Quelle nuvole barocche
nuuoie oaroca h nuuoie oaroca h a he POI vennero le «Nuvole» che strizzavano l'occhio ad Aristofane, fra il braccio speciale di don Raffaè e il figlio bello e audace bronzo di Versace e l'epitaffica domenica delle salme. Ma le prime nuvole di Fabrizio De André furono barocche, un singolo classe 1958 (sul retro «E fu la notte»): forse neppure turbarono i papaveri e le papere e le edere ovviamente avvinte, già stordite dal Modugno di «Volare». Raro, rarissimo cimelio, quel quarantacinque giri che i cittadini onorari di via del Campo e dintorni custodiscono - siamo a Torino - in gozzaniani secrétaire: buone cose, sia pure di datato, canforato gusto. Un orgoglio di poco inferiore possono esibire coloro che, sempre in blasonate trincee, «difendono» il primo album di De André, stagione 1966: «Nuvole barocche», ancora, dieci canzoni, da «Delitto di paese», nel segno di Brassens, a «Carlo Martello», con l'orma bislacca di Paolo Villaggio, al «Valzer per un amore» soffuso di echi villoniani. Né vanno né vengono né più ritorneranno le remotissime, celesti sagome. Lo scirocco che le spingeva è svanito. Lungo il Po, in particolare, non ha mai soffiato, mai soffierà. Eppure certi versi s'intonano allo scenario subalpino: «... il cielo è tutto rosso / di nuvole barocche / sul fiume che si sciacqua / sotto l'ultimo sole». In nome di quelle nuvole (le «nivole», le mansarde, gli abbaini, nei nostri paraggi) e di quel barocco (l'indigena cifra artistica: puro, rattenuto, educato, financo timido) le locali «anime salve» di strettissima osservanza non esitano a porgere a Fabrizio De André, almeno per una sera, almeno per un concerto, le chiavi di Torino.
Persone citate: Brassens, De André, Fabrizio De André, Modugno, Paolo Villaggio, Raro, Versace
Luoghi citati: Aristofane, Torino
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