Le tre condizioni per non fallire

2500 UOMINI ANALISI Le tre condizioni per non fallire ER il gioco dei fusi ora1 ri, il voto del Consiglio di sicurezza dell'Onu che autorizza una «operazione umanitaria protetta» in Albania - quell'intervento che il governo italiano ha fortermente voluto, e di cui assumeremo il comando - è arrivato mentre nelle acque buie dell'Adriatico era da poco affondato il dragamine albanese entrato in collisione con una corvetta della Marina italiana, mentre si cercavano dispersi e si recuperavano corpi senza vita, mentre sulle banchine del porto di Brindisi chi aveva parenti su quella imbarcazione sfogava rabbia e dolore. Una tragedia forse annunciata, come non pochi dicono ora, o che comunque non poteva essere esclusa per le condizioni slesse in cui avviene il pattugliamento, questo blocco che non è un blocco ma non si sa bene cosa sia, e su cui ha espresso critiche appena un paio di giorni fa il rappresentante in Italia dell'Alto Commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite. Perché, accettando sino a prova contraria la versione fornita dalla Marina, l'imperizia di chi pilota questi traghetti di disperati andava messa in conto. Ma, soprattutto, è una tragedia che purtroppo fa partire nelle condizioni peggiori una missione che vede per la prima volta l'Italia assumersi la responsabilità di gestire una crisi internazionale, mossa da interessi nazionali legittimi oltre che da doveri di solidarietà verso un Paese disastrato in ogni senso, su cui la stessa comunità internazionale si aspetta eserciti una positiva influenza. E infatti per la verità siamo l'unico Paese che sta facendo qualcosa per l'Albania, è solo per le nostre insistenze se con grave ritardo su quello che sarebbe stato necessario si sta arrivando a un intervento internazionale di carattere umanitario sul suolo albanese. E abbiamo ogni ragione di sostenere che, per quante riserve si possano avere sulla giustezza della politica anti-esodo adottata, quel dramma che si è consumato a poche miglia dalla nostra costa forse non sarebbe avvenuto se la comunità internazionale non avesse perso tempo tra calcoli meschini, palleggiamenti di responsabilità e lungaggini procedurali. Ma quella diretta assunzione di responsabilità, che si traduce nel comando del contingente multinazionale che ha il compito di proteggere militarmente l'azione umanitaria. nell'adempimento di un ruolo - come si dice - da media potenza regionale certamente alla nostra portata, poiché molto ci espone in mezzo a tante incognite, avrebbe bisogno di poggiare su alcune condizioni che proprio il dramma dell'altra notte ha dimostrato essere assai procarie. La prima è una forte misura di consenso nazionale, unu solidarietà sul fronte interno che sorregga lo sforzo, e assorba anche psicologicamente sviluppi negativi da mettere in conto quando si opera in una zona a rischio. E invece ieri da troppe parti ci si è precipitati a lanciare accuse inconcepibili, a parlare di «strage», di «omicidio colposo», oscillando fra linciaggio morale e sciacallismo politico, con una perentorietà di giudizi viscerali che planano su una collettività già mal disposta per le condizioni generali del Paese, e che proprio nella vicenda dei profughi albanesi ha mostrato un livello allarmante di esasperazione di per sé immotivata. La seconda condizione è la buona accoglienza della popolazione locale. E purtroppo quello che è avvenuto sembra già aver generato, almeno a Valona, risentimenti che potrebbero estendersi e sfociare in ostilità quando i nostri soldati saranno impegnati sul terreno, magari sobillata da chi ha tutto da perdere dal ristabilimento dell'ordine. La terza è l'intesa piena con il governo legittimo, per quanto debole. E anche qui si è subito assistito ad una presa di distanza di Tirana, forse per reagire al modo con cui fonti italiane hanno dato l'impressione di voler scaricare interamente sulla controparte albanese la responsabilità della operazione di pattugliamento, anche se è vero che esso avviene in base ad un accordo. Tanto piìi allora è indispensabile che il nostro contingente e chi lo guida partano con un mandato chiaro e operino con regole chiare, senza quelle ambiguità riscontrabili anche nelle finalità dichiarate e nelle modalità di esecuzione del pattugliamento sfociato nella tragedia dell'altra notte. Occorre che il governo si ricordi che non ci si sono solo le «manovrine», e si faccia carico della gestione politica dell'operazione. E occorre che le forze presenti in Parlamento si rendano conto che la vera sfida deve ancora cominciare. Rodolfo Brancoli oli |

Persone citate: Rodolfo Brancoli

Luoghi citati: Albania, Alto, Brindisi, Italia, Tirana