NIEVO SULLE ORME DEI CARI ESTINTI

IL SAGGIO IL SAGGIO di Mauro Covacich ERO già grato ad Alberto Folin per avermi spiegato con il suo Leopardi e la notte chiara (Marsilio) che della distinzione tra pessimismo storico e pessimismo cosmico posso sbattermene tranquillamente. Non so, quindi, come farò ora a ripagarlo per la chiarezza con cui, nel suo nuovo saggio Pensare per affetti (sempre Marsilio, pp. 167, L. 32.000), ha sgomberato il campo da un altro bivio crociano: o sei poeta o sei filosofo. Il buon Giacomo con le sue liriche ha dato imbeccate un po' a tutti: a Schopenhauer, a Nietzsche, eccetera, senza per questo aver mai preteso una cattedra all'università. Non è una questione di dipartimenti. Sulla scia di Prete, Scalia, Galimberti, Folin ci mostra come, sen7a perdere in bellezza, la poesia di Leopardi sia pensante. Come il dire poetico, libero dalle pressioni del concetto, si avvicini più facilmente all'Essere, e al Nulla, di quanto non sappia fare quello filosofico. ICROCOSMI», l'ingannevole, prismatico libro di Claudio Magris, si apre al Caffè San Marco, caro alla personale mitologia dell'autore. In quella specie di ombelico della triestinità, ama raccogliersi per scrivere, osservare, divagare. Il San Marco è un porto di mare, da cui tutto parte e sembra ritornare, attraverso e oltre l'avventura dello scrivere. E' un concentrato di vita multiforme, in cui personaggi illustri (della letteratura, della storia) si affiancano nei presente e nel ricordo a giocatori di scacchi, degustatori di birra, studenti innamorati, pensionati da tutte le possibili sorti. Là isolarsi e distinguersi è un nonsenso, forse una colpa. Chi ci prova viene irriso dai mascheroni che presidiano il salone, dalle ciacole che vaporano all'intorno. Dall'intimazione che una vecchia signora rivolge all'alter ego dell'autore: «Lei è tutto spettinato, vada alla toilette a rassettarsi». Con una severità che, attaccandosi al fisico, specola sul morale. Sicché la toilette può essere promossa, in un primo lampeggiamento visionario, a luogo in cui la più greve corporeità si sottopone al battesimo di acque salutari, siano pure quelle del lavandino. h iii Il San Marco come microcosmo, uno fra i tanti percepiti dalla musa errabonda di Magris: tra il lembo di Friuli in cui va a cercare le tracce degli avi e la valle tirolese cristallizzata per sempre nel gelo delle vacanze invernali. E tutti questi luoghi si dispongono come un piccolo arcipelago di isole, separate e permeate dalle dune sabbiose, dalle correnti aguzze. Come suggerisce «Lagune», uno dei punti alti del libro. Racconta l'esplorazione in barca, propiziata dalle poesie e dall'amicizia di Biagio Marin, delle isole meno note in cui si sbriciola la venezianità. Da quel limo primordiale trae alimento la storia, le sue riuscite e fallimenti. I suoi crudeli e allegri paradossi. L'omeride Marin, patriota combattivo sotto il dominio austriaco, diventa testimone di civiltà absburgica nei ranghi del rappezzato esercito italiano. Il dimenticato Arcadio Scaramuzza, protagonista della rivolta di Cattaro sotto il segno dell'Ottobre rosso, è costretto a subire, in quanto avversario dell'Austria, gli oltraggiosi riconoscimenti del regime fascista. Evocata dal film che Pasolini girò su questi lidi Medea, eroina magmatica e barbarica, si lascia abbagliare, fino al tradimento dei suoi, dalla chiarità ellenica che è anche frode e rapina. Di queste concrezioni di natura e storia, di questa sapiente miscela dello spazio e del tempo, del pubblico e del privato, vivono i Microcosmi di Magris. Nessun'altra parola come epica e i suoi derivati ricorre con tanta frequenza, denunciando l'aspirazione a un racconto esemplare in cui tutto si tiene, il destino dell'individuo e della specie, l'intensità degli affetti e le corrispondenze della natura, la goccia di pianto nell'impassibile distesa del mare. Una delle soste più magate ha luogo nella foresta di Monte Nevoso, con gli annosi, inutili appostamenti della famiglia Magris per vedere l'orso, che diventa così il simbolo di una oscura presenza, di una immedicabile assenza. Un itinerario imprevedibile si svolge invece tra le colline torinesi (Torino, già capitale della germanistica italiana, è la seconda città di Magris). Conversazioni tra amici, trattorie confidenziali, relazioni di eruditi locali, incursioni nell'anima difficile del Piemonte. L'irrequietezza del viaggiatore non va mai disgiunta dal godimento di uno scarto anche minimo rispetto a una vita pianificata e insulsa, dagli affioramenti che contano proprio in quanto tali. Si veda il rapimento di quella notte («...s'incurva come l'abside di una chiesa, un cielo nero che sembra blu; anche certi capelli neri neri sembrano blu...») che riprende e rilancia uno dei motivi più catturanti. E dalle colline, ancora una volta, alle isole, a Cherso e propaggini, alle immote estati in cui una storia particolarmente vicina e tormentosa sembra riassorbirsi nelle rocce salmastre, polverizzarsi nella luce. V hi principio era e resta il triestino Caffè San Marco, da cui tutto parte e sembra ritornare, attraverso e oltre l avventura dello scrivere A una prima lettura, il viaggio si esaurisce in queste partenze e approdi che trovano il loro seme nelle acque marine. E' lo stesso autore a sviarci, quando ricorda che, secondo una tradizione mitologica, il Danubio viene a congiungersi