I felici orfani del Welfare State

I felici orfani del Welfare Stale Un Paese che non teme la moneta unica perché ha avuto il coraggio di cambiare I felici orfani del Welfare Stale L'Aia, un modello che ha sconfitto la crisi L'AIA ELL'Europa intristita dalla crisi economica, e come rimpicciolita in mezzo a un'economia-mondo divenuta più vasta e più competitiva, c'è un piccolo Paese che fa eccezione. Che resiste alla mondializzazione con le proprie forze. Che fa fronte alle difficoltà con una coscienza più acuta dei pericoli, e dei sacrifìci da compiere. Il piccolo Paese dalla coscienza acuminata è l'Olanda, con i suoi 15 milioni di abitanti e il suo esiguo, piatto territorio. Qui l'Europa di Maastricht non incute gli spaventi che si percepiscono in Italia, in Francia, nella stessa Germania. Qui si dileguano i dubbi tormentosi, le tenaci riluttanze, i rimpianti che immobilizzano gli italiani, e tanti europei del Continente. L'unica cosa che mette veramente paura, in Olanda, ò una Moneta Unica che non abbia più la robusta forza del marco tedesco, cui il fiorino è agganciato dall'83. Le più ostinate riluttanze a un'unione monetaria con l'Italia le abbiamo trovate in questa nazione disciplinata, sperimentatrice, e diffidente. La stessa parola crisi ò impiegata molto di rado in Olanda. Crisi è un evento disastroso ma circoscritto nel tempo, è una depressione destinata a chiudersi come si chiude una temporanea parentesi, e gli olandesi sanno che non è questa la malattia traversata dagli europei. E' qualcosa di ben più duraturo, permanente: è un'epoca di privilegi che fatalmente tramonta, per le ricche civiltà del Continente. Così gli olandesi preferiscono parlare di Mutazione, piuttosto che di Crisi: di mutazione progressiva, radicale, dei comportamenti economici e delle mentalità. Di mutazione nei rapporti tra individuo e Stato assistenziale, tra individuo e vita lavorativa, tra individuo e ricchezza accumulata della nazione. L'Olanda non ha aspettato le discipline di Maastricht per prepararsi a tale mutazione, e per questo non capisce certe paure che la Moneta Unica suscita altrove. La sua metamorfosi l'ha iniziata nei primissimi Anni Ottanta, quando di Maastricht ancora non si parlava e solo l'Inghilterra di Margaret Thatcher tentava una sua uscita solitaria, ina feroce, dall'era dello Stato assistenziale e della spesa pubblica dilatata, sgovernata. Nasceva a quell'epoca il modello anglosassone, e la Gran Bretagna prendeva le distanze dal Continente per far proprio il metodo ani • ìcano di lotta contro inflazione e disoccupazione: metodo che oggi seduce non poche classi dirigenti in Europa, e che comporta forti diseguaglianze sociali, forti riduzioni delle spese per il benessere collettivo, in cambio di un riassorbimento spettacolare del numero di disoccupati. Il modello anglo-americano rompe una lunga tradizione europea, di compromesso tra capitalismo e Stato sociale. E' stregato dalle esperienze asiatiche, e per questo riduce il potere esercitato dopo l'ultima guerra dai sindacati nazionali, spezza abitudini radicate al consenso e al consociativismo, mette fine alla vecchia società salariale e all'idea di lavoro che l'aveva fondata: lavoro che era stabile e diventa precario, che era fisso e diventa mobile, mutevole, a tempo parziale. L'Olanda ha fatto tutte queste cose, all'inizio del decennio scorso, ma adottando un proprio metodo profondamente diverso da quello inglese. Non ha rincorso le tigri asiatiche, ma ha voluto perfezionare la cultura europea del capitalismo. Ha deciso tagli sostanziali allo Stato sociale, ha abbassato progressivamente le tasse, ha ridotto drasticamente le spese collettive destmate alla sanità, alle pensioni, e soprattutto ai sussidi di disoccupazione, ma senza sacrificare lo storico compromesso tra libera imprenditorialità e tradizioni cristianosocialdemocratiche di solidarietà sociale. In un certo senso gli olandesi governati oggi dal socialdemocratico Wim Kok sono riusciti in un'impresa che pareva impossibile: hanno combinato le nuove domande di libertà del capitalismo mondializzato con i bisogni di una società fondata ancora sul consenso, sull'armonia tra parti sociali, e su quella che anche nell'Europa nordica si chiama consociativismo. Hanno dato vita a un rapporto di fiducia permanente, tra imprenditori sindacati e governo. Hanno smentito la profezia del filosofo Ralf Dahrendorf, secondo il quale il Secolo Socialdemocratico è tramontato irrimediabilmente e definitivamente, in Europa. Forse questa saggezza viene agli olandesi da riflessi atavici, dalla lotta collettiva che dovettero sempre combattere contro l'invasione delle acque. Forse viene loro