Di Pietro, il riposo del guerriero

Di Pietro, il riposo del guerriero La sua giornata comincia all'alba, sulle carte degli oltre duecento processi che ha avviato Di Pietro, il riposo del guerriero Tonino si sente solo, ma prepara il grande ritorno I PROGETTI DELL'EX PM SMILANO ORGE il sole davanti alla villetta di Curno e nell'abitacolo della loro auto si stiracchiano i carabinieri del piccolo presidio permanente che vigila 24 ore al giorno sull'incolumità del «cittadino Di Pietro». Non ci sono auto blindate che scaldano il motore, cellulari che squillano, uomini armati che controllano le strade d'accesso. Tutto finito da almeno due anni, da quando cioè, il 6 dicembre del 1994 Antonio Di Pietro annunciò al mondo che avrebbe abbandonato la toga. L'ex degli ex se ne esce dalla sua villetta da solo, percorre pochi metri e s'infila nell'appartamentino del figlio Cristiano, per scendere le scale che lo portano al piccolo bunker-studio allestito con le sue mani, dove, tra ricordi della passata gloria, medaglie, statuette, attestati di «eterna riconoscenza», inizia a leggere le carte di uno dei tanti proces si che lo attendono. Accende il com puter e sullo schermo appare il calendario che gli segnala le udienze più vicine. A volte riemerge dalla profondità per accompagnare i figli più piccoli a scuola; altre volte rimane chiuso là sotto per intere giornate, isolato dal mondo. Altre ancora sale in macchina e si avvia verso qualche tribunale, oppure piomba a Milano nello studio del suo ormai esausto avvocato, Massimo Dinoia. E' questa la nuova vita del «cittadino Di Pietro»; tanta solitudine, qualche telefonata, rari spostamenti, soprattutto per presenziare ai processi dove compare, alternativamente, da imputato o parte lesa. La sveglia è come al solito all'alba: un'occhiata allo specchio, uno spruzzo di acqua gelida e poi giù in cucina, a preparare il caffè e a gustarsi il silenzio della campagna di Curno, prima che si sveglino i bimbi. Il mondo è sempre stato lontano nelle prime ore del giorno di Antonio Di Pietro; le ore migliori per uno come lui abituato fin da piccolo ai ritmi contadini di Montenero di Bisaccia. Non è leggenda: Di Pietro ha sempre avuto un sonno breve, in contrasto con una vitalità fin quasi esagerata. Colpa di una leggera disfunzione cardiaca che non gli fa sentire la fatica e che i medici gli scoprirono proprio durante l'inchiesta Mani Pulite raccomandandogli, suo malgrado, di fermarsi ogni tanto. Consiglio che Di Pietro ha iniziato a seguire soltanto dalla scorsa metà di novembre quando, incalzato dai clamori d'un'inchiesta di cui si sono perse le tracce, ha dovuto lasciare la poltrona di ministro dei Lavori Pubblici. Da allora, come dice di lui stesso, è tornato ad essere il «cittadino Di Pietro». Ma non è guarito da quel difetto al cuore che ha contribuito ad alimentare il suo mito; e il sonno leggero e la voglia di fare, anzi strafare, sono rimasti: anche se l'impegno adesso è tutto per se stesso, per cavarsi dal mare di fango dove è stato precipitato. E' stato questo iper-attivismo uno dei segreti che hanno, tutto sommato, permesso a Mani Pulite di macinare più indagini in tre anni che nel resto di tutta la storia giudiziaria del Paese: un difetto al cuore di Di Pietro. Gli altri ancora dormivano; lui era già in procura, sveglio come un grillo, pronto a compilare verbali dei primi arrestati di giornata tirati giù dal letto, secondo manuale di polizia, all'alba. In casa ancora dormono, ma ora gli unici verbali da leggere sono i suoi o di quelli che lo accusano. Gli uffici della procura, il clima eccitato di quei giorni, sono davvero solo un ricordo lontano per quest'uomo di 47 anni obbligato per l'ennesima volta a doversi rifare una vita. Non parla Antonio Di Pietro, non ha voglia di raccontare, di usare il passato per cullarsi nei ricordi. «Stavo lavorando bene, mi sembra - dice - e ora invece devo passare la mia vita tra i tribunali. Non è giusto, ma che ci posso fare?». Ha paura di essere usato. E per questo agisce metodicamente: prima scrollarsi di dosso processi e infamie, poi la riscossa, che, immagina lui, sarà politica. Nel frattempo la vita con quel che gli può dare: un incarico di docente per sei mesi all'anno presso la Libera Università Cattaneo di Castellanza per la non entusiasmante cifra di due milioni e mezzo al mese; una collaborazione estemporanea (appena terminata) per un ciclo di lezioni alla Cepu di Roma, un altro istituto privato di preparazione universitaria; le entrate sui diritti dei libri che ha scritto (uno sulla Costituzione, quello famoso con la prefazione che Cossiga «ritirò», e un paio di testi scolastici pubblicati nel '96). Il suo 740? Nel '96, ha dichiarato oltre 600 milioni, dovuti soprattutto alle entrate del libro sulla Costituzione. Nel prossimo sostiene che non arriverà ai 50 milioni. Niente pensione da ex ministro e non ha ancora diritto a quella di ex magistrato (si è licenziato dall'ordine giudiziario con il grado di consigliere di corte d'appello). Non è mai stato ricco Antonio Di Pietro, anche se l'ultima