«Pm, carriere separate» di Sergio Romano

«Pm> carriere separale» Tra le proposte anche un «giurì» per sanzionare comportamenti scorretti degli organi di stampa «Pm> carriere separale» Liberal: stop ai giudici protagonisti ROMA. Il primo affondo lo porta Sergio Romano: «Mi sembra che in Scalfari ci sia una totale indifferenza per le ragioni» storiche e politiche «che hanno prodotto il documento di Liberal sulla giustizia...». Eugenio Scalfari, seduto proprio a fianco dell'ex ambasciatore Romano, non cambia l'espressione del viso: impassibile dietro la barba bianca, evita la tentazione della replica a caldo. A fine mattinata l'ex direttore della Repubblica lascia il convegno degli «amici di Liberal», ma nel pomeriggio Scalfari torna all'hotel Ambasciatori nella «sua» via Veneto, riprende la parola e replica così: «L'ambasciatore Romano ha chiuso il suo intervento con una frase rivelatrice: "O i pm rientrano nelle loro nicchie, oppure bisogna separare le carriere". Tutto si può dire dell'ambasciatore Romano, fuor che sia uno sciocco, è vero? Lui ha capito perfettamente e aderisce: i magistrati rientrino nelle nicchie». Anche Romano non cambia espressione e nella contro-replica, evita personalizzazioni, ma tiene il punto: «Quello che mi preoccupa è la discrezionalità ammantata da obbligatorietà dell'azione penale e da imperativo morale», il magistrato va «responsabilizzato» e, una volta separate le carriere, il pm «e un signore che può sbagliare, non un Mose che detta le leggi dal Monte Sinai». Quello tra Sergio Romano ed Eugenio Scalfari è stato il match-clou di un convegno che ha offerto diversi spunti interessanti e che è stato integralmente filmato da una telecamera mandata da Silvio Berlusconi. Base della discussione un documento sulla giustizia, sottoscritto tra gli altri da Cesare Romiti, Marco Tronchetti Provera, Diego Della Valle, Franco Debendetti, Ferdinando Adornato, Antonio Baldas¬ sarre, Rodolfo Brancoli, Vittorio Merloni. Nel documento si propone di scongiurare l'eccesso di potere dei pubblici ministeri; si sostiene la separazione organizzativa delle funzioni di giudice e pubblico ministero; si suggerisce di ri¬ vedere il funzionamento dell'obbligatorietà dell'azione penale. E nei rapporti tra potere giudiziario e stampa, gli amici di Liberal lanciano due proposte: l'istituzione di un giurì che in tempi rapidissimi sia in grado di sanzionare «comportamenti scorretti degli organi di informazione»; «istituzionalizzare in ogni tribunale» periodiche conferenze stampa in modo da disincentivare «l'inclinazione al protagonismo di qualche magistrato» e «i rapporti privile¬ giati del giornalista». Sulla base di questo documento si è aperto un dibattito non sempre rituale, tanto è vero che il responsabile per la giustizia del pds Pietro Folena, tra le righe, ha fatto un'apertura importante: per la prima volta un esponente di punta della Quercia si è detto disponibile a modificare la composizione del Csm, ipotizzando che una parte dei suoi membri «sia indicata dal Presidente della Repubblica», una soluzione che intaccherebbe l'attuale equilibrio - un terzo di nomina parlamentare, due terzi dalla magistratura -, un equilibrio fatto proprio dalla proposta del pds in Bicamerale. Sul rapporto stampa-magistratura hanno trovato consenso le osservazioni del procuratore nazionale antimafia Pierluigi Vigna: «Il problema non si risolve con i giurì», perché «è il giudice che deve recuperare centralità rispetto all'indagine», che invece è «provvisoria» e «ciò che è vero oggi, domani può non esserlo più». Ma quasi tutto il dibattito è ruotato attorno alle tesi contrapposte di Romano («La pubblica accusa ha assunto ormai un potere discrezionale e irresponsabile») e di Scalfari («Per 40 anni abbiamo avuto pm al guinzaglio del potere politico»). Sulla politicizzazione della magistratura Romano propone una lettura diversa: «Nel dopoguerra la sinistra ha promosso l'applicazione della Carta costituente, diventando "la paladina della buona Costituzione", perché questo consentiva il moltiplicarsi di piccoli parlamenti» nelle diverse istituzioni. Così si è aperta la strada all'«egemonia del pei su una parte della magistratura», mentre sul fronte della destra c'è stato un riflesso «di casta» e questi due fenomeni hanno portato «alla politicizzazione» della magistratura. Per Scalfari invece l'Italia ha vissuto «in una sta bilità marmorea e se qualche pubblico ministero interveniva, la procura di Roma avocava e archiviava». E prima di andarsene uno Scalfari infervorato ha lanciato l'invettiva più acre verso chi l'aveva invitato: «Le vostre non sono opinioni di liberali, sono tesi da forcaioli!». Fabio Martini Scontro tra Sergio Romano e Eugenio Scalfari L'ambasciatore: «Il magistrato non è un Mose» Il giornalista: «Volete ricacciarli nelle nicchie» Il fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari e l'editorialista Sergio Romano

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