I fotografi della Magnum raccontano l'età d'oro del cinema

Ifotografi dtt Ifotografi dtt gfdetta IMlagB raccontano • l'età d'oro del cinema VENTIQUATTRO ogni secondo. Ventiquattro fotogrammi al secondo perché l'immagine nel cinema si muova. Ma in una sola delle fotografie trafugate sui set dai reporter della Magnum, c'è più di un intero film. Sono scatti immobili, colti nell'attimo fuggente, ma profondi quanto una vita. Quanto illusioni di grandezza. Quanto miti ritrascinati a livello della quotidianità. Un assaggio di questo inconsueto occhio pira¬ ta sulla celluloide viene dato dalla mostra Magnum Cinema che si tiene dal 22 marzo all'8 giugno al Museo dell'Automobile (corso Unità d'Italia 40; orario 10-18,30; chiuso il lunedì). Duecento immagini, scolpite tra bianco e nero, e colore, dai maggiori maestri dell'obiettivo, da Haas a Bischof, da Erwitt a Ève Arnold, raccolte anche nel catalogo «Magnum Cinema» (Mondadori). La Magnum, la mitica Ma- Sopra Marilyn Monroe sotto da sinistra Orson Welles Brigitte Bardot e Katharine Hepburn gnum, venne fondata da Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, George Rodger, David Seymour, stanchi di essere tiranneggiati da esigenti e vuoti committenti. Oltre a raccontare ogni angolo del mondo, guerre e morti, amori e voli, l'agenzia ha documentato con la stessa precisione svariati set cinematografici. Da Hollywood alle strade di Parigi, da Cinecittà agli studios indiani. Basta guardare un'immagine inventata a Los Angeles da Bruce Davidson, nel 1960, per capire che cosa può raccontare una foto Magnum. Allo stesso tavolo sono seduti Marilyn Monroe, Arthur Miller, Simone Signoret, Yves Montand. La Marilyn, compagna di Miller, ha avuto o sta per avere un flirt con Montand, che è marito della Signoret. Il quartetto è assiso intorno a un ta•volo. Con quattro bicchieri semipieni davanti. Due bottiglie di vino e qualche cicca in un portacenere. La morbida Marilyn con le spalline del vestito lasche, nascosta da una nuvola di capelli, il mento appoggiato al pugno, allaccia Miller con lo sguardo. Mentre la Signoret fissa sbieca Montand. In questo tempo sospeso, in questa convivialità condita di veleni e fragilità, c'è la storia di quattro miti. Più di quanta qualsiasi film sia mai riuscito a raccontare. Più di quanta le cronache ci abbiano mai narrato. Li, immobile. Casuale. Vera. Altre foto. Brigitte Bardot salta in costume da bagno, con i capelli neri, e un sorriso che illumina il cielo. Gary Cooper guada un fiume in equilibrio precario su un tronco. Godard, sagoma nera su uno schermo quasi trasparente, mette a punto una proiezione. Chaplin accoccolato sotto una macchina da presa fischia a piene mani sul set di «Luci della Ribalta». Hitchcock guarda i suoi attori come fossero animali. John Huston carezza i suoi levrieri. I fotografi da set si muovono come intrusi, catturano immagini e allacciano amori con attrici, bisticciano con registi e giocano a carte con loro. Regalano, tra luci e ombre, un'anima ai grandi attori. Quell'anima che il cinema ha tolto loro in cambio della fama, del mito. Bruno Ventavo»

Luoghi citati: Italia, Los Angeles, Parigi, Ève Arnold