LA SINISTRA SI SPECCHIA di Barbara Spinelli

L LA SINISTRA SI SPECCHIA cati. Ma quando si tratta di trasformare questa sapienza in azione, quando si tratta di decidere tagli effettivi a sanità oppure a pensioni, il coraggio viene meno e la volontà pure. E' come se, per l'appunto, il tempo fosse composto in Italia di ingredienti specifici, sconosciuti agli altri mortali. Come se si potesse sempre rinviare le scelte difficili a date più propizie, che forse un giorno verranno oppure, chissà, non verranno punto. In principio non viene il Verbo che si traduce in azione decisiva, come nel monologo di Faust. Nel laboratorio italiano tutto ha inizio con la parola sconnessa, solitaria: con il flatus vocis che nomina gli oggetti, uno dopo l'altro, senza mai estrarre dal loro involucro formale una qualche effettiva sostanza. Tutto questo andrebbe bene se gli europei fossero ancora al centro del mondo, sicuri di sé e dorninatori. Ma non lo sono più da tempo, sono ormai in un'economia-mondo che li mette alla prova e li penalizza, e questo spiega certe scadenze rigide che i governanti si sono dati, certe discipline onerose cui hanno deciso di sottoporsi. Fin dalla primavera dell'anno prossimo dovranno mostrare di aver riparato le proprie economie e messo a posto i conti pubblici, per poter far parte della moneta europea: si deciderà in quella data, infatti, chi entrerà subito nell'Europa di Maastricht. Fin dal gennaio '99 sarà forse adottato l'euro, al posto delle valute nazionali, e questo significa che già ora le singole classi politiche devono inventare un nuovo compromesso storico, tra capitalismo mondializzato e bisogni delle singole società. Già ora si tratta di fondare un nuovo contratto sociale, tra classi dirigenti e popoli governati: un contratto che riduca il peso dello Stato sull'economia, affinché lo Stato possa ancora proteggere i cittadini più deboli. Un contratto che crei nuovi posti di lavoro e nuove possibilità per le imprese, senza che le diseguaglianze sociali vengano eccessivamente acutizzate. Altri sindacati e altre socialdemocrazie in Europa l'hanno capito prima delle sinistre italiane, che ancora sono ferme alle tavole rotonde e alle contemplazioni estatiche. In Olanda ad esempio i sindacati unitari l'hanno capito fin dai primi Anni Ottanta che l'Europa era a un bivio della propria storia, e già allora hanno accettato pesanti tagli della spesa pubblica e sanitaria, pesanti e durevoli sacrifici salariali, in cambio di riduzioni dell'orario di lavoro, di nuovi posti di lavoro, e di uno Stato che non rinunci alle sue funzioni protettive. A negoziare l'autodisciplina olandese con imprenditori e governo fu Wim Kok, che nell'82 era rappresentante dei sindacati e che oggi guida - alla testa del partito socialdemocratico - la coalizione governativa tra sinistre e neoliberali di destra. L'Olanda ha liberalizzato l'economia, ha abbassato drasticamente le tasse, ha ridotto il peso dello Stato, ma senza abbandonare la democrazia del consenso su cui la nazione è storicamente fondata. Ha attuato una politica di stile britannico o americano, rendendo il lavoro più precario o flessibile, ma senza che i sindacati venissero estromessi e umiliati come è accaduto nell'Inghilterra di Margaret Thatcher. Risultato: il Paese ha oggi uno dei tassi di disoccupazione più bassi d'Europa, e i sindacati invece di indebolirsi si sono notevolmente rafforzati, divenendo protagonisti non eludibili delle trasformazioni. La sinistra stessa ha ritrovato le proprie forze, tramite il nuovo contratto di fiducia stipulato quindici anni fa tra sindacati e imprenditori, e adesso guarda senza orrore alle scadenze rigide di Maastricht. Questa è la socialdemocrazia vincente in Europa, con cui Massimo D'Alema dice di volersi identificare. Questa la sinistra che un giorno ha deciso di rivoluzionare tutte le proprie priorità, affinché il Secolo Socialdemocratico non perisse assieme allo Stato provvidenza. Per evitare il modello anglosassone e le lacerazioni sociali della Gran Bretagna e degli Stati Uniti, l'Europa