I'urlo dei fantasmi: «Assassini» di Pierangelo Sapegno

I/urlo dei fantasmi: «Assassini» I/urlo dei fantasmi: «Assassini» «Abbiamo visto i nostri figli affogare» BRINDISI DAL NOSTRO INVIATO «Assassini, assassini!», urlano le facce del dolore. «Ci sono venuti addosso!», strepitano ancora. E c'è un ragazzo di 25 anni che invece non ha la forza di alzare la voce e non ha la forza di niente e racconta con un filo appena: «Ho perso mia moglie e mio figlio. Aveva due mesi mio figlio, e l'ho visto affogare davanti a me». Alle due di notte, la tragedia della carretta che s'è inabissata a 25 miglia da Otranto, proprio a metà della rotta fra Valona e Brindisi, si materializza come per un doloroso compimento del destino, anche nell'attesa di quelli che sognavano una vita migliore per tutti e per i loro cari, nella speranza di quelli che erano già arrivati, che c'erano già, dall'altra parte del mondo, qui, dove il lavoro magari serve per regalarsi la vita, non solo per campare. Si materializza nel volto intagliato di Iryna che alle sei aveva chiamato Valona per sapere se sua sorella e i suoi due figli ce l'avevano fatta a partire. «Sì, alle 5», le avevano detto. «Si sono imbarcati su una vedetta militare». E allora Iryna s'era fatta il trucco e i capelli Usci come per una festa di paese, mentre chiamava Urak e gli diceva: «Incomincia ad andare, tua moglie sta arrivando con i bambini. Io sarò lì più tardi». E si materializza nella faccia di Xhaka o in quella di Domy, che fa il manovale a Carmiano, nel Leccese, ed è venuto qui ad aspettare i parenti, tirandosi su 0 bavero della giacca e passandosi ogni due secondi la mano sui capelli che il vento rivolta tutti. Si materializza come per un triste incanto sui loro volti spazzati dalla tragedia e su quello di Anton Sametaie, 25 anni, da Valona, che passa dall'altra parte del cordone assieme gli altri 19 superstiti (16 uomini, due donne e due bimbi), piangendo la moglie e 0 figlioletto affogati davanti ai suoi occhi. «Li ho visti annegare», dice abbassando la testa, e «li ho visti annegare», ripete più forte come per convincere gli altri e se stesso. «Mio figlio è sparito in un secondo, aveva due mesi mio figlio». Ma tu perché ti sei salvato?, gli chiedono. «Perché faceva freddo e tutti gli uomini e gli adulti si erano messi in coperta, per liberare il posto alle donne e ai bambini». Certo, ad ascoltarla così, è una scusa che parrebbe avere dello scandaloso: i più deboli non dovrebbero essere ficcati nelle stive a rischiar la vita per primi. Solo che adesso, nella tragedia che s'è appena compiuta, nessuno ci pensa troppo. Anton piange e gli altri ascoltano muti del figlioletto ingoiato dal mare come un fagotto inanimato. Menton Nazarko, giornalista del Dita di Tirana, raccoglie le loro lacrime e le loro accuse: «Dicono che sono morte più di 50 persone, che c'erano tanti bambini. E dicono tutti che gli sono venuti addosso». Uno, con la testa ferita, si stringe una benda sul capo e racconta che ha visto benissimo «la nave militare italiana che ci veniva contro, dopo averci intimato l'alt. Ci hanno detto di fermarci e subito dopo ci sono arrivati addosso». Tutto si mischia e si confonde, il dolore e la rabbia, l'angoscia e la speranza, nel gran trambusto che s'avvolge sulla banclùna della stazione marittima, sotto le luci dei fari e i flashes dei fotografi. I naufraghi vengono prima portati in un prefabbricato della Croce Rossa e da lì, dopo essere stati rifocillati, imbarcati su un pullman. Per raggiungerlo devono percorrere venti metri, stretti fra due cordoni di agenti e di carabinieri. In quel breve tratto urlano le loro accuse, poi, quando salgono sull'autobus, qualcuno mima la collisione battendo tra loro i pugni chiusi e volgendo il pollice verso il basso per indicare l'affondamento della nave. E' ancora Menton Nazarko che spiega e ripete le accuse: «dicono che gli sono venuti addosso e che la nave è affondata per questo». Una giovane donna esce dal prefabbricato, piangendo e gridando: «I bambini, i bambini!» Lì vicino, Xhaka