DA SOCRATE A PINOCCHIO L'INTELLETTUALE E STOLTO di Ferdinando Albertazzi

I RAGAZZI I RAGAZZI di Ferdinando Albertazzi GIRATEMPO d'un Beccogiallo. Dopo aver scorrazzato per i sempreverdi dell'Ottocento e per le fiabe classiche di chissà quante letterature, la collana profumata della Mursia per i bambini di 6-8 anni approda ati'lnfemo. al Purgatorio e al Paradiso (pp.64, L. 16.000 l'uno). Dall'opera di Dante Alighieri Mia Peluso ha liberamente estratto degli «stuzzichini», profumati alla fragorella e illustrati da Santa La Bella. La riduzione e l'adattamento sono tuttavia di tale portata da far apparire i personaggi, gli incontri e gli eventi del testo dantesco un lontanissimo riferimento, più che una sia pur concisa trascrizione in prosa dell'originale. Meglio dunque considerare i tre libretti quali raccolte autonome di brevi racconti, con protagonisti e fatti già altrimenti «cantati». Viste cosi le storie di Pier delle Vigne, devoto servitore di Federico II re di Sicilia, dell'invidioso Guido del Duca e degli Spiriti Beati, narrati dalla penna leggera e ammiccante di Mia Peluso, diventano una lettura piacevole. DA SOCRATE A PINOCCHIO L'INTELLETTUALE E' STOLTO LLA fine delle sue vicende, sprofondato nei lussi cortigiani, Bertoldo muore sospirando le rape perdute. E' una morte inopinata, dispiace al lettore che gli si era affezionato. Lo stesso genere di dispiacere immalinconisce il lettore nelle ultime pagine dello Stolto di Diego Lanza. Quando finalmente avrebbe giurato sulla sgradevole necessità della scemenza, arriva all'ultima riga e lì (roviniamo la suspense) Lanza diagnostica r«irrevocabile scomparsa di ogni efficace stultitia)). Ma come? E la prevalenza del cretino? E la proverbiale prolificità della madre degli imbecilli? Tale luttuoso finale suona ancor più inaspettato se si considera che giunge dopo 200 pagine impiegate da Lanza per la fondazione di un'articolata scemologia, che a questo punto LO STOLTO Di Socrate, Eulenspiegel, Pinocchio e altri trasgressori del senso comune Diego Lanza Einaudi pp. 260 L. 40.000. LO STOLTO Di Socrate, Eulenspiegel, Pinocchio e altri trasgressori del senso comune Diego Lanza Einaudi pp. 260 L. 40.000. parrà magari affascinante ma certo anacronistica come un'etologia del dinosauro. Per attraversarle, quelle pagine, conviene tenere presente che qui il profilo della stagione è lo stesso disegnato dalla silhouette della ragione: il libro pattuglia questa frontiera. Un'altra cosa che occorre capire velocemente è che questo libro non è un armadio, dove ogni cosa è distribuita ordinatamente, ma una voliera, dove ogni esemplare è relativamente libero di svolazzare qua e là, in un tripudio di piume e strida. l l l pProprio la stoltezza svolazza e starnazza: non si stabilfeza mai nei confini di una «cosa». Scemo, stupido, idiota, stolto, folle, sciocco, tonto... Lanza usa questi termini quasi indifferentemente, senza tentare tassonomie; continua a ribaltarli l'uno sull'altro, fino a fare eroi del suo libro della stoltezza i campioni mondiali della sapienza (Socrate) e dell'astuzia (Ulisse). Per questo non stringe il fuoco del suo obiettivo fino alla massima definizione: anzi, allarga il campo e ritrae la stoltezza vicino alle altre forme di devianza e di emarginazione, ivi compresa l'intelligenza (quando è trasgressiva). La scena di questo libro, a tratti un po' frastornante, è dunque larga nelle dimensioni temporali, spaziali, mitiche, storiche e letterarie. Questa scena non è occupata da assi cartesiani, sistemi periodici della scemenza, paradigmi, gerarchie. Lanza costruisce meno ingombranti (e più variopinte) sequenze di esempi. Così per i rapporti della stupidità con la bruttezza, mette in fila indiana il brutto anatroccolo, Bertoldo, Socrate e Ulisse. Per i rapporti tra credulità, ingenuità e stupidità allinea Esaù, Calandrino e Pinocchio. Per la consapevolezza di sé, arrivano Proteo, il Gurdulù di Calvino, Zelig e un personaggio di Altan. Paradossi per paradossi, se la sragione è definita dalla complementarità con la ragione, allora un libro sullo stolto si trova a essere, nel contempo, un libro sull'intellettuale. E la coincidenza è allarmante. Come se si dicesse: «Oggi, il paradosso è un luogo comune», che è anche un po' vero (la flaianite è la malattia, e prende il nome dal grande medico che l'ha combattuta e ha finito per diffonderla in forma di anticorpi). Come il brutto anatroccolo, l'intellettuale non serve a niente e anzi talvolta è pernicioso: gli si rimprovera, per esempio, di desiderare una società disastrosamente gene- Pinocchio è il personaggio scelto da Diego Lanza per discutere i rapporti tra stupidità e ragione nel suo saggio «Lo stolto», edito da Einaudi, una provocatoria rassegna di «scemologia» e un confronto tra letteratura e cultura di massa rosa verso chi le è estraneo, tirandosi in casa intolleranze e terrorismi altrui. Come dire che è scemo. La battuta altaniana citata da Lanza è «Mi vengono in mente idee che non condivido». Pare la battuta di uno stupido ma a pensarci è forse la battuta di un intellettuale, che riesce a pensare anche senza condividere. In ciò è facile che l'intelligenza (in quanto tale) appaia stupida e che agli occhi dei più produca insensatezze: il politically correct è comunemente considerato una farsa, ma è solo la degenerazione di una questione cruciale (la presenza dell'altro nel linguaggio e dunque nella società). Proprio dalla citazione altaniana ci si aspetterebbe che Lanza individui un'atomizzazione del conflitto fra ragione e sragione, conferendo all'intellettuale il ruolo di riconoscerlo e rappresentarlo. Ma alla domanda «chi è oggi l'intellettuale?» Lanza rispondatene è colui che rico¬ nosce la stoltezza dell'«individuo replicato, dell'uomo-massa dalla cui moltitudine è formato il corpo sociale». Questo uomo-massa è omologato alla «ragionevolezza», che è stupida, ed è anzi la «nuova stoltezza» che «di fronte alle spigolose insofferenze della tradizione rivendica tolleranza, flessibilità, pluralismo»; è ancora lei che rende i comici stupidi quanto il loro pubblico, e fa sì che nessuno spettacolo teatrale sia più fischiato. E' una conclusione davvero inopinata, anche perché non si sa da dove sia piovuta questa nuova categoria. Davvero Lanza ritiene che viviamo in un mondo completamente ragionevole, fino al disgusto? L'obiezione principale alle conclusioni del libro riguarda l'esistenza di molte, irragionevolissime forme di rifiuto dell'uomo-massa. La ragionevolezza è ben lontana da avere omologato tutto, anche perché non è affatto priva di contrari: combatte, per esempio, contro l'intolleranza e contro di lei preme l'intransigenza. Ci sarebbe insomma da discutere. Anche il nuovo irrazionale e il vecchio scemo parrebbero in salute tutt'altro che cattiva. i Stefano Bartezzaghi sple moda i e n e più che da un ampio consenso popolare di lettori. Per rappresentare il vuoto ideologico e l'appiattimento culturale del nostro tempo non è necessario narrare storie piene di sangue, squartamenti, stupri, droga, dosi massicce di materia organica e atrocità quotidiane. In questa prospettiva meritano attenzione i due romanzi di Andrea Demarchi, trentaduenne di Chivasso, nell'hinterland torinese, Sandrino e il canto celestiale di Robert Plant (Oscar Mondadori, pp. 172, L. 9000) e Il ritomo dei granchi giganti, pubblicati a pochi mesi di di- 1 stanza l'uno dall'altro. Il libro d'esordio è un viaggio on the road per l'Italia che rispecchia i turbamenti, le malinconie e le passioni di un trentenne alla fine del Millennio: l'io narrante parte per una tournée teatrale tra Firenze e Roma con un amico, che poi lo abbandona, «a recitare la parte dell'attore girovago che insegue disperatamente il suo sogno di diventare qualcuno», e quindi intraprende «un grand tour giovanilistico e formativo per la Sicilia tra Verga, Pirandello e Capuana, rispolverando certe cose del liceo». Alla fine si ritrova a fare il commesso in un negozio di videocassette a Torino, con la consapevolezza di aver bruciato i suoi sogni bohémiens e di essere «un ingrediente qualsiasi nel ripieno di un autobus o di un treno pendolare». Sospeso tra nostalgie degli Anni Settanta e Ottanta - le emittenti alternative, i romanzi di Tondelli, i film di Woody Alien e Nanni Moretti, la musica dei Led Zeppelin -, riflessioni malinconiche («Quando uno non riesce più a guardarsi da fuori è perché sta andando troppo dentro se stesso, e il rischio poi è sempre il solito: che ci si perde») e citazioni del Werther, il suo livre de chevet, Sandrino sembra rifare il verso ad Arbasino nella rigorosa nomenclatura delle mode, dei luoghi e degli oggetti tipici del giovanilismo. Andrew, il protagonista del secondo romanzo, fa l'insegnante di sostegno in un centro estivo salesiano nel «Far West del Vercellese» e vive «a trenta chilometri dalla capitale ove il folle dionisiaco aveva smaccatamente abbracciato un cavallo, prima del ricovero». Trascorre il tempo libero tra sale parrocchiali, cineclub, performances teatrali, festival nel Monferrato, serate con gli amici intorno a una bagna caoda tra qualche bicchiere di bonarda e un diluvio di citazioni fìlmiche. Non del tutto a suo agio nelle vesti del pedagogo alle prese con un bambino difficile e neppure all'interno della «gayosa brigata» di amici omosessuali, Andrew avverte la sua inadeguatezza, «stanco di girare intorno alle cose senza mai trovare un centro che dia loro senso e le inveri». Con una scrittura immediata e piacevole, priva di marcature sperimentali ma non esente da qualche ridondanza, Demarchi ha disegnato un epigonico Fratelli d'Italia di provincia in cui fotografa bene «l'orrido contemporaneo che incombe minaccioso» senza giocare troppo con il Kitsch dell'orrore, con i mostri di cartapesta che infestano le librerie. Massimo Romano

Luoghi citati: Chivasso, Firenze, Italia, Monferrato, Pinocchio, Roma, Sicilia, Torino