La corsa italiana ai dollari russi

La corsa italiana ai dollari russi Bergamo, Napoli e Bari pronte a sottrarre a Rimini il giro di affari La corsa italiana ai dollari russi Guerra commerciale per attirare i nuovi clienti RIMINI DAL NOSTRO INVIATO Il padrino girava le colline di Pesaro sulla Bentley verde e il Cartier d'oro con diamanti al polso, viveva in albergo a Fano e ogni mese erano conti da sette-otto milioni solo per il telefono. All'inizio era lui che cercava i fornitori; dopo un po' erano i fornitori ad andare da lui. Gli offrivano di tutto e lui comprava di tutto: oro, mobili, scarpe, vernici. Una volta, in un colpo solo, ha ordinato - e pagato mobili da ufficio per 600 mila dollari, destinazione Tjumen, estremo Nord russo, Siberia occidentale, là dove il petrolio quasi zampilla per strada. Monja Elson l'hanno arrestato due anni fa e adesso è in carcere negli Stati Uniti da dove il Giapponesino, grande capo della mafia russa, l'aveva cacciato. L'hanno preso quando finalmente s'è capito che quel nome, «Monja», era di un maschio e non di una femmina e che dunque anche lui era segnalato dall'Interpol, come killer pluriattivo negli Usa, sfuggito più volte alla vendetta, l'ultima delle quali a Los Angeles, quando un angolo dell'asciugamano che nascondeva la rivoltella del suo boia andò a finire sull'otturatore della pistola, salvandogli la vita nel più casuale dei modi. Più o meno allora il presidente dei commercianti italiani Bilie capitava alla Festa dell'Unità di Reggio Emilia per lanciare l'allarme russo: la mafia dell'Est ha investito mille e 800 miliardi sulla Riviera Adriatica. Qui a Rimini caddero tutti dalle nuvole, i pragmatici romagnoli stavano cominciando ad attrezzarsi con i primi cartelli in cirillico, nelle fiere comparivano i primi torpedoni stracarichi di pacifici russi coi rotoli di dollari in tasca pronti a comprare tutto. I grossisti del «Gros Center» intravedevano la fuoriuscita dalla crisi sulla via di Mosca, all'aeroporto nessuno sapeva come fare a fronteggiare il cataclisma improvviso delle migliaia e migliaia che sbarcavano dalle pance di enormi Iljushin. Nel '96 sono stati 72 mila ed hanno portato qui mille miliardi, come dice il presidente dei commercianti di Rimini Mei, «una bella cifra che ha dato una bella spinta all'economia locale». Nel '97 si dice saranno centomila (e nei primi tre mesi l'aumento è già stato del 50 per cento), ma nessuno sa dire quanti saranno i miliardi, tanti di sicuro perché gli habitué sono già molti. Al Gros Center si sono quasi stabilite amicizie, come con quella signora di Samara che ogni quindici giorni viene a spendere centoventimila dollari in pelletterie e se ne tiene altrettanti per comprare pellicce vicino a Roma. Sembrerà strano vendere pellicce ai russi, ma la signora dice proprio «shuby» e spiega che le nostre sono «più belle». Sembrerà così a Samara o nei chioschi sulla Petrovska, a Mosca, dietro il Bolscioi, dove si vendono le scarpe firmate acquistate negli shop aziendali di San Mauro Pascoli, tra Rimini e Cesena. Fatto sta che questo fenomeno del fiume di dollari russi è diventato un pezzo di economia, quasi una società nuova che tutti si sforzano di difendere dall'insidia del sospetto di inquinamento mafioso arrivata fin qui dall'inchiesta della polizia contro la mafia russa partita con la retata di Madonna di Campiglio. Là boss in cerca di affari e di investimenti; qui «celnok», spole umane, cariche di denaro da scambiare con merce, di qualunque tipo. Un fenomeno unico, in buona parte riciclaggio che nessuno saprà mai dimostrare perché dal calderone del neocapitalismo ruggente russo esce di tut- to, in quantità mai vista prima d'ora, come hanno capito persino