Brindisi, nel porto in atteso dei dannati di Fulvio Milone

Brindisi/ nel porto in atteso dei dannati IL MARE ASSASSINO Brindisi/ nel porto in atteso dei dannati L'angoscia e la paura tra {parenti dei naufraghi BRINDISI DAL NOSTRO INVIATO Il primo gruppo di venti naufraghi albanesi salvati dalle acqua deh'Adriatico forza cinque era atteso a Brindisi nella notte. Erano a bordo di una vedetta veloce «cp-809» della Guardia Costiera: sedici uomini, due donne e due bambini. Gli altri quattordici profughi, salvati prima del completo affondamento dell'unità albanese, erano invece attesi per le prime luci dell'alba, a bordo della corvetta militare italiana «Sibilla», che era rimasta in zona per continuare le ricerche dei superstiti. In porto in serata era rientrata un'altra motovedetta della Capitaneria di Brindisi: la «255», tornata in anticipo a causa di un'avaria a uno dei due motori. Per lo smesso motivo, l'avevano preceduta in banchina altre due vedette. Ieri sera, in attesa dell'arrivo dei naufraghi e delle salme a terra, il Comune aveva predisposto il centro di accoglienza nell'ex caserma di Polizia «Carafa» mettendo a disposizione l'obitorio per trasferirvi i corpi delle vittime. Sulla banchina del porto brindisino c'erano anche, sconvolti, vari cittadini albanesi, in attesa dei familiari che erano imbarcati sulla nave affondata. Un giovane, che da due anni lavora in Italia, aspettava la moglie e i due figli. Non lontano dal gruppo, il sindaco Lorenzo Maggi. Per il primo cittadino, «è una tragedia di fronte alla quale non si può restare inermi». «A questo punto - ha continuato - bisogna andare in Albania, anche con l'aiuto internazionale, per ricostruire questo Paese moralmente, civilmente, economicamente». Maggi si è poi appellato al governo italiano affinché «decida subito cosa si dovrà fare dopo i 60 giorni di permanenza concessi ai profughi. Queste persone - ha dichiarato- devono sapere se, trascorso questo tempo, saranno rimpatriati o se ci sarà la possibilità di inserimento sociale. Non ere do - ha concluso - che questa gente abbia affrontato il mare in queste condizioni per venire a fare una vacanza. Perciò ha il diritto di sapere quale sarà il loro destino». L'eco del dramma era arrivato qui, sul lungomare di Brindisi, con il rumore incessante degli elicotteri e degli aerei che pian piano diventavano punti luminosi nel cielo nero della notte verso l'Albania, e delle motove¬ dette della Capitaneria di porto e della Guardia di Finanza, che prendevano il largo a tutto gas. Comunque siano andate le cose, questa è una tragedia che periodicamente si rinnova ma a cui nessuno, qui in Puglia, è mai riuscito ad abituarsi. I suoi ingredienti sono il sangue, quello dei dannati di Tirana che rischiano la vita in mare, e il danaro, quello intascato dai trafficanti di clandestini che pagano a peso d'oro la fuga da un paese violento e senza futuro: un mercato in cui non c'è posto per la pietà, come dimostrano le carrette del mare utilizzate nei giorni scorsi per traghettare i profughi: nessuno, crai, riesce a spiegarsi come abbiano fatto quei relitti divorati dalla ruggine ad affrontare la traversata senza colare a picco con il loro carico di uomini, donne e bambini. Questa volta, però, è successo. E ancora una volta accadrà, sembravano dire i brindisini che si accalcavano sulle banchine presidiate dalle troupe delle tv. Fino a poche ore fa pensavano con insofferenza ai tredicimila profughi laceri e sporchi arrivati in porto nelle scorse settimane con quelle vecchie navi. La solidarietà, alla lunga, stanca. Ora, pero, ci sono di mezzo dei morti. E la mente di questa gente abituata a convivere con un mare incantevole ma, a volte, assassino, torna indietro nel tempo ed è percorsa da un brivido di paura. Il dodici ottobre del '94 il brutto tempo non aveva fermato i mercanti di clandestini, mafiosi albanesi che si erano arrischiati fra le oi.de con un motoscafo carico di 26 disperati in fuga verso l'Italia. Undici eh loro non videro mai le coste pugliesi: affogarono durante il naufragio della barca che, si è poi saputo, non aveva nemmeno un salvagente a bordo. L'anno precedente, a dicembre, un altro naufragio costò la vita a undici persone. L'unico superstite, Stefan Kolonia, rac¬ contò di aver visto i suoi amici scomparire uno dopo l'altro dopo che il gommone era stato spezzato in due da un'onda. «Erano aggrappati al relitto, ma a poco a poco il freddo li ha come tramortiti: si sono lasciati andare senza un lamento, quasi cercando la morte», disse ai giornalisti mentre stringeva fra le mani una tazza di caffè bollente, in un prefabbricato della Guardia di finanza che l'aveva salvato. Fulvio Milone Albanesi in armi

Persone citate: Carafa, Lorenzo Maggi, Maggi, Stefan Kolonia