Missione Albania dubbi e veleni di Francesco Grignetti
L'operazione costerebbe all'Italia 60 miliardi al mese, necessari anche volontari di leva L'operazione costerebbe all'Italia 60 miliardi al mese, necessari anche volontari di leva Missione Albania, dubbi e veleni L'Osce non dà ancora il via libera ROMA. Lunghissima interminabile giornata di discussioni a Vienna, nella sede dell'Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa). E' qui, nel forum della piccola Onu europea, composta di 54 Paesi, con Usa e Russia, che si sta decidendo la sorte dell'Albania. Esiste tra i 54 un accordo di massima per inviare una missione in Albania, composta di civili, protetta da militari. Dovrebbe essere operativa quasi certamente dopo Pasqua, cioè ai primi di aprile. Però anccra nulla è formalizzato: la riunione si è conclusa senza decisioni e non è stata fissata una data per un'altra seduta. A sera l'Albania - che «non ha presentato alcuna richiesta all'Osce, ma solo alla Ueo e all'Unione europea», secondo il suo ambasciatore Zef Mazi - faceva sapere, per bocca del premier Bashkim Fino, che il piano dell'Osce era «accettato». Secondo indiscrezioni, sarebbe sempre Franz Vranitzky, l'ex cancelliere austriaco che già ha condotto la missione esplorativa a Tirana nella settimana scorsa, a guidare la missione di ricostruzione dello Stato albanese e di far ripartire il processo democratico. Agli italiani, invece, spetterebbe il comando militare. La decisione dell'Osce - supportata da un'eventuale risoluzione dell'Onu - è la premessa indispensabile per qualsiasi missione intemazionale. Ma non è cosa facile. Molti Paesi del Nord Europa snobbano la crisi alba nese. La Farnesina, con un diffi cile lavoro di convincimento, ha cercato di orientare le richièste albanesi e, allo stesso tempo, di ammorbidire le perplessità di molti Paesi membri. La Russia, innanzitutto. C'è stato uno scambio di lettere tra Dini e il ministro Primakov: Mosca ap poggia il piano «globale» italiano di assistenza all'Albania, però all'Osce s'è dimostrata partico larmente guardinga sugli aspetti militari. Ma anche altri Paesi so no dubbiosi sulla natura e la durata di un'eventuale missione militare. Tante difficoltà indignano L'Osservatore Romano: «La burocrazia internazionale frena la solidarietà a un popolo che soffre. Dopo l'evidente disunione dell'Unione europea, nella riunione a Vienna dell'Osce è emersa la burocrazia. L'Ue, dopo due giorni di discussioni, ha rinviato ogni decisione e si è messa d'accordo solo sull'invio di una mis sione esplorativa. La pace in Al bania resta un miraggio senza l'aiuto della comunità interna zionale». La Difesa italiana, intanto, affina la pianificazione militare Ma la parola d'ordine resta massima cautela. Spiegava ieri il sottosegretario Massimo Brutti pds: «L'intervento militare in Al bania deve partire in tempi rapi di, ma l'operazione dev'essere gestita con prudenza, attenzione e serietà. Dobbiamo andare in Albania con i piedi di piombo per garantire che il cammino si svolga in condizioni di sicurez za. La situazione lì è quella che vediamo in questi giorni, quella che abbiamo visto nell'episodio dei medici della Croce Rossa». Fuori di linguaggio diplomatico, significa che i vertici della Difesa hanno non pochi problemi che spiegano bene la loro ritrosia a ficcarsi nel ginepraio albanese. Si va dai conti (sono preventivati 60 miliardi al mese di sole spese vive, circa 800 miliardi in un anno), agli uomini (per predisporre un contingente di duemila soldati si deve ricorrere alla leva, sia pure chiedendo volontari), agli ordini (si spara o non si spara?). Brutti ribadisce: «L'Italia è pronta a fare la sua parte con qualche migliaio di soldati, ma la missione dev'essere internazionale». Ora, siccome si sono tirati fuori americani, inglesi e tedeschi, restano francesi e spagnoli. Più portoghesi, greci, austriaci e forse anche di romeni e turchi. Un mix non troppo facile da governare. L'obiettivo finale è un dispositivo di 5000 soldati. Lo stato maggiore, considerando che deve garantire le missioni in Bosnia e in Sicilia, ha mobilitato quanto gli restava: i fanti della Sassari, i marò, i lagunari, i paracadutisti, i carabinieri, le truppe scelte. Si sa anche, più o meno, che cosa andrebbero a fare: presidiare i porti di Valona e Durazzo, militarizzare l'aeroporto di Tirana, creare due-tre corridoi che vadano dal mare verso l'interno. Ma ci sono posizioni superpacifiste, all'interno della maggioranza, che sono spine nel fianco del governo. «E' inaccettabile una qualsivoglia missione militare, anche se mascherata con fini umanitari. E' un sostegno del nostro governo a Berisha», dice Rifondazione comunista. E intanto partono alla spicciolata i primissimi aiuti. Oggi dovrebbe arrivare a Tirana il primo carico aereo di provviste dell'Onu, ufficio World Food Program. La Croce Rossa internazionale, per predisporre carichi di medicinali, ha chiesto sovvenzioni: arriveranno 4 miliardi dall'Unione europea, 1 miliardo e mezzo dagli Usa. Si è mobilitato anche l'Ordine di Malta. Francesco Grignetti Rifondazione contro il contingente L'Osservatore «Vergogna, c'è troppa burocrazia» Un'immagine di soldati italiani pronti alla partenza per l'Albania. La missione dovrebbe scattare ad aprile
Persone citate: Bashkim Fino, Berisha, Dini, Franz Vranitzky, Massimo Brutti, Primakov, Zef Mazi
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