Il temerario di CI volta pagina

Il temerario di CI volta pagina Prossima meta, Salamanca. Alla base del trasferimento, le «intemperanze» del sacerdote Il temerario di CI volta pagina Don Tantardini «promosso» missionario ROMA. Dalla prossima settimana don Giacomo Tantardini, il sacerdote più famoso di CI dopo don Giussani, non sarà più a Roma. E' atteso in Spagna, università di Salamanca, dove si tratterrà sei-sette mesi per imparare la «lingua missionaria». Quindi partirà per una lontana missione, appunto, presumibilmente in Sud America. La spiegazione più facile - e sinteticamente brutale - è che già sfiorato da «scandalose» vicende, e ora anche in una zuffa universitaria e sindacale con tanto di inedito fermo al commissariato di Ps, inesorabile clamore di stampa, iroso dibattito parlamentare e denuncia per vilipendio al cattolicissimo Capo dello Stato, per giunta, insomma, è fin troppo agevole ritenere che li superiori, come si dice a Roma, abbiano più o meno felicemente deciso di far cambiare aria a don Giacomo, supremo rompiscatole. Con il che, si può aggiungere mettendo anche nel conto qualche inesorabile precisazione, CI gira perlomeno pagina. Se non chiude proprio, almeno a Roma. Più complessa, senz'altro, e perciò comprensiva di quel fervore che non di rado accompagna le avventure della Fede, la spiegazione offerta dallo stesso leggendario «Tantarda» sull'altare di Santa Maria Maggiore Giovedì Santo: «Io sono disposto a comunicare altrove le ragioni della mia letizia e della mia speranza, lo intendo comunicare ad altri che c'è una sorpresa più grande della nostra povertà e della nostra fragilità». Lo ripete anche oggi nel suo ufficio all'estrema periferia della città, sulla scrivania il fatidico «Denzinger», repertorio analitico di dogmi, sul tavolinetto una foto ricordo con Arafat, dalla finestra si vedono prati, greggi centri commerciali e fabbriche di lampadari. Riconosce, certo, che «senza alcune circostanze», questa storia del missionario non si sarebbe posta. Spiega che lui cercava solo di difendere dei lavoratori che facevano un picchetto, conosceva quelle famiglie, i poliziot- ti hanno picchiato, e lui: «Allora prendete anche me!». Accontentato. Più tardi quella specie di comizio, anche su Scalfaro, con relativo vilipendio. Ma poi, da apocalittico masnadiere della Fede, ride, ride con gli occhi, con la voce, felicissimo. Dice: «Vorrei tentare di vivere altrove quel che ho vissuto in questi anni qui a Roma». E allora, quale che sia la spiegazione, o la rimozione sui due piedi, o la più dolorosa assunzione di responsabilità all'interno della stessa CI, anche senza essere dei visionari sembra di vedere le facce degli indios che all'improvviso, in Patagonia o sulle Ande, comunque si vedranno arrivare questo prete lombardo di mostruosa vitalità ed entusiasmo vagamente pazzoide. Questa creatura rotondetta e perfino rosea, in perenne e contagiosa allegria, che per almeno un decennio ha acceso cuori e cervelli coinvolgendoli in un vortice di preghiere, affari, voti, incontri, trame, sacramenti, debiti, pensieri, parole, opere ed omis¬ sioni: sempre sul filo del rasoio, sempre pronto ad épater les catholiques. Anche se ora: «Non c'era alcuna progettualità politica - sostiene -. Io avevo solo l'intenzione di comunicare quella Fede che mi dà speranza. A volte, in inverno, basta un germoglio per riempire l'anima». Personaggio di sfuggente radicalità, il «Tantarda», che aveva convertito e quindi adottato un pubblico ed impresentabile peccatore come Sbardella. E quasi lo sbatteva in faccia, lo Squalo, a chi concepiva una Chiesa come «un educandato per signorine perbene». E allora, niente paura, ci pensava don Giacomo a ricordare che «Cristo è venuto quaggiù per i peccatori». Ma intanto, ridisceso dagli ardori mistici, teleguidava la de, condizionava il Comune di Roma, ispirava il sindaco Giubilo, sempre più impelagato nelle minestrine. Il suo motto, quasi un tic per la verità, sembrava davvero lo specchio di un cuore temerario: «Alla grande! - incoraggiava -. Alla grande!». Così, senza venire mai allo scoperto, presentava Craxi a Giussani, inviava messaggi al Gran Maestro della massoneria o andava a piazza del Gesù a litigare con De Mita. Un certo libro bianco suscitò i fulmini dell'Osservatore Romano; una virulenta polemica retrospettiva contro alcuni eminenti cattolici in odore di santità come Lazzati sconvolse addirittura le immobili canizie del Tribunale ecclesiastico. Straordinariamente «tantardiniano», e quindi curioso e co¬ raggioso fino alla provocazione, era quel Sabato che, dagli e dagli, rischiò persino di oscurare i ciellini «milanesi». Ai quali, a parziale e discutibile risarcimento, recò gioiosamente in dono Andreotti e milioni, più sponsor, giornali, cooperative, entrature in Curia e grane a non finire. Affittava aerei privati, il «Tantarda», girava su una Bmw: «E' bello viaggiare sopra i dirupi della vita - cantò uno dei poeti di Mp - velocemente come alla guida del i?mw» (dono di Sbardella). Perché vaglielo a spiegare, adesso, agli indios che a un certo punto a Tantardini le cose smisero di colpo di girare per il verso giusto. Sbardella inquisito, ammalato, tradito, abbandonato. I soldi finiti, le cooperative inguaiate, il capo del Movimento arrestato, due volte, la de finita. Vergogna e preghiera. «Si può stare in prigione avendo davanti agli occhi il volto dei santi». E la colpa? «Quella no. L'unica autocritica che mi sento di fare è per cinque-sei mesi in cui il Sabato ha attaccato Andreotti». Ma i furti ci sono stati: «Alla fin fine gli altri hanno rubato di più». E aggiunge: «Non tutti i disonesti sono moralisti, ma tutti i moralisti sono disonesti». Sembra uno scioglilingua. Chissà se lo gradiranno, laggiù in Sud America. Filippo Ceccarelli Convertì e «adottò» anche Sbardella L'ultimo incidente ha visto il suo coinvolgimento in una zuffa universitaria e una denuncia per vilipendio al Capo dello Stato L'IDENTIKIT DEL MOVIMENTO LE ORIGINI. Fondata da don Luigi Giussani alla fine degli Anni Sessanta a Milano, CI si propone come un'organizzazione «ecclesiale di educazione alla fede». Nel 1982 viene riconosciuta come Fraternità dal Pontificio Consiglio per i laici. LE RADICI. E' presente in una ventina di Paesi, anche extra-euro- pei. LE CARATTERISTICHE. Al di là delle motivazioni esclusivamente spirituali, CI è soprattutto una sigla attorno a cui s'è venuto a formare un mondo di «opere». Perciò cooperative di consumo, centri culturali e di solidarietà, riviste, case editrici, università po- polari, circoli teatrali, consorzi. GLI APPUNTAMENTI. Ogni agosto, a Rimini, si svolge un infe- ressante e frequentato Meeting culturale. IL BRACCIO POLITICO. In politica, per almeno un decennio, CI si è affidata al Movimento Popolare, operante all'interno della de, e da tempo disciolto. : : y^ y: :■■ : y : : J/: :-\ : : yy :': / I Don Giacomo Tantardini in compagnia di Roberto Formigoni