La lavagna di chi cerca la vita

1 RE 1 REPORTAGE r a Bordeaux un'unità speciale per il male oscuro degli adolescenti, un muro racconta drammi e speranze La lavagna di chi cerca la vita «Ecco come sconfiggiamo il suicidio» BORDEAUX DAL NOSTRO INVIATO Il muro a quei tempi non aveva parole. Era bianco. Liscio come una lavagna. In principio, non aveva neanche gli occhi, né i tuoi né quelli degli altri, e non faceva nessuna fatica stare a guardarlo in fondo alla stanza con la televisione di fronte, nei pannelli di legno. Il dottore lo presentò ai ragazzi, un giorno, e disse «questo è il vostro compagno», come se si potesse parlare a un muro. La prima volta qualcuno deve aver pensato semplicemente che un muro non si può far vivere, «perché la vita è solo un sentiero stretto sopra un abisso», come ha scritto questa mattina Sumia, e non c'è altro dolore al di fuori della nostra testa, e non c'è altra morte al di fuori della nostra conoscenza. Il muro a quei tempi era come una lavagna che strideva malamente se la si accarezzava con il gesso. «Facciamo una prova», disse il dottore. La ragazzina stava in piedi accanto al pannello candido, davanti a quella parete che era ancora senza voce, senza niente, e teneva in alto la mano destra, ferma sopra la sua testa. Scrisse lentamente: «Hé, Signor psichiatra, smettete di leggere nei miei pensieri. Loro se ne volano via». Però da quella volta, il muro del Centre Jean Abadie di Bordeaux cominciò a parlare, e cominciò a raccogliere ogni giorno il dolore dei ragazzi, e a trattenere i pensieri che se ne volavano via, come aveva detto Laetitia, e a conservare le sofferenze e le speranze dei più deboli, di quelli che almeno una volta nella vita hanno tentato di farla finita. Come Marie-Paule che aveva 18 anni quando sua madre la chiamò e le disse: «Non è quest'uomo il tuo vero padre. In verità, tuo papa non ti volle». Lei ingoiò tante pastiglie da non svegliar- si più. Eppure fu salvata e chissà cosa raccontò a questo muro, la volta che sgusciò di nuovo dai fondali scuri del mistero, che venne fuori dal lungo sonno che l'aveva avvolta. Come Francoise, che da bambina fu violentata dal padre e ora, da grande, non se la sentiva più di vivere con il ricordo di quell'aggressione; come Aurelia che ha ritrovato il babbo dolce e alcolista dopo 16 anni e non riesce più ad essere felice; come Michel che ha tentato di impiccarsi all'armadio della camera da letto dopo l'ultima lite con la mamma. Ne uscirono, Marie-Paule e Aurelia e gli altri, ma qualcuno non ce l'ha fatta in questi anni che il muro ha cominciato a vivere e a parlare, perché così va il mondo e anche questo muro, che ci piange e ci stride sopra come uno di noi. Adesso c'è scritto anche questo: «La morte si avvicina, mi balla intorno. Aiuto. Non so più dove nascondermi». E c'è scritto anche: «Avrei preferito vivere, ma ho deciso: io vado a morire domani». E' il muro dei suicidi, ed è tenero come loro, debole e indifeso come loro, «che in fondo vorrebbero solo fermare la vita come un sonno», proprio così come dice il professor Xavier Pommereau, «e poi magari riprenderla, un po' più uguale a quella degli altri, un po' meno dolente di quello che era, un po' meno disperata». Il muro è nella stanza della biblioteca, dove si può guardare la tivù, e ora non è più bianco, senza parole. «Io sono uscita, ma sono ritornata», scrive Claudine. «Chi può aiutarmi? Non posso più farcela, la morte si ostina a perseguitarmi, e non ho più la forza di ricacciarla». Alcune frasi fanno lo stesso effetto di un pugno nello stomaco, ma il fatto strano è che il muro comincia a farti soffrire del suo stesso dolore, della sua stessa fatica di vivere, ed è questa la cosa più straordinaria. Quella parete che racconta la vita la morte e il suicidio dei ragazzi di Bordeaux è nata nel novembre del 1992, assieme all'idea di questo Centro socia- le fondato dal professor Xavier Pommereau, uno psichiatra di 45 anni, alto e biondo, che allora cominciò a pensare che bisognava creare una struttura speciale