CORAGGIO E SENNO di Barbara Spinelli
CORAGGIO E SENNO CORAGGIO E SENNO NON manca sicuramente il coraggio, nella missione di pace che i militari italiani guideranno a cominciare dal 14 aprile nelle terre desolate d'Albania. Non manca neppure una certa solitaria grandezza, se si pensa alla strategia dell'ozio, della trascuratezza, della disattenzione, che regna da settimane in quella che usiamo chiamare Unione Europea. Strana Europa davvero, che ancora non ha trovato il modo di analizzare il fallimento del liberalismo democratico in tanti Paesi del postcomunismo. Strana Unione, che affida al governo italiano - e alla Forza multinazionale da esso diretta l'ambiguo compito di far dimenticare i disastri occidentali in ex Jugoslavia, di far dimenticare l'onta di un'Europa animata da volontà d'impotenza, durante tutta la guerra in Croazia e Bosnia. 11 compito non è indicato in maniera esplicita, ma nell'inconscio europeo e italiano è clandestinamente presente, percepibile: questa volta si tratta di agire, e non di stare con le mani in mano aspettando gli americani. Questa volta bisogna fare, bisogna esserci, bisogna riempire prestamente gli spazi deserti. Qui è una delle più grandi incognite, dell'imminente missione albanese. Qui è anche il possibile equivoco di un'operazione che nasce purtroppo all'insegna della fretta come giustamente ha scritto Enzo Bettiza su questo giornale - e i cui obiettivi sono pericolosamente oscuri, come a suo tempo in Bosnia. L'ex cancelliere austriaco Vranitzky ha dichiarato a Vienna che non è sicuro che i soldati saranno incaricati di disarmare i civili, né che potranno difendersi se attaccati, evitando di divenire ostaggi. L'impresa nasce all'insegna della fretta perché l'attivismo rischia di prevalere sulla meditazione politica, dal momento che non si dice ai soldati né il perché, né il come dell'operazione. A Tirana vogliamo segretamente vincere la guerra politica e morale perduta a Vukovar, a Sa¬ rajevo, a Srebrenica. A Tirana si vanno confondendo ambiguamente le epoche, le storie, e i compiti. Di sicuro non è assente il coraggio, nella missione, ma ci sono momenti in cui viene in mente la tragedia delle Supplici, in Euripide. «Mi stordì l'entusiasmo dei giovani», esordisce Adrasto nel tentativo di spiegare la spedizione sciagurata contro Tebe. Al che Teseo risponde: «Hai seguito il coraggio, non il senno». Si tratta dunque di coniugare meno disordinatamente le due cose: il coraggio militare con il senno, il fare delle truppe umanitarie con il pensare delle classi politiche. Si tratta di guardare finalmente in faccia quel che è stato il comunismo, quel che ha distrutto nell'anima dei popoli sovietizzati, quel che ha abbrutito e radicalmente rovinato, nelle società che oggi faticano a ricostituirsi, dietro la vecchia cortina di ferro. Si tratta di ripensare da capo quel che è avvenuto nell'89, quando cadde il muro di Berlino e non fu subito democrazia come molti si illusero ma caos delle istituzioni, anarchia delle leggi, e capitalismo selvaggio nutrito da aiuti occidentali dati in abbondanza, ma senza condizioni politiche di sorta. Valona non è infatti Srebrenica, né Tirana è Sarajevo. Non è richiesta un'operazione che salvi le popolazioni civili dall'aggressione di uno Stato imperial-nazionalista paragonabile alla Serbia. In Albania è la stessa popolazione civile che impugna le armi, piena di rancore e di delusioni postcomuniste, e questo rende la missione occidentale al tempo stesso più complicata, meno limpida, e più rischiosa. Da questo punto di vista ha ragione Pietro Ingrao, quando denuncia l'assenza di ragionamenti profondi sul caos albanese, «che aiutino veramente a capire». Ha ragione quando mette in guardia contro una politica che tratta gli albanesi come meri Barbara Spinelli CONTINUA A PAG. 10 SETTIMA COLONNA
Persone citate: Enzo Bettiza, Pietro Ingrao, Senno, Vranitzky
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