D'Alema: un colpo a Dini uno a Bertinotti

D'Alema: un colpo a Dini, uno a Bertinotti D'Alema: un colpo a Dini, uno a Bertinotti «Le imprese? Hanno preso più di quanto abbiano dato» IL VERTICE DI MAGGIORANZA IROMA L leitmotiv di fine vertice potrebbe essere cantato in coro da tutti i partecipanti a quell'ennesima riunione a porte chiuse delle 10 del mattino. Massimo D'Alema con il solito sarcasmo lo ha spiattellato a Fausto Bertinotti nella macchina che li ha portati via da Palazzo Chigi: «Siamo sinceri, Fausto, come si fa a tenere insieme una maggioranza che va da Marcos alla signora Thatcher?». E, concetto più o meno uguale, ha ripetuto Franco Marini alla buvette di Montecitorio tra un boccone di panino e l'altro: «Entusiasta? Ma come faccio ad esserlo? Mi dite come può andare bene un governo che va da Bertinotti a Dini, dal Chiapas a non so cos'altro?». Così, malgrado i segretari della maggioranza ieri si siano lasciati dando il via libera alla manovrina con riserve più o meno grandi, o con maggiore o minore convinzione, nessuno di loro giurerebbe sul futuro di questo governo all'indomani delle elezioni amministrative. Il rischio di una rottura sulla delicata abbinata «riforma dello Stato sociale-riforma istituzionale», infatti, ieri è tornato fuori in una riunione in cui ha fatto per la prima volta capolino la parola «crisi». Eh già, mettere intorno a un tavolo Dini e Bertinotti è come mischiare il diavolo all'acquasanta e ieri ne ha preso atto con dispiacere lo stesso Romano Prodi che, dopo aver illustrato i termini della manovra, ha assistito con raccapriccio alla trasformazione del ministro degli Esteri da dottor Jekyll in mister Hyde. «Era tal mente adirato - racconta ridendo Bertinotti - che era irriconoscibile per quanto erano tirati i suoi mu scoli facciali». Cosa ha detto Dini? Semplice, che la manovra sarebbe da butta re: «Ma scherziamo - ha esordito questa è la proposta di Rifonda zione in toto! Voi fate la solita manovra tampone... Non attacca te i nodi strutturali della spesa... All'estero non ci crederanno. Ma vi rendete conto che con questo anticipo di imposta sul tfr si con dannano le piccole imprese alla morte? Ho già avuto notizie sui guai che stanno attraversando alcune aziende in Sicilia...». Se fosse stato coerente con l'esordio, Dini avrebbe dovuto lasciare la riunio ne sbattendo la porta, e invece niente: con realismo Dini-Hyde ha perso gli unghioni e si è tra sformato di nuovo in Dini-dottor Jekyll e, buono buono, ha ascoltato le rassicurazioni di Prodi e le rampogne di D'Alema. Naturalmente, per tenere insieme la baracca il presidente del Consiglio, usando i modi del curato di campagna, ha chiesto pa zienza a tutti e speranza nel do mani. «Questa - ha spiegato Prodi è l'ultima manovra che possiamo fare in questo modo. Subito dopo dovremo affrontare le spese strutturali, pensioni comprese. Certo non lo faremo con altre manovre ma con riforme di settore». «Io - gli è andato dietro Ciampi posso accettare una manovra del genere solo se qui tutti prendiamo l'impegno, a cominciare da Prodi, che affronteremo subito dopo le elezioni e in tempi brevi tutte le tematiche riguardanti il Welfare State». «Questa manovra non mi entusiasma - ha ripetuto Marini ma lasciamo stare. Mettiamoci, però, in testa che se non facciamo fronte al buco nero dell'Inps, a quel passivo di 82 mila miliardi, nel giro di pochi anni non si potrà più salvaguardare il diritto alla pensione e non ci saranno risorse per l'occupazione giovanile». Inutile dire che Fausto Bertinotti non ci ha pensato due volte a gelare quel coro di buoni propositi. «Se vogliamo affrontare il Welfare State, le pensioni - ha detto -, facciamolo pure, ma tenete conto che su un argomento