in Svizzera, dove per la prima volta nella sua storia la banca di Stato ha lanciato un «allerta» alle tonnellate di dollari in arrivo da Mosca. Terzo Pierani, presidente dell'aeroporto di Rimini e capo del partito «filo russo», sorride a queste chiacchiere e risponde con la solidità del pragmatismo: «L'importante, come mi dicevano a Roma, è che i dollari non siano falsi e che chi li porta non commetta reati». Certo non si può fare l'esame del sangue alle banconote e nemmeno a chi le porta che, secondo Pierani, altro non è che un «ceto medio che cerca di mettere su bottega». D'altra parte se tra loro ci fossero ricercati, nessuno se ne accorgerebbe perché la polizia non ha elenchi di criminali russi, niente di più facile che anche il killer Sacha Solonik sia transitato di qui nel passaggio tra Mosca e la sua dolce vita romana. Sindaco di Riccione per quindici anni, poi parlamentare del pds, vecchia volpe delle amministrazioni rosse romagnole, il presidente dell'aeroporto di Rimini è l'uomo al centro della bufera, attaccato da destra e da sinistra per la disinvoltura con cui avrebbe favorito il clan famigliare dei Petrossian che per un certo periodo l'hanno fatta da padroni in aeroporto, gestendo persino le operazioni di imbarco. Qui nessuno sapeva parlare russo e il clan armeno con uffici sul Novij Arbat a Mosca organizzava in proprio il check-in. E' cominciata una stagione di veleni, di minacce. Siamo al punto che ora Pierani è sotto inchiesta per abuso di ufficio. Si difende così: «Una storia allucinante, totalmente inventata». Vedremo. Intanto la società dell'aeroporto si prepara ad aprire il capitale, ci sono trattative con San Marino (quella specie di Liechtenstein romagnolo con un segreto bancario più impenetrabile delle Bahamas) e si sono già fatti avanti i privati. Tra questi la «Richard International» che tra i soci ha due fratelli pesaresi e - guarda un po' - i Petrossian. I documenti sono tutti in regola, manca solo - ci dice Pierani con un'involontaria battuta - il «certificato antimafia». Certo qui nessuno pensa di lanciarsi in guerre moralistiche preventive, bisogna pensare che dopo la stagione delle mucillagini e la fuga di inglesi e scandinavi l'aeroporto stava per chiudere e l'hanno salvato i «celnok» russi. Così per un bel pezzo di riviera. Le guerre commerciali sono in corso, Napoli, Bari e Bergamo sono pronte a aprire alla Russia, sulla Romagna pesa il ricatto dei Petrossian: o ci fate lavorare o cambiamo aeroporto. Non cambieranno: espulsi dall'Italia in quanto «clandestini», i Petrossian hanno ricevuto (con l'aiuto di Pierani) un invito da San Marino. La torta è troppo grossa. La concorrenza per accaparrarsi i russi, ci dice il presidente dei commercianti Mei, «è spietata». Un circuito di economia tra i promoter locali s'è già incattivito al punto che un pullman lettone è andato a fuoco e contro un pulmino che trasportava i russi hanno sparato qualche colpo di pistola. «Episodi che fanno riflettere - dice Mei -, certo c'è bisogno di far chiarezza». Al Russkij Dom, casa Russia, il nuovo caffè-ristorante vicino al lungomare, c'è poca gente la sera. Ramazzotti si alterna negli altoparlanti con canzoncine russe, nessuno ordina «lipioshka», la parola con cui hanno tradotto «piadina». La stagione del turismo deve ancora cominciare e la pasqua ortodossa, spiega una biondona a un italiano, arriverà tra un po'. Si spera in molti russi. I Cesare Martinetti Nella gara ai ricchi investitori d'oltrecortina anche atti di teppismo Lo scalo romagnolo ha registrato nel '96 72 mila arrivi da Mosca Ma dietro l'enorme flusso di denaro c'è l'ombra del riciclaggio da parte dei clan dell'Est Mosca, operazione di polizia contro mafiosi locali