ac¬ cusa gli attribuiva cinque miliardi su un conto austriaco: parola di Maurizio Raggio, prestanome di Craxi, che di conti se ne intendeva. Il senso della parabola compiuta in questi anni dall'ex magistrato di Mani Pulite sta tutto in mi piccolo ma significativo episodio: quando la scorsa settimana Di Pietro è comparso nel corriodio della procura milanese, al quarto piano di palazzo di giustizia, solo un paio di giornalisti si è staccato per un breve cenno dal gruppo che da anni staziona in quello che fu il corridoio più famoso d'Italia. Gli altri si sono limitati a un'occhiata tra l'indifferente e l'ironico. Di Pietro «non fa piii notizia». E forse a lui va bene così: non ambiva a diventare un «semplice cittadino» quando lo tiravano per la famosa giacchetta di pubbbeo ministero o quando ha lasciato la poltrona di ministro? Eccolo accontentato, con l'oblio. Alza le spalle Antonio Di Pietro: meglio questo oblio che le infamie scritte sui giornali: «Ogni bugia è diventata una notizia, ogni mezza accusa un titolo». Del resto Tonino non ha mai avuto un buon rapporto con i media, (prova ne siano le quasi 270 querele sparse per mezz'Italia) e ora più che mai se ne tiene lontano. Inutile insistere nel chiedergli perché mai, pur avendone avuto la possibilità, ha sempre rifiutato un confronto con i media: «Faccio notare - dice - di non disporre di giornali e di non avere mezzi di comunicazione amici. Cosi ho preferito scrivere anch'io: le querele». Amarezza? «Beh, non è certamente il massimo girare per tribunali per difendersi dalle diffamazioni», dice paziente Massimo Dinoia, il suo ormai inseparabile avvocato di fiducia. Studia i suoi processi Antonio Di Pietro e intanto spera in un futuro migliore. Un futuro politico, al quale, dice, inizierà a pensare seriamente quando finirà la proces- sione tra i tribunali. Del resto Tonino da Montenero sembra essere perfettamente consapevole, e lo confida agli amici, che qualsiasi iniziativa di natura politica dovesse prendere, andrebbe ad interferire non tanto con l'opposizione quanto con l'attuale governo. Al quale, nonostante le dimissioni e il senso di abbandono di cui soffre, si sente «tuttora fedele». Come potrebbe essere altrimenti per uno che continua a ripetere di «essere innanzitutto un servitore dello Stato»? Nel frattempo si sente con l'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, incontra l'amico di An Mirko Tremaglia, va in vacanza con il cognato Gabriele Cimadoro, deputato Ccd, e forse vede anche Mariotto Segni. Infine, quando passa da Roma, va a trovare ogni tanto anche Romano Prodi. Ma tutto rimane vago con Antonio Di Pietro anche se non smentisce che tra i suoi progetti «rientra anche l'idea di un autonomo impegno politico». Un partito di Di Pietro? Lui si limita a ribadire che finché non si saranno concluse le inchieste che lo riguardano rimami buono buono nel suo eremo di Cunio. Ma intanto, ad ascoltare il tam-tam che proviene dal variegato mondo dipietresco, si coglie un certo fermento tra quelli che si sono definiti «i movimenti pro-Di Pietro», gruppetti per ora carbonari, sparsi in varie località d'Italia, che ultimamente sarebbero entrati in contatto per organizzarsi stratturalmente. Di fatto starebbero preparando ima vera e propria organizzazione per affrontare una futura campagna politica. Ne sa qualcosa Antonio Di Pietro? Sì, sa tutto, ma non interviene, almeno non ufficialmente, considerandosi ima sorta di leader in stand-by. E osserva divertito appartenenze e incarichi che di tanto in tanto gli vengono attribuiti, come per saggiare le sue reazioni. Sempre meno, per la verità. Sembra quasi che a livello politico sia passata una parola d'ordine: «dimenticare Di Pietro». A dispetto anche degli ultimi sondaggi (Abacus, fine gennaio '97) che lo rianno attestato al 70 per cento nella fiducia tra la gente, e al 90 per cento per la popolarità. Tace, tace «rumorosamente» l'ex magistrato e indica con il dito un trafiletto uscito la scorsa settimana sui giornali: la Cassazione ha respinto il ricorso dei pm di Brescia sull'ordinanza del tribunale della libertà che dichiarava «illegittimi» i sequestri e le perquisizioni eseguite lo scorso dicembre per 16 ore nella sua abitazione. Notizie in breve per la «non notizia Di Pietro», per l'ultimo atto di un'inchiesta che cinque mesi fa lo costrinse alle dimissioni irrevocabili da ministro. E' capitato anche ad altri indagati eccellenti di Mani Pulite quando indagava lui: grandi titoli quando scoppiava l'inchiesta, trafiletti per le conclusioni dei tribunali. Ma c'è ima differenza: il problema è che Di Pietro, stando almeno alle vittorie giudiziarie fin qui ottenute, non può essere ancora annoverato tra «i cattivi». Non ancora. Paolo Colonnello «Stavo lavorando bene Ora devo passare la vita tra i tribunali Non è giusto ma che ci posso fare?» Nella foto a sinistra l'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga e. qui accanto Mario Segni Servitore dello Stato «tuttora fedele» al governo Prodi Ora al Palazzaccio di Milano è ignorato anche dai cronisti