del genere si può arrivare alla rottura. Inoltre, come voi dite che non si può andare avanti con manovre del genere, io dico che o si affronta in maniera diversa la politica in favore del lavoro o la maggioranza è finita...». «In questo momento nessuno si può permettere una crisi. Un domani se c'è la crisi, c'è la crisi», è stata la risposta di D'Alema all'affondo di Bertinotti. Ma questa volta, per salvare capra e cavoli, il segretario del pds si è scoperto «cerchiobottista», ha attaccato sia la destra che la sinistra della maggioranza. «Ora - si è infervorato rispondendo alle lamentele di Dini - basta con questa storia dei problemi delle imprese. In realtà il capitalismo italiano ha sempre avuto dallo Stato e non ha mai dato. Da noi ci sono famiglie che hanno mantenuto la proprietà delle loro imprese non confrontandosi con il mercato, non mettendo i capitali a rischio, ma grazie a soldi che non erano loro. Se fosse stato per me io in linea di principio avrei trasferito al Tesoro tutti i fondi del tfr, non solo gli anticipi di imposta con tanti saluti alla Fiat, a Romiti. Del resto basta guardare all'ostilità precon- cetta della loro stampa, del Corriere, verso il governo...». Un D'Alema che sulla strada della manifestazione di sabato scorso si è riconvertito contro gli industriali? Non proprio. Calcoli elettorali a parte, il segretario pidiessino un paio di schiaffetti li ha assegnati pure a Bertinotti prendendo spunto dall'altro provvedimento che non piace a Rifondazione, quello sul blocco di sei mesi delle liquidazioni: «Anche qui c'è un problema di giustizia e di equità sociale. Secondo me non si possono mettere sullo stesso piano le pensioni di vecchiaia e quelle di anzianità. Ecco perché, se fosse per me, le liquidazioni le pagherei tutte a 62 anni...». Inutile dire che i segretari sono andati avanti in questa discussione per ore, consapevoli che nessuno in questo momento si sarebbe potuto prendere il lusso di rompere. Sulle imprese che dovevano essere escluse dall'anticipo d'imposta sul tfr c'è stata una scaramuccia tra Bertinotti e la coppia Dini-Marini: il primo ha proposto di tener fuori dal provvedimento le aziende con meno di cinque dipendenti, i due hanno proposto la cifra di 15. Ciampi ha buttato lì un numero a metà strada e ha proposto dieci. E Bertinotti non si è risparmiato la sceneggiata sul blocco delle liquidazioni riservato alle pensioni di anzianità. Prima l'ha messa sul piano della «questione di principio», poi da buon sindacalista è tornato indietro. «L'importante - ha spiegato - è che non abbiano bloccato gli aumenti contrattuali del pubblico impiego». Insomma, lì al primo piano si sono lasciati con l'immagine di questa baraonda generale e con l'idea che la vera partita si giocherà subito dopo il 27 aprile. «Il confronto sulla riforma dello Stato sociale - ha promesso Bertinotti - sarà un confronto vero, perché nell'assumere posizioni le forze politiche dovranno tener conto del loro Dna. Non so davvero come finirà, ma non capisco la rigidità del Dini di oggi: non so se stava trattando, o se voleva creare il presupposto per la rottura di domani». E D'Alema? Al solito, per spirito di contraddizione, il segretario del pds ha regalato una battuta ai suoi collaboratori: «Oggi sono meno pessimista di ieri sul futuro del governo». Sarà. Augusto Minzolini Il segretario del pds dopo il summit «Nonostante tutto oggi sono meno pessimista di ieri sul futuro di questo governo» Il premier: è l'ultima volta che possiamo agire così: poi dovremo pensare alle riforme Fausto: nell'uovo niente veleni Il segretario di Rifondazione Fausto Bertinotti con il presidente del Consiglio Romano Prodi

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