Bertinotti risponde no all'ultimo appello

Bertinotti risponde no all'ultimo appello A ventiquattr'ore dal vertice di maggioranza fallisce la mediazione dell'Ulivo. Il Polo: è crisi Bertinotti risponde no all'ultimo appello //pds-. può accadere di tutto, anche le elezioni a giugno ROMA. C'è ancora chi spera che domani, giornata del vertice di maggioranza sull'Albania, Rifondazione possa fare retromarcia. E qualcuno spinge per ottenere che la risoluzione che il governo presenterà in Parlamento sposti più in là nel tempo la data della missione, per permettere a Bertinotti di tornare sui suoi passi. Lo scenario più probabile, però, è quello che prevede tre mozioni, inclusa quella del Prc. Ognuno voterà la propria. L'Ulivo si asterrà su quella del Polo e il centro destra ricambierà il favore con il documento della maggioranza. La dissociazione di Bertinotti dall'Ulivo viene quindi data per scontata. E infatti ormai il dibattito si è spostato sul «dopo». Già, che cosa accadrà dopo? Il governo minimizza. Bertinotti e il verde Luigi Manconi anche. D'Alema e Marini no. Mentre il Polo non esclude uno scenario da governo delle larghe intese. Di più: dentro An c'è chi ipotizza i passaggi attraverso cui arrivare a questo obiettivo. Prodi, da Dalmine, fa finta di niente. E Veltroni è sulla stessa linea. A suo giudizio la posizione di Rifondazione è «incomprensibile», ma non provocherà alcuna conseguenza: «Allo stato delle cose osserva il vicepresidente del Consiglio - non si può far altro che prendere atto del fatto che Bertinotti dice "no" alla missione ma anche alla crisi di governo». Veltroni liquida così l'argomento. Il segretario di Rifondazione fa altrettanto: ribadisce che il suo partito ha già pronta una propria mozione e ripete che questo non deve però avere ripercussioni sulla tenuta dell'esecutivo. E il presidente del Senato Nicola Mancino cerca di esorcizzare lo spettro di una crisi: «Il mio auspicio - dice - è che a meno di un anno dalle elezioni si recuperi un po' di responsabilità da parte di tutti». Niente crisi anche per il ministro Franco Bassanini, secondo il quale la dissociazione del prc «non può essere lo scoglio su cui si spacca la maggioranza». Ma i suoi colleghi di partito non la pensano così. Il pds infatti è diviso: l'ala ministeriale cerca di ridimensionare lo strappo di Rifondazione mentre a Botteghe Oscure lo si enfatizza per spingere Bertinotti a più miti consigli nel futuro. Ieri, nella riunione del comitato politico, Massimo D'Alema ha detto ai suoi: «Bertinotti è uscito dalla maggioranza. E sta facendo di tutto per portarci ad un governo delle larghe intese, ma noi questo non possiamo accettarlo perché sancirebbe la nascita di due sinistre. Comunque se c'è la crisi il pds non è disponibile a partecipare ad altri governi che non siano sostenuti dalla maggioranza del 21 aprile». D'Alema quindi non esclude - anche se non a breve termine - la crisi. E i massimi esponenti della Quercia parlano apertamente di quest'ipotesi. Dice il capogruppo della sinistra democratica al Senato Cesare Salvi: «Può accadere di tutto, comprese le elezioni a giugno». E Pietro Folena osserva: «Bertinotti vuole la crisi, e in questo caso lo scenario elettorale diverrebbe possibile». Dal Polo invece giungono altri segnali. Il presidente di An Gianfranco Fini, anche se si dice scettico sulle possibilità di una crisi, sostiene di non credere che si andrà a votare, e pone già le condizioni di Alleanza nazionale per un governo delle larghe intese: una politica economica che si incentri sui tagli alle spese e non sulle tasse e una riforma elettorale che abbia alla base l'elezione diretta del capo dell'esecutivo. E Adolfo Urso, colonnello di Fini, dice ciò che il «capo», a causa del suo ruolo, non può dire. «L'idea di un governo di minoranza - spiega il dirigente di An è un'idiozia. Al massimo si può fare per due, tre mesi, poi a giu¬ gno, quando i nodi della Bicamerale verranno al pettine, la maggioranza che si è formata in quella sede sulle riforme si dovrà trasferire a livello di governo. Nascerebbe in questo modu un esecutivo di emergenza nazionale. Sì, perché le emergenze italiane sono quattro: istituzionale, economica, sociale e, se la missione continuerà, anche quella militare». Ma dentro An c'è anche chi dissente da questa linea. Gianni Alemanno, che invita il Polo a non aver paura delle elezioni. E Publio Fiori, che osserva: «Tutto quello che sta accadendo è il fallimento dell'operazione di D'Alema e il Polo non deve lanciare nessuna ciambella di salvataggio al segretario del pds». Insomma, dentro An, si danno talmente per scontate la crisi e la caduta di questo governo a giugno che An litiga già sulle prospettive politiche future. Maria Teresa Meli

Luoghi citati: Albania, Roma