Un sonoro orizzonte di campane di Carlo Grande

Un sonoro orizzonte di campane Un sonoro orizzonte di campane La zona di Paestum «patrimonio dell'umanità»? DIMMI ciò che senti e ti dirò chi sei: il rapporto tra «paesaggio sonoro», cioè i suoni e rumori che si avvertono ogni giorno, e l'appartenenza a una comunità è uno degli aspetti più originali del dossier inviato alla sede dell'Unesco a Parigi, dagli architetti Pietro Laureano, Giuseppe Anzani, Carla Maurano e Domenico Nicoletti, per chiedere che Paestum e il Cilento in Campania, diventino «patrimonio dell'umanità». La terra dei miti, di Enea e del nocchiero Palinuro, di Ulisse in fuga dal canto delle sirene sull'isoletta di Licosa, possiede atout culturali e naturali invidiabili: è considerato un gioiello paragonabile alle Meteore in Grecia o a Hierapolis-Pamukkale in Turchia, già nella lista protetta dell'Unesco. Colpisce però il ricorso anche a questo parametro «scientifico» per testimoniare l'antichissima unità culturale dell'area. Il progetto del quale si sta discutendo a Parigi rappresenta una novità assoluta: sarebbe la prima volta, almeno per il nostro Paese, nella quale viene «adottato» a livello in¬ ternazionale non solo un singolo sito archeologico, ma anche l'ampia regione che lo contiene. Le vestigia archeologiche ospitate dal Cilento sono importantissime: dalla greca Posidonia, ribattezzata Paestum da italici e romani (con i suoi templi dorici, tra i più belli del Mediterraneo), a Velia, «figlia» di esuli focei e patria di dei filosofi Parmenide e Zenone. Il «paesaggio sonoro» è invece legato al suono delle campane. Fin dall'aito Medioevo, quando non esisteva ancora il «tempo dei mercanti» misurato meccanicamente, esse erano orologio e calendario del tempo civile e religioso. Le parrocchie potrebbero essere considerate proprio lo spazio acustico definito dalla portata del suono delle campane, che raccoglievano attorno a sé la comunità. Un'improbabile etimologia agli inizi del Duecento faceva addirittura derivare il termine «campana» dalla gente che viveva nei campi. Osservando, nel «dossier Cilento» presentato al direttore parigino Mounir Bouchenaki, la tavola con le emergenze sonore del '500 e i cerchi concentrici che ne indicano l'intensità (inversamente proporzionale al quadrato della distanza dall'origine), si scopre che fra le aree c'erano molte sovrapposizioni, segno che gran parte del territorio era «coperto» da una o più campane. Gli abitanti avvertivano quindi di appartenere a una comunità policentrica, ma non è affatto escluso - anzi è molto probabile - che il loro orecchio potesse distinguere il suono della «loro» campana, sulla base delle diverse caratteristiche timbriche. La campana, un po' come un «mass media» oggi, segnava con rintocchi opportunamente codificati (a martello, a morto, a stormo) le informazioni più importanti per la vita collettiva. Annunciava solennità, calamità, 1'((Angelus» e il calar della notte, l'avvicinarsi della Pasqua. Dal giovedì al sabato della settimana Santa le campane del Cilento venivano legate in segno di lutto ed erano sostituite da strumenti di legno di varia foggia, detti «crepitacoli». Il rumore che producevano era in netta opposizione con il suono «divino» del bronzo. Naturalmente il paesaggio sonoro si modifica nel tempo: può essere «hi-fi» o «lo-fi» (come hanno appurato alcuni studiosi) cioè con un rapporto segnale/disturbo più o meno elevato. Ebbene, nel corso dei secoli 1'«antropizzazione» del territorio ha limitato di molto la qualità della colonna sonora delle nostre giornate. La rivoluzione industriale ha provocato il drastico abbassamento della «fedeltà», introducendo suoni continui, veloci e ridondanti. In età pre-industriale, invece, il paesaggio sonoro era assolutamente «hi-fi»: si distinguevano nitidamente i suoni degli uomini e quelli naturali, come il vento fra gli alberi, i versi degli animali, lo scroscio dell'acqua fra le rocce. Combinando ad esempio il soffio del vento su una prateria con il rumore di una cascata, ognuno era in grado di definire l'impronta sonora («soundmarck») del proprio territorio, l'aspetto sonoro del suo genius originario. Alla fine del Medioevo dovevano essere ben pochi i suoni prodotti dal- l'uomo in grado di gareggiare con quelli naturali: oggi contro i decibel di aerei, camion, elettrodomestici e automobili sembrano esserci scarsi rimedi. Se non, per rubare una battuta a Oreste del Buono, «studiare da sordi». Il dossier-Cilento presentato all'Unesco fornisce un altro insolito indicatore archeologico-culturale: la fitta rete di sentieri, anche preistorici, che collegavano il territorio al suo interno e con le aree circostanti, dal Tavoliere alle Mur- ge, fino all'Adriatico e allo Ionio. Paestum, alla foce del Sele, era un importantissimo incrocio commerciale fra le rotte del Tirreno e le due vie carovaniere che si inoltravano all'interno: una verso Metaponto, l'altra verso Sibari. La regione tra il golfo di Salerno e il Vallo di Diano, dunque, rappresenta il vero ombelico geografico e culturale del Mediterraneo, punto di scambio tra le antiche genti italiche, tra mare e montagne, tra Oriente e Occidente. Uno dei templi dorici di Paestum (la greca Posidonia), considerati tra i più belli del Mediterraneo Molti tratti delle coste del Cilento, miracolosamente intatti, sono parco nazionale, e ospitano agavi, pini d'Aleppo e ginestre Il Cilento è inoltre un'eccezionale cerniera biologica fra il centro Europa e il clima arido africano. Il ministero per l'Ambiente ne ha fatto un parco nazionale: molti tratti delle coste tra capo Palinuro e Marina di Ascea sono coperte di ulivi, agavi, pini d'Aleppo e ginestre, e sono ancora miracolosamente intatte. Le «linee di cresta», cioè sulle cime dei monti, erano fin dalla più remota antichità percorse da pastori per la transumanza. Erano sentieri circondati da boschi per cacciare e grotte in cui rifugiarsi, più confortevoli, delle paludi di fondovalle, dove era necessario guadare i fiumi. Sulla Costa Palomba, vicino a S. Angelo a Fasanella, un grande guerriero scolpito nella roccia d'«antece», in lingua locale, cioè l'«antico») guarda ancora le alture circostanti. Sindaci, Provincia di Salerno e responsabili del parco attendono dunque lo sbarco dell'Unesco: avrà miglior fortuna, assicurano, di Carlo Pisacane e dei suoi trecento, sbarcati a Sapri, nel vicino golfo di Policastro. Carlo Grande

Luoghi citati: Ascea, Campania, Europa, Grecia, Parigi, Salerno, Sapri, Turchia