HELLER: E' MORALE CHI SCEGLIE SE STESSO

LA LETTERA LA LETTERA di Piero G. M. Flecchia NEL mondo d'una trasmisnone televisiva della domenica pomeriggio c'e tra gli altri un imbronciato enciclopedista di cose calcistiche, che alla fine d'ognuna delle sue surreali tirate ammicca:... tonto per la precisione Orbene, in un ideale quelli della filosofia, alla notizia (su Tullolibn del 27 febbraio) che infine anche in Italia avremo l'opera omnia schopenhaueriana. sia consentito ricordare che fu il filosofo neokantiano (ma egli preferiva: neoplatonico) Piero Martinetti (Pont Canavese 27 Vili 1872 - Torino 23 III 1943) - uno dei dodici accademici che non giurarono per il fascismo - il più tenace sostenitore della necessità di una traduzione dell'opera omnia di Schopenhauer in lingua italiana. Convinzione che trasmise ai suoi due più prestigiosi allievi; Antonio Banfi e Giorgio Colli, i quali lo celebreranno tra i pochi filosofi della nostra tradizione metafisica. Colli, per i tipi Boringhieri. avrebbe poi realizzato, tra gli Anni 50 e 60, nei quasi cento titoli della splendida Piccola Biblioteca di Autori Classici, un vero disegno di collana filoschopenhaueriana, intorno al gioiello della traduzione dei Parerga e Paralipomena. Passato alla Adelphi, dove fu il promotore e curatore dell'opera omnia di Nietzsche (con l'allievo Montinari) Giorgio Colli continuò, dalla cattedra e negli scritti, a sostenere la capitale importanza filosofica di Schopenhauer, ergo la necessità di darne anche in italiano l'opera omnia. Plausi quindi alla Adelphi, che ne fa vero il disegno, ma qualche lode vada anche a Piero Martinetti filosofo senza importanza (cosi vollero decretare Croce e Gentile) e al filosofo Giorgio Colli ( 19171979), circa la cui importanza, ad altri l'ardua sentenza, tonto per la precisione. AURA, ambiguità, incertezza segnano il profilo del nostro tempo. Di questo disagio è fin troppo agevole rintracciare resoconti nella cronaca quotidiana, dall'economia alla politica al costume. Intanto, è di perdita d'identità che si parla in modo ripetitivo nel dibattito politico: sempre più difficile dire cosa sia destra e cosa sinistra. Il venir meno della sicurezza legata al posto di lavoro, e di assetti giuridici rassicuranti come lo Stato sociale, ridimensiona l'orizzonte delle aspettative: codici consueti per inteqjretare il comportamento sociale perdono rilevanza e cresce il dubbio sulla stabilità cu quanto per noi ha valore. In questo contesto di disordine normativo, le innovazioni tecnologiche e, in particolare, l'esplosione dei flussi informativi non fanno che accrescere il senso d'insicurezza. Non può sorprendere che in tale quadro la filosofia torni a porsi con strumentazione rinnovata classiche domande: che cosa vi è, che cosa vale, chi siamo noi. E' quanto si propone Salvatore Veca nel suo ultimo libro, Dell'incertezza, alla ri¬ cerca di una «filosofia ospitale», di un dialogo tra la compagnia degli «amici della verità» e quella degli «amici della solidarietà». L'operazione è compiuta, ecco la sua peculiarità, lavorando ai bordi, con intenti minimalistici, i paradigmi forti della metafisica e del pensiero filosofico europeo. Il campo argomentativo è quasi esclusivamente circoscritto dalla filosofia americana contemporanea, rispetto alla quale ia filosofia europea, e in particolare quella tedesca, non sembrano esistere o avere più alcunché da dire. Il che è sicuramente un limite. Ma è al¬ tresì una risorsa, poiché il dialogo serrato con i maggiori filosofi di lingua inglese, da Donald Davidson a Hilary Putnam, da Richard Rorty a Robert Nozick, da Jolui Rawls a Thomas Nagel funge da antidoto rispetto agli esiti nichilistici a cui spesso è approdata la filosofia continentale dopo Nietzsche. Una catena di variazioni sui temi salienti di quel dibattito, dunque, a fini di urbanizzazione di una provincia filosofica troppo satura di tradizioni e di incomprensioni. Con questo lavoro - e non ingan¬ ni il tono colloquiale, il basso continuo deM'understatement - Veca tenta un'operazione ambiziosa, che s'inscrive nella grande tradizione occidentale delle Meditationes, mettendo alla prova possibilità e limiti di una ragione che opera con le emozioni per sostenere azioni e credenze. Meditazione filosofica è «un esercizio mirante a simulare esperienze di perdita per saggiare il peso di ciò che per noi è importante». Questo esercizio non ha però nulla della radicahtà metafisica di una epoche nei confronti delle credenze del mondo della vita. Siamo corpi che hanno menti in una pluralità di contesti instabili che vanno condivisi. E l'obiettivo della ricerca è l'individuazione di «un mondo che umiimizzi l'esercizio della crudeltà e dell'umiliazione, della degradazione e dell'esclusione e massimizzi la tutela dei diritti». Il libro è ambizioso, talvolta troppo. Il titolo sembrerebbe suggerire un confronto con Wittgenstein, l'autore di Della certezza, ma sul punto il lettore è destinato a restare deluso. Rispetto alia svolta linguistica, indubbiamente Montaigne e, a destra, Salvatore Veca il fatto rilevante della filosofia del Novecento, si mette ragionevolmente in guardia dalla «fallacia onnilinguistica» di tanta parte del pensiero contemporaneo (o di certe mode del pensiero). Ed è saggio, anche se non molto originale, porre l'accento sui limiti del linguaggio, interrogarsi su chi è che parla. Quello che a Veca sta a cuore, e che qui conta, è una filosofia per animali parlanti, agenti e pazienti. Contro le stilizzazioni linguistiche dell'anima? rationale preme all'autore preