Van Dick nel paradiso delle donne

A Genova spettacolari incontri fra il giovane pittore fiammingo e i grandi artisti della collezione Doria A Genova spettacolari incontri fra il giovane pittore fiammingo e i grandi artisti della collezione Doria EGENOVA A vita manoscritta anonima di Van Dyck conservata alla Biblioteca del Louvre così descrive l'andata del giovane pittore da Anversa a Genova, e sembra di leggere, testo francese aiutando, il viaggio di D'Artagnan dalla Guascogna alla Parigi di Luigi XIII (siamo negli stessi anni): «Il nostro artista sale su un bel cavallo che Rubens gli aveva donato, parte da Anversa il 3 ottobre 1621 con l'intenzione di giungere in Italia. Il maestro aveva aggiunto al dono buone lettere di raccomandazione. Arrivato a Genova il 20 novembre egli scese dal suo compatriota il pittore Corneille de Wael che si era stabilito in questa città con suo fratello Lucas». Certamente egli vide e studiò la straordinaria collezione di Giovan Carlo Doria, da cui trasse nel suo Taccuino italiano i disegni del Ritratto del mecenate proprietario di Simon Vouet e del Ritratto della figlia Lavinia di Tiziano. L'apertura spettacolare, da grand-opéra, della mostra «Van Dyck a Genova. Grande pittura e collezionismo» (fino al 13 luglio in Palazzo Ducale) ricostruisce simbolicamente e idealmente una parte fittissima e assemblata di quella quadreria di capolavori da togliere il respiro, «status symbol» ostentato - turgido per quantità e valore (economico innanzitutto): Tiziano e Caravaggio, con l'Ecce Homo e il Martirio di Sant'Orsola, Gentileschi e Giulio Cesare Brocaccini, Strozzi e la reale ritrattista spagnola, nonché nobile genovese, Sofonisba Anguissola, per cui Van Dyck sarebbe sceso fino a Palermo, ad onorarne appena in tempo i 94 anni. Ce ne informa l'unica annotazione autografa del suo Taccuino italiano. Meno impeto più eleganza Al centro della collezione, e oggi sulla gran parete, cavalcava impetuoso e sprezzante, con la gran croce rossa di Santiago sul petto, con a lato il cane da caccia latrante, lo stesso Giovan Carlo Doria. Egli è ritratto nel 1606 da Rubens nel prototipo del ritratto nobile barocco, erede di Tiziano e archetipo per Velàzquez; e, con meno impeto e più eleganza, per il Van Dyck dei due ritratti equestri in mostra, di Giovan Paolo Balbi della collezione Magnani, fosco e tizianesco nell'ardente controluce del tramonto, e di Anton Giulio Brignole Sale perfetto viatico per la successiva stagione inglese, con il cavallone dalla gran criniera biancobionda appena uscita dal parrucchiere, flusso pittorico ben degno del maestro Rubens. Il Cinquecento dei primi sovrani nazionali aveva creato il «ritratto di Stato»: l'Enrico Vili di Holbein, talmente imbevuto di sovranità da sfidare il Papa e farsi autocrate della Chiesa na¬ zionale anglicana; il Carlo V di Tiziano corazzato sul cavallo arabo nero che carica a Mùhlberg i principi protestanti impugnando la picca dei suoi «tercios» spagnoli. Ma anche, dello stesso Tiziano, il Carlo Vin poltrona, tutto in nero salvo l'oro del «tosone» sul petto, è ben conscio, e ne è ben conscio Tiziano principe dei pittori, dell'identità dell'uomo, del Principe e dello Stato, un tutt'uno sensibile e visibile nella gran pittura. Andrea Doria, gran capitano di Carlo V, prototipo della «vecchia» nobiltà genovese, aveva dovuto accontentarsi di farsi ritrarre a torso nudo dal Bronzino nell'immagine simbolica di Net- timo. Ma quando Rubens e, dopo di lui, Van Dyck approdarono a Genova, i loro ritratti furono espressione, nobilissima, splendente, di un ribaltamento assoluto: nella città tenacemente neutrale a cavallo fra due secoli di continui conflitti dinastici e religiosi, ma finanziariamente egemone sulle casse imperiali, regali, principesche dissanguate da quei conflitti, l'unica città nel mondo spagnolo-imperiale in cui era possibile, anzi necessario, coniugare nobiltà e mercanzia, il Principe non era un uomo, ma la città stessa con la sua oligarchia delle 300 casate di «magnifici». Uno storico moderno come Giorgio Doria, parlando di Rubens ma certo pensando anche a Van Dyck, ha potuto sottilmente ironizzare sul fatto che egli «rappresenta meticolosi contabili su cavalli rampanti, mogli di oculati prestatori di denaro che vogliono sembrare principesse». Ma questo è il realismo dello storico, che ha sotto gli occhi i registri di conto (e gli inventari patrimoniali delle collezioni piene di capolavori) dei committenti di Rubens e di Van Dyck, i Pallavicinio, i Doria, gli Spinola, gli Imperiale, i Cattaneo, i Durazzo, i Grimaldi, i Balbi, i Brignole Sale, i Lomellini, gli Adorno. Nei saggi del catalogo Electa, responsabili della mostra come Susan Barnes e Piero Boccardo indagano sui rapporti fra Van Dyck e Rubens e Genova e i clan dei «magnifici». Elena Grimaldi e altre «regine» Ma nella realtà dell'arte, Maria Serra Parravicini, splendente di raso d'argento e di passamaneria d'oro, ritratta da Rubens dando carne e materia barocca ai simboli cinquecenteschi delle trionfanti Venezie del Veronese, o Elena Grimaldi ritratta da Van Dyck con lo schiavetto moro che la ripara con un ombrellone rosso a frange che anticipa di un secolo e mezzo il giovane Goya alla corte di Madrid, non «sembrano» principesse; sono a pieno titolo e per sempre sovrane in quella Genova che lo storico fra '600 e '700 Filippo Casoni chiama «Paradiso delle donne», ben consce di essere talora il motore pilota per via matrimoniale di trapassi di tesori d'arte da un clan all'altro. Tanto più lo sentiamo in queste sale dell'appartamento dogale e nel salone del Maggior Consiglio, il cuore reale e simbolico dell'oligarchia dei «Magnifici», dove i ritratti sono ritornati alla loro originaria incastonatura in pareti e volte affrescate e dorate dai musei di Berlino e di Strasburgo, di Washington e di Bruxelles, di Dublino e di Edimburgo. Dalla National Gallery of Scotland rientra la colossale stupenda Famiglia Lomellini, in cui, dall'incontro fra la realtà umana e sociale di Genova e il giovane pittore che aveva già visto in patria la nascita del ritratto di gruppo borghese, nasce uno straordinario compromesso fra immagine e costume «principeschi» e una più intima e sottile aura famigliare di dinastia «patrimoniale». Marco Rosei Partì da Anversa il 3 ottobre 1621 su un cavallo dono di Rubens Nei ritratti di nobili genovesi viene a galla la nuova identità alto-borghese e patrimoniale della città e dei suoi principi GbVt«bdcpsrppmDSnbgr Due opere di Van Dyck esposte a Genova: «Le tre età dell'uomo» (qui a lato), conservato al Museo Civico di Vicenza, e «Nobildonna genovese con la figlia», conservato al Museo di Cleveland