del Nord ha scelto prima di fare sacrifici, prima di diminuire le spese pubbliche, e poi di scendere in piazza per reclamare misure sociali non appena lo Stato ricominciava a poter spendere senza troppo indebitarsi. E' quest'ordine di priorità che le sinistre e i sindacati italiani mostrano di non conoscere, quando scendono in piazza prima ancora di aver consentito a tagliare le spese dello Stato so¬ ciale. In Europa del Nord si parla spesso del patto fra generazioni, che le società e le classi dirigenti devono a ogni costo salvaguardare. E' radicalmente ingiusto si sente spesso dire in Olanda, in Danimarca, in Germania - che le future generazioni paghino i debiti accumulati dalle presenti generazioni. E' profondamente ingiusto soprattutto nell'Europa di oggi, che declina demograficamente e che vedrà un numero sempre più esiguo di giovani sostenere le spese per il mantenimento d'un numero sempre più grande di anziani e pensionati. Ma queste inquietudini non sfiorano neppure da lontano le coscienze delle classi politiche italiane. Non fanno parte della cultura di Rifondazione, della vecchia sinistra. Bertinotti non ha interesse alcuno, nella salvaguardia e nella protezione delle generazioni future. Lascia che siano loro a pagare, in prospettiva, i privilegi di cui godono oggi certi pensionati ancora giovani o certe categorie protette della società salariale. Questa scelta di immobilismo è fatta oggi da una parte della sinistra come anche dai cattolici di governo, che si rifiutano di ridurre le spese della Sanità. E' un vecchio connubio paralizzante, che l'Italia conosce bene e con¬ tro il quale un ministro rigoroso come Ciampi riesce difficilmente a combattere. Anche perché gli attori del connubio accampano ragioni falsamente democratiche, ogni volta che impongono le proprie regole: agitano come minaccia permanente la rottura della pace sociale, il declino della società del consenso, la ricaduta in metodi capitalistici dell'Ottocento. Dicono di voler entrare in Europa, ma si comportano come se all'Europa avessero già definitivamente rinunciato. Dicono di voler salvare lo Stato sociale, ma agiscono come se fossero già pronti a sacrificarlo per sempre. Se così stanno tuttavia le cose, tanto varrebbe essere chiari invece di fare tanti discorsi ipocriti. Forse sarebbe il caso di dire a chiare lettere che non si ha intenzione alcuna di partecipare alla moneta unica europea: tra l'altro si contribuirebbe a tranquillizzare l'Europa del Nord e la Germania, che tremano all'idea di mescolare le proprie monete con la nostra. Forse sarebbe il caso di dire a chiare lettere che ci si aggrappa allo Stato sociale esistente, per poi meglio abbandonarlo in blocco il giorno in cui tornerà a governare in Italia un centro-destra deciso a far proprio il modello anglosassone di L rinascita economica. Quel giorno forse Bertinotti sarà appagato, perché l'antica guerra di classe potrà ricominciare, teatralmente per lui ma dolorosamente per l'intera società. Il capitalismo non ripiomberà nell'Ottocento ma seguirà le sue più recenti inclinazioni e ricadrà piuttosto nel Medio Evo: nel Medio Evo delle servitù, del dominio di singoli grandi feudatari in lotta per il proprio mercato, del venir meno di regole legali vincolanti, della scomparsa dell'antica Res Publica romana, come previsto da Lester Thurow nel suo ultimo libro [Il futuro del capitalismo, New York, 1996). Ma per la nascente socialdemocrazia italiana sarà una sconfitta durevole, vasta. Non sarà stata lei a governare la crisi delle civiltà europee, e a trasformare questa crisi in una mutazione affaticante ma feconda. Avrà trionfato retoricamente forse come classe contemplativa, nelle tavole rotonde o nei congressi - ma non sarà passata alla storia per le azioni intraprese. Non sarà passata alla storia per l'egemonia politica esercitata sugli Spiriti Animali, neo-medievali, del contemporaneo laissez-faire capitalistico. Barbara Spinelli

Persone citate: Bertinotti, Ciampi, Faust, Lester Thurow, Margaret Thatcher, Massimo D'alema, Wim Kok