Blocco fantasma a Brindisi di Francesco La Licata

Blocco fantasma a Brindisi Blocco fantasma a Brindisi Scatta la linea dura ma tutti negano BRINDISI DAL NOSTRO INVIATO Il condominio del lungomare «Regina Margherita», dove convivono marinai, militari, poliziotti, giornalisti, sanitari, finanzieri e la solita frotta di «turisti locali» (evidentemente affascinati dall'arrivo degli albanesi in fuga e dalle luci delle televisioni), viene buttato giù dal letto all'alba, con le solite, allarmanti notizie di «orde di albanesi» pronte a sbarcare. Sin dal mattino, però, prevale netta - la sensazione che la giornata sarà lunga e difficile. Una giornata che segna il «cambio di rotta» italiano verso «gli amici albanesi». La gran concitazione, gli ordini che si susseguono contraddicendosi l'un con l'altro, promettono niente di buono. Il volto scuro del comandante Giovanni. Biso - solitamente placato e solare - è la spia del disagio. I «ragazzi» del «San Marco» a bordo delle pilotine della Guardia costiera imbracciano i micidiali «M24» e prendono il largo, verso le carrette albanesi. Si capisce che il loro compito è quello di scoraggiare i tentativi di entrare in porto. D'altra parte - dicono in Capitaneria gli ordini sono stati sempre quelli di «dissuadere con decisione». L'impressione è, però, che questa volta la dissuasione sarà più decisa del solito. Facile previsione. Pochi minuti dopo le 9 si scatena un allarmante tam-tam: «Hanno sparato. Hanno sparato contro la pilotina della Capitaneria». Chi ha sparato? «Da un motopesca con un centinaio di profughi». Il tam-tam precisa che non ci sono feriti, ma ìa tensione sale lo stesso al massimo. E ad accrescerla concorrono voci incontrollate di un «blocco» della Marina militare sul canale di Otranto, proprio mentre i radar segnalano «diversi bersagli» in arrivo e cioè tre o quattro imbarcazioni. Ce n'è abbastanza per rendere nervosi gli ufficiali della Capitaneria. Alle 11,15 finalmente si materializza all'orizzonte la sagoma del «Kostaki», un barcone da pesca scortato da motovedette della Guardia costiera, pilotina della Polizia e due rimorchiatori militari. Non si era mai visto tanto spiegamento di forze, segno tangibile che l'incidente col «Kostaki» rappresenta davvero la «svol¬ ta» nell'atteggiamento nei confronti dei fuggiaschi albanesi. Scendono 49 uomini, 36 donne e 54 bambini: non andranno insieme con gli altri arrivati prima. Il questore Ruggiero spiega che questi sono «particolari» e bisogna appurare «chi sono» e «perché hanno sparato». Già, perché hanno sparato? Qui le cose si complicano e sarà difficile ottenere risposte ufficiali prima delle 17, ora in cui il comandante Biso - correggendo una prima dichiarazione mattutina - scriverà un comunicato ufficiale per precisare che la Guardia costiera aveva appreso della sparatoria dal «Porto Corsini», uno dei rimorchiatori militari che scorta¬ vano il «Kostaki». Per maggior chiarezza, la Capitaneria riporta il tenore dell'allarme radio del rimorchiatore alla pilotina: «Vi siete accorti che vi stanno sparando addosso? Allontanatevi!». Raccontato così, l'incidente rimane misterioso, anche alla luce del fatto che nessun proiettile ha raggiunto i mezzi italiani, anche se la polizia ha sequestrato due cartucce e un bossolo di Kalashnikov, prova evidente che qualcuno ha sparato. L'equipaggio del motopesca e il comandante sono stati arrestati. Anche questo rientra nella scelta della linea dura: la magistratura di Brindisi, per bocca del procuratore Bruno Giordano, spiega che i comandanti delle imbarcazioni e gli equipaggi vengono considerati responsabili dei reati di associazione per delinquere finalizzato al traffico clandestino dei profughi. In sostanza, dopo il primo esodo sulla scia del disastro albanese, i viaggi della speranza sarebbero stati monopolizzati dalla malavita che fa pagare un milione a testa per una traversata rischiosa per la precarietà dei mezzi adoperati, ma soprattutto inutile dal momento che lo sbarco in Italia non è garantito e - anche nel caso avvenga - è assolutamente provvisorio. Il resto della giornata è tutta dedicata - con poco successo - ai tentativi della Capitaneria di smentire «il presunto» cambio d'atteggiamento delle autorità italiane nei confronti dei profughi albanesi. I fatti, però, sono diversi. E i fatti prendono le sembianze di due donne e un uomo che vagano per la banchina di Brindisi chiedendo se è arrivata la barca partita all'una di notte da Valona, agganciata sul canale di Otranto dalla marina e rimorchiata verso Brindisi. Sicuri di quel che dite? «Certo, abbiamo parlato al cellulare con mia figlia questa mattina alle 9. Ci ha detto che li portavano a Brindisi». L'inganno è svelato: il «Nikidei» (questo il nome dell'imbarcazione) viene inquadrato nel radar e localizzato. La Marina gli dà un nome in codice, «Cervo», e gli manda incontro la nave da guerra «Sagittario». «Cervo» viene agganciato e, invece, di prendere la via di Brindisi è costretta a volgere la prua verso Durazzo. Si chiarisce la sorte di «Cervo» («respinto con decisione») mentre in serata è entrato in porto, scortato da motovedette della polizia, il mercantile «Kolemi» con 700 disperati a bordo. Respingerlo non è stato possibile, perché la nave galleggiava a stento nel mare forza sette e rimandarla indietro sarebbe equivalso a una condanna a morte. L'equipaggio è stato fermato dalla polizia. Francesco La Licata Dal peschereccio carico di profughi spari contro un guardacoste di scorta Subito arrestati equipaggio e comandante

Persone citate: Biso, Bruno Giordano, Corsini, Kostaki