Ismete, manco li ascolta. Dice che molti di loro li conosce, che sono quasi tutti di Valona e di Pier, che ha rivisto alcuni amici fra quelle facce di dolore che sono sfilate davanti a noi. Solo che non ha visto i suoi. Xhaka ha 50 anni ormai come i suoi capelli grigi e gli occhi stanchi, ed è venuto assieme alla cognata per aspettare la moglie e i due figli: ((Avevamo trovato casa per loro, ci facevamo più stretti, ma ci saremmo stati tutti. Ci avevano chiamato: stiamo arrivando, partiamo alle 5 da Valona». E allora Xhaka s'è mosso anche lui con il suo misero fardello di speranza. Come Iryna, che ha fatto in fretta i conti e ha pensato che le sarebbe bastato arrivare a Brindisi all'imbrunire per vedere sua sorella. Iryna è una donna massiccia, con gli zigomi larghi, le sopracciglia marcate e i lunghi capelli neri che fanno tutti i suoi quarant'anni. Ci ha messo un po' a farsi bella, ma la fretta è stata più forte. Così, quando Urak è passato per dirle che andava, lei era già pronta: «vengo anch'io», gli ha detto. Alle sette di sera erano sulla banchina, e avevano lasciato la vecchia 128 bianca un po' più in là. Urak l'aveva lavata come nuova, tutta splendente con il ciondolino sullo specchietto. La cronaca poi ci ha raccontato che proprio alle 18,57 è avvenuta la collisione e che alle 19,03 la carretta albanese si è inabissata nei fondali del canale d'Otranto. Il mare dev'essere un terribile amico del destino. A quell'ora, sulla banchma, è arrivato anche Xhaka, ed è arrivato Domy, tutto infreddolito nella sua giacchetta contorta dal vento. Iryna e gli altri hanno cominciato a sentir le prime voci dopo i telegiornali, mentre 0 vento tirava più forte e il buio chiudeva il mare davanti a loro. Alle dieci, quando la tragedia aveva già i suoi numeri, Iryna andava in giro a interrogare i giornalisti: «Sapete se hanno salvato dorme e bambini? E sapete quanti sono i morti?» I giornalisti rispondevano tutti con l'ignoranza della pietà. Ma adesso portano a terra i superstiti, le dicevano come per consolarla. Solo che Iryna e gli altri hanno aspettato altre 4 ore, e hanno dovuto aspettare le due di questa notte malvagia, prima di veder compiersi tutta la tragedia negli occhi dei pochi sopravvissuti. Alle due, quando sono arrivati i primi venti, lei è corsa dietro al cordone degli agenti assieme a Urak e li ha guardati negli occhi uno per imo, non solo per scoprire chi fossero, ma anche per capire un cenno, qualcosa, un segnale qualsiasi. Iryna è rimasta in silenzio. E anche Xhaka non ha detto una parola e ha aspettato di nuovo. Ci sono volute altre due ore perche la vedetta 809 tornasse sul molo della stazione marittima con il nuovo carico di superstiti. Non ci sono donne, non ci sono bambini. Sono 14 uomini, tredici adulti e un giovanotto. Il dolore di Iryna è esploso in quel momento, con un urlo disperato. Il sogno italiano era finito, a 800 metri in fondo al mare Iryna c Urak si sono abbracciati e si sono lasciati cadere per terra piangendo. Lei è svenuta. Per venti minuti sono risuonate quelle urla. Mentre Domy piangeva guardando il cielo. Mentre Xhaka si avvicinava piano ai 14 superstiti dietro al cordone dei poliziotti. Ha fatto un cenno con il volto verso di imo, che l'ha salutato abbassando il capo. Xhaka è rimasto fisso a guardarlo. Allora l'altro dopo im po' ha levato gli occhi: «Mi dispiace. Tua moglie non ce l'ha fatta. L'ho vista sparire nel mare, mi dispiace». Xhaka è rimasto immobile, a fissarlo ancora. Erano le 4,30, c'era un vento della malora che s'era divorato tutti i sogni italiani. Poi il gruppo s'è mosso, e quello s'è stretto nella coperta militare. «Mi dispiace», ha detto prima d'andarsene via. Pierangelo Sapegno I sopravvissuti: «Faceva freddo, le donne e i piccoli erano nella stiva. Ci hanno detto di fermarci e subito dopo ci sono arrivati addosso» Sopra lo sbarco dei superstiti del naufragio. A sinistra una giovane donna soccorsa a Brindisi

Persone citate: Anton Sametaie, Leccese

Luoghi citati: Brindisi, Carmiano, Otranto, Tirana, Valona