dalla memoria di tenaci guerre d'indipendenza, e da abitudini commerciali che non si sono spente. E' una saggezza che si percepisce nei sindacati innanzitutto, che sin dal 1982 hanno deciso di non farsi sommergere dalla mutazione, ma di dominarla e perfino guidarla. «La grande svolta è avvenuta nel novembre '82, in un incontro al vertice con gli imprenditori nella cittadina di Wassenaar non lontano dall'Aia», ini spiega Jeroen Sprenger, della federazione sindacale Fnv, e mi racconta la genesi di quell'incontro decisivo: «La situazione era divenuta insostenibile per noi, e assai dura per il Paese. Era una vera depressione, lo scontro sociale era aspro, e la disoccupazione era sabta al 12 per cento. Ogni mese, i senza lavoro aumentavano di dieci-quindicimila unità, e le spese dello Stato erano incontenibili. A quel punto come sindacato avevamo due scelte. 0 l'irrigidimento ulteriore e la difesa dei diritti acquisiti, oppure un atto di fiducia nei confronti degli imprenditori e la priorità assoluta, imprescindibile, data al riassorbimento della disoccupazione. Abbiamo scelto la seconda via, e in cambio di un ùnpegno a forti sacrifici salariali abbiamo ottenuto una generale riduzione dell'orario di lavoro, da 40 ore settimanali a 38. Riduzione che successivamente è aumentata, in un vertice del 1993 con imprenditori e governo, passando dalle 38 alle 36 ore». Ma il congelamento e la disciplina salariale non sono l'unica cosa che i sindacati hanno accettato. Nello stesso tempo, hanno consentito a ima riforma lenta ma radicale dello Stato sociale, che dalla fine della guerra era sempre stato forte in Olanda. I sussidi statali sono scesi, per spingere i disoccupati a cercare un lavoro. Il sistema previdenziale è stato in larga parte privatizzato, per frenare il deficit della sanità. Il salario minimo ha subito una decurtazione, per i giovani che cercano un primo lavoro. E lentamente, gradualmente, sono state introdotte for¬ me di lavoro sempre più precarie, flessibili: contratti a tempo determinato, lavoro in affitto presso speciali agenzie di collocamento, e lavori a tempo ridotto soprattutto, che si sono diffusi capillarmente ma non alla maniera anglo-americana, creando zone separate della società dove i diritti diminuiscono e i cittadini sono sottopagati. Il sindacato olandese ha accettato una mutazione profonda del lavoro, ma ha ottenuto in cambio la protezione giuridica delle nuove attività precarie. «E' il motivo per cui il sindacato olandese oggi si rafforza - continua Jeroen Sprenger più di quanto accada negli altri Paesi europei. Del resto non avevamo alternative: negli Anni Ottanta, prima e dopo la depressione, il nostro prestigio era in calo impressionante, e la perdita di aderenti era continua. Ma quando siamo usciti dall'atteggiamento difensivo, quando abbiamo smesso l'opposizione netta, quando ci siamo spoliticizzati e abbiamo adottato strategie più legalistiche, di aiuti concreti ai lavoratori in difficoltà, abbiamo recuperato le forze. Risultato: il numero di iscritti è di nuovo in aumento, e il nostro peso è in crescita presso governo e imprenditori». Tanto più istruttivo è il paragone con la Germania Federale: dal 1986, il sindacato tedesco Dgb ha perso 1*11 per cento dei propri aderenti, pur avendo ottenuto forti aumenti salariali per le varie categorie. Nello stesso periodo il sindacato olandese conosceva un'espansio ne importante, aumentando gli iscritti di un terzo nonostante un pluriennale congelamento dei salari. Il sindacalista con cui par lo è orgoglioso del clima di fiducia che regna nella piccola Olan da: «Mentre in Germania entrava in crisi l'antica Azione Concertata tra lavoratori e patronato, da noi questa stessa Azione metteva radici, si consolidava, si istituzionalizzava: da quando abbiamo iniziato le riforme il ne goziato è permanente, tra sindacati imprenditori e governo Ogni settimana ci incontriamo almeno tre-quattro volte, per trattare le mutazioni e aggiusta re le politiche». Così, l'Olanda crea adesso po sti di lavoro, molto più abbon danti che nel resto d'Europa con tinentale e superando gli stessi impegni elettorali della coalizione diretta da Wim Kok. Nel '94, quando si è formata la nuova maggioranza liberal-laborista, Kok aveva promesso 350.000 posti di lavoro in quattro anni. Tutto il programma elettorale era d'altronde concentrato su un unico slogan: «Lavoro! Lavoro! Lavoro!», che in origine era una parola d'ordine liberal-conservatrice. Fin da oggi l'obiettivo è raggiunto, e per la fine della legislatura sono previsti almeno 500.000 nuovi occupati. Oggi l'Olanda non è più ricca come negli Anni Settanta, quando i suoi salari erano eguali a quelli tedeschi. Ma la riduzione effettiva dei redditi, unita alla creazione decennale di più di 800.000 posti di lavoro e a una disoccupazione che non supera il 6,5 per cento, dà ai cittadini un senso di sicurezza ignoto nel resto del continente. Wim Kok era il presidente della principale federazione sindacale, nei primi Anni Ottanta. Fu lui a negoziare l'accordo di Wassenaar, e oggi la sua socialdemocrazia coglie i frutti di quegli sforzi, di quella illuminata, rapida presa di coscienza. La sua coalizione di governo è peraltro peculiare, non ha eguali in Europa. Per la prima volta in novant'anni, la democrazia cristiana olandese non fa parte del governo, e nella coalizione con i socialdemocratici sono entrati due partiti liberali: il partito Democrazia '66, di centrosinistra, e i liberali-conservatori di Bolke Stein. E' un'alleanza fra laburi smo classico e nuova destra libe i 0 r i l u i rista, che rafforza quella che in Olanda si chiama democrazia della Konkordanz, del consenso. E' il frutto politico del nuovo patto sociale inventato a Wassenaar. In effetti non è più chiaro cosa significhi la destra e cosa la sinistra, in Olanda. Come di fronte a una guerra, come di fronte alle acque nemiche, gli olandesi hanno messo insieme le singole forze e hanno deciso di vincere a ogni costo la scommessa essenziale: rispondere alle sfide della mondializzazione, ma organizzando le nuove forme capitalistiche, associando cittadini e lavoratori, e scongiurando una lacerazione della società. Di fronte al male della disoccupazione, alla metamorfosi del lavoro, alla fine della società salariale classica, gb antichi steccati sembrano aver perso il senso che avevano, in questa terra. «Dobbiamo esser liberali in economia per poter poi fare una politica sociale davvero efficace», mi dice Anne Lize van der Stoel, deputato del partito liberal-conservatore. Bisogna far sacrifici per poter megbo salvare lo Stato sociale, mi ripetono nel sindacato come nei partiti di sinistra. E' l'ordine di priorità che cambia in Olanda, e i risultati hanno premiato queste vaste operazioni revisionistiche, sindacali e socialdemocratiche. Le hanno premiate a tal punto che i conti pubblici l'anno scorso sono stati in pareggio, e adesso si sono aperti margini tab che lo Stato può nuovamente intervenire, per attenuare nuove diseguaglianze e nuove povertà. Nello stesso partito liberal-conservatore • lo ammettono: «Abbiamo stretto fin troppo la cinghia, e in alcuni casi abbiamo creato fin troppe lacerazioni. E' il motivo per cui il governo è pronto adesso a creare 40.000 nuovi posti di lavoro nel settore pubblico. C'è bisogno soprattutto di ricreare la figura dell'assistente sociale, che troppo avventatamente avevamo abolito e che invece resta strumento prezioso per combattere il male della droga, dell'emarginazione, della \riolenza, in alcune periferie cittadine». L'Olanda è un Paese dal territorio minuscolo, che vive di esportazioni e di sperimentazioni continue. Ha i suoi giganti dell'industria, come Phihps o Unilever, e nella società ha le sue micro-organizzazioni, che sperimentano nuovi stili di vita e di lavoro. Questo è un Paese a parte, dove la distinzione è netta tra le penalizzate droghe pesanti e le legalizzate droghe leggere. Questo è un Paese a parte, dove un numero crescente di donne e di uomini hanno scelto di guadagnare di meno che nel resto d'Europa, adottando lavori precari, a tempo determinato o ridotto. Questo è un Paese a parte, dove le élites non hanno perso fiducia nel coraggio delle proprie genti. Gli olandesi non amano essere troppo elogiati, anche se sono fieri di prendere le distanze dall'esempio britannico di uscita dalla crisi. Sono un popolo pudico, che si stupisce quando sente parlare di sé come di un modello. Ma il modello olandese esiste, ha le sue grandezze fragili ma visibili. Ha acceso una piccola lampada che dà luce europea, nella grotta ancora buia della depressione occidentale. Barbara Spinelli Con dieci anni di anticipo ha tagliato l'assistenza e le tasse ma senza scatenare lo scontro sociale controllando il cambiamento Un sindacalista: se ci fossimo ostinati a difendere i diritti acquisiti sarebbe stato il disastro, abbiamo accettato sacrifìci salariali e tagli Ci sono garanzie per i lavori precari e dall'87 sono stati creati 800 mila nuovi posti di lavoro Un deputato: siamo liberali in economia per poter assicurare una politica sociale Wim Kok ha gestito la riforma e oggi guida una salda maggioranza L'EUROPA VERSO MAASTRICHT OLANDA mo ti to Qui sopra il primo ministro olandese Kok e a sinistra un'immagine di Amsterdam Nella foto piccola a centro pagina il sociologo Ralph Dahrendorf