Tatò farà concorrenza ai telefoni di Stato di Massimo Giannini

-^1 NOMI E COGNOMI Tato farà concorrenza ai telefoni di Stato UESTA è Roma, signori», va ripetendo da qualche settimana Guido Rossi, gran borghese del Nord trapiantato nella capitale con un compito titanico, privatizzare la Stet. Ma appunto: privatizzarla «alla romana», cioè accettando quei piccoli o grandi compromessi imposti dalla Politica, che nella città eterna conta più del business. Da ieri, a partire dalle schermaglie in assemblea, ci si arrovella su un dubbio: la golden share - ideologicamente negletta dal nuovo presidente della Stet, ma pragmaticamente introdotta da ieri nel suo statuto - appartiene alla categoria dei «compromessi»? Dubbio in realtà da pura accademia: lo è, visto che senza golden share Bertinotti non avrebbe mai dato via libera alla madre di tutte le privatizzazioni. Il Professor Rossi lo sapeva fin dal primo giorno, da quando cioè era stato chiamato da Prodi per succedere insieme a Tommasi alla premiata ditta Agnes-Pascale, ed aveva accettato. Quindi c'è poco da scandalizzarsi oggi, se il nuovo presidente del colosso delle telecomunicazioni si sia acconciato a convivere con un socio pesante, il Tesoro, dotato di un'«azione d'oro» per i prossimi tre anni. Con questo governo e con questa maggioranza, per privatizzare la Stet non c'era politicamente altra via. L'ha riassunto bene, il concetto, lo stesso Rossi, con la storiella raccontata in assemblea sul mercante arabo, il gattino e il cammello. In linea di principio, il tributo pagato alla Politica non è poi nemmeno così alto. Anche in questo Rossi ha ragione nel denunciare la strumentalità di alcune critiche alla golden share. Stiamo infatti ai suoi contenuti, e guardiamo a quanto è successo all'estero. Un esempio tra i tanti, oggi quello più celebrato in Italia da tutti, neo-liberisti della Destra moderata e riformisti di Sinistra: la Gran Bretagna. La golden share della Stet ricalca in modo quasi pedissequo il modello inglese thatcheriano. Nel caso della British Oil (offerta al pubblico nel novembre dell'821 e della Entreprise Oil (ceduta nel giugno dell'841 la golden share è stata pensata come un'azione «dormiente» nelle mani del governo, da usare solo in circostanze eccezionali. Nel caso della British Telecom (la cui prima tranche fu collocata nel novembre dell'84) è stato previsto l'obbligo di notifica al management da parte di qualunque azionista che raggiunga una quota del 5% del capitale, e il diritto dello Stato a imporre a chiunque superi una quota del 15% l'obbligo di ridurla, sia nell'ipotesi di un singolo azionista sia in quella di un gruppo di soci che agiscano di concerto, i cui diritti di voto I vengono comunque sospesi. Le I stesse norme «quantitative» so¬ no state introdotte per la British Gas (alienata nel dicembre dell'86), mentre norme «temporali», analoghe a quelle previste per la Stet, sono state varate per le altre grandi privatizzazioni della Lady di ferro: golden share di cinque anni per Thames Water, British Steel e Jaguar, di due anni per Power Gen e National Power, e addirittura di durata illimitata nel caso di Rolls Royce e British Aerospace, aziende del settore Difesa e quindi più a rischio nel caso di scalate di gruppi stranieri. Dunque, pur avendo in quota l'ultimo partito comunista dell'occidente europeo, il governo italiano non ha ecceduto negli antichi vizi di sovietizzazione dell'economia, visto che ha preso a modello la golden share della signora Thatcher: esempio compiuto di come - per riprendere la metafora di Rossi si possa vender bene un cammello anche se ha un gattino sopra. Il problema di fatto, però, è che l'Italia ha un'altra storia, le sue forze politiche tutt'altro Dna, e i suoi governi ben altra cultura di mercato. Ed su questi scogli che la realpolitik di Rossi sulla golden share rischia di rivelarsi in prospettiva malriposta. Come rischia di esserlo la fiducia nella futura liberalizzazione delle telecomunicazioni. Un punto fermo, a quanto pare, c'è già: il secondo gestore della rete telefonica fissa sarà l'Enel. Franco Tato, amministratore delegato del gruppo energetico pubblico, è stato già un paio di volte a Largo de Brazzà, in pellegrinaggio dal ministro delle Poste per candidarsi all'ingresso nel settore dopo il gennaio del '98. Maccanico gli ha dato la sua benedizione. Anche il ministro del Tesoro Ciampi è d'accordo: sia perché questo consentirebbe all'Enel di sfruttare e valorizzare la sua già potentissima rete, magari previo accordo con un grande operatore di telecomunicazioni internazionali, come ad esempio France Telecom. Sia perché questa, sul piano politico, potrebbe essere un'altra carta da giocare nella trattativa con Rifondazione comunista, per convincerla a far cadere la golden share sulla Stet: alla liberalizzazione delle telecomunicazioni, infatti, parteciperebbe l'Enel, cioè un gruppo destinato a rimanere pubblico ancora per diversi anni. E anche questa è Roma, signori. Massimo Giannini — I uni I

Persone citate: Bertinotti, Franco Tato, Guido Rossi, Maccanico, Power Gen, Prodi, Rossi, Thatcher, Tommasi

Luoghi citati: Gran Bretagna, Italia, Nomi, Roma