attraverso un gioco di affluenti con l'Adriatico. Il richiamo a quell'altro libro, Danubio appunto, potrebbe alludere a un suo prolungamento, a una raccolta di «èpaves»: la ricognizione degli ultimi avamposti della civiltà mitteleuropea e dei suoi punti morti, tra laguna e montagna. In realtà il romanzo, che di questo infine si tratta, sottende un altro viaggio che, annunciato dai continui echi e rimandi interni, si svela negli ultimi due capitoli, specialmente in quello brevissimo intitolato «La volta». Qui avvertiamo che il protagonista, con il bagaglio del suo vissuto, si è limitato, come un eroe joyciano, a compiere il percorso che dal Caffè San Marco conduce, attraverso i giardini pubblici, alla chiesa del Sacro Cuore. Lo aveva detto, fin dall'inizio, che l'osteria e la chiesa si toccano, entrambe sono «aperti al viandante che passa per la terra e vuole riposarsi un momento all'ombra». Ma prima di compiere il suo «piccolo giro del mondo» recupera nel Giardino l'infanzia remota in cui tutto è già accaduto (bellissimo l'episodio, insistente come un affanno, del bambino che libera nella vasca il pesce rosso morente). Così, armato dei suoi ricordi più struggenti, finisce sotto la volta di un'abside. Là, in un onirico, presago vaneg¬ giamento, incontra tutti gli emblemi del suo tragitto terreno (l'acqua santa, il bosco, l'onda marina, il pesce...), in una ressa di persone amate e sconosciute dove l'io si confonde solidalmente con l'ognuno. Preso per mano dalla sua donna che non ha avuto paura di morire, salta attraverso i cerchi fiammeggianti sorretti da due angeli per tuffarsi nel mare blunotte del cielo (mentre il prete, sigillo estremo di sacralità, «inizia la funzione della sera»). E' il viaggio della vita e, come tale, un appressamento alla morte. Un viaggio che senza negarsi, in una totalità continuamente rivendicata, la festa e il riso, lascia sulla pagina un fremito di virile, conturbante malinconia. Lorenzo Mondo NIEVO SULLE ORME DEI CARI ESTINTI E II sorrìso degli dei Stanislao Nievo aspira a un'opera che, all'interno della struttura narrativa, d'obbligo, oggi, o quasi, racchiude in sé storia e visione, pura esperienza dell'anima separata dal corpo e capace di oltrepassare nelle esperienze che in questo stato compie ogni limitazione di tempo e di spazio, e ammaestramento spirituale, itinerario di affinamento interiore. Per costruire un libro così programmaticamente sfaccettato e complesso, Nievo ricorre a una trama di simboli ricorrenti, di immagini e di situazioni cariche di messaggi allegorici, che ritornano in ciascuna delle tre vicende narrative, unite dal fatto che protagonisti ne sono tre membri della stessa famiglia, tutti morti di morte violenta, per mano dei nemici feudali nella storia più lontana, che data al 1194; per un attentato che fa esplodere la na- IL SORRISO DEGLI DEI Stanislao Nievo Marsilio pp. 214 L. 28.000 IL SORRISO DEGLI DEI Stanislao Nievo Marsilio pp. 214 L. 28.000 ve su cui è imbarcato di ritorno dalla Sicilia dopo l'impresa di Garibaldi nella seconda storia (ed è la vicenda di Ippolito Nievo); in un altro attentato nella terza storia, che fa precipitare nel Sahara un aereo dove viaggia il più recente fra i protagonisti tragici. Il filo che unisce le tre vicende non è soltanto quello dell'appartenenza delle tre vittime alla stessa famiglia, ma è anche il personaggio del ((viaggiatore» della stessa stirpe, che va nel deserto, dove è caduto l'aereo, per trovarvi qualche traccia del fratello morto o qualche rivelazione intorno alle ragioni non della croitaca (o della sto¬ ria), ma entro il disegno più vasto delle corripondenze e delle coincidenze. I punti di contatto fra le tre storie sono di carattere simbolico più che concretamente riferibili al fatto dell'appartenenza alle stesse famiglie delle tre vittime e del ((viaggiatore». Ma c'è soprattutto la mescolanza di figure di vivi e di morti, ci sono boschi fantastici nella loro idillicità, castelli popolati di anime pacificate o ancora inquiete di rancori e timori, maestri misteriosi dello spirito, eremiti del deserto o altri abitanti del castello, cavalieri che appaiono e scompaiono, una iena e un leone metafisici nel Sahara, messaggi che resistono al tempo e alle intemperie per rivelare dopo secoli qualcosa del passato. Ma soprattutto c'è una continua connessione fra i vivi e i morti; e soprattutto il ((viaggiatore» ne fa l'esperienza più compiuta e significativa, durante le sue ricerche nel deserto dei resti dell'aereo esploso, nelle quali si perde, è sepolto dalla sabbia durante una bufera di vento, incontra l'eremita, gli animali allegorici, il fratello, conversa con lui e con gli altri morti, così come, del resto, già aveva fatto nelle indagini e negli scavi del suo castello crollato per il terremoto, e anche l'antenato, dopo essere stato pugnalato a morte dai suoi nemici, aveva finito con il ritrovarsi fra i morti, per imparare a liberarsi dalle passioni e dai rancori e trovare perdono e pace. Sono queste la parti del romanzo in cui domina l'intento di ammaestramento spirituale, tradotto sempre con molta sapienza e con pienezza di illuminazione e di speranza, nella sequenza delle immagini visionarie. Le allegorie con grande efficacia si incarnano in figure; e quelle di colombi, tortore, leone, iena, passero, valgono prò-

Luoghi citati: Austria, Friuli, Piemonte, Sicilia, Torino