solo per gli adolescenti dai 15 ai 25 anni, solo per i loro suicidi, per il loro desiderio di morte e per la loro fatica di vivere. Perché il numero dei suicidi in Francia è quasi raddoppiato negli ultimi vent'anni, e perché più di quarantamila giovani francesi tentano ogni anno di uccidersi. «La mia vita appena cominciata è già finita», ha scritto Laetitia sul muro. E Martine: «La vita è un lungo fiume tranquillo, ma spesso l'acqua si agita. L'importante, quando questo accade, è avere il coraggio di superare gli altri». Pommereau raccolse la prima ragazza dopo una lavanda gastrica per ributtare fuori i barbiturici che aveva ingoiato nel tentativo di fermare il suo tempo per sempre. E così, racconta, nacque quel gruppo: «L'idea è che bisognava far qualcosa per i giovani. Non cliniche, non servizi psichiatrici. Bisognava creare un'unità speciale per accoglierli. Metterli insieme, permetter loro di parlare, di vincere le vergogne, i tabù». E poi quella parete, in fondo alla biblioteca, per ricostruire qualcosa, per ripartire insieme, quelli che ce la facevano e quelli che non ci riuscivano. Ed è straordinario, ora, questo muro che ci piange in faccia. «Buona fortuna a quelli che arrivano... Saluti», ha scritto Michel. Lui sta vicino a Baudelaire, due messaggi così lontani, ma non importa: «La morte plana, sopra di me, come un sole nuovo». Attorno a quel muro, adesso c'è Pommereau e la sua équipe: altri tre psichiatri, due psicologi, due assistenti sociali, 9 infermieri, 5 aiuto, e altri tre agenti d'intrattenimento. In pratica, una persona per ogni ragazzo. I giovani hanno quasi tutti camere singole, e sono 15 in tutto. Si fermano, in media, non più di nove giorni. Sei su 10 quando escono non ci riprovano. Prima, era uno su 10. Tutto bello lindo, ordinato, pulito, qui dentro. In questo mondo d'amore dolente, non c'è un posto, un angolo, che ricordi l'orrore e l'angoscia degli ospedali italiani, anche quelli più decantati. Nella cameretta di Catherine c'è la radio accesa e un quaderno di scuola con le orecchie stropicciate. C'è un sorriso e c'è un tramonto sui tetti di Bordeaux, dalla veranda del balcone. Una donna bambina guarda, appoggiata al vetro. Sul muro c'era scritto: «Scurire a poco a poco di nero nei miei occhi. Io incupisco, io rinuncio, è troppo duro... Peccato, anche l'amore non è un gioco». Eppure, la storia di questa parete non è solo dolente. Gli anni sono passati, e il muro ha cominciato a raccontare le prime vittorie, perché alla fine così va il mondo e anche questo muro. «La lotta della vita merita di essere vissuta», ha scritto Pierre. Caratteri cubitali, più grandi degli altri. E Laetitia questa volta si è svegliata alle dieci. E le dieci del mattino dev'essere un'ora bella per tornare al mondo. Avrà mosso appena una gamba, un braccio, un occhio, che ancora adesso volge verso il giorno che le sta intorno. «Cucu, è Laetitia. La vita è una sofferenza continua. Preparatevi». Il muro al mattino ha chiazze di sole sulle sue ferite e si lascia guardare come un cagnolino che si risveglia. Pensate, aveva scritto: «Non sono io che non amo la vita. E' lei che non mi ama». E adesso, ha lasciato detto: «A tutti quelli che vogliono morire: non vi lasciate andare. Non è che un passaggio, cercate di farvi accompagnare. Coraggio» Perché così va il mondo, e anche questo muro. E se Laetitia vi saluta tutti, dolcemente, è un po' anche per lui. Coraggio. [pie. sap.] i fermano non più di 9 giorni sei su dieci quando escono non ci riprovano. Una ragazza: «A tutti quelli che vogliono morire: non vi lasciate andare» Martine: «La vita è un fiume tranquillo ma spesso l'acqua si agita L'importante, se accade, è avere il coraggio di superare gli altri». I medici: assieme vincono i tabù vi ^\v^: fri- t • ^- ' "«"•■•sWl A destra il muro su cui i ragazzi scrivono i loro messaggi. Sotto un'immagine di Bordeaux, che ospita il centro per gli adolescenti che hanno cercato di uccidersi ifotodi mario dondero - da famiglia cristiana]

Luoghi citati: Bordeaux, Francia