità da parte di tutti». Niente crisi anche per il ministro Franco Bassanini, secondo «Lo dico a chi sta scommettendo usuila nostra caduta» gplpcCnast«Qro) j gi non stione ropea, uò es dell'I capaionale uesto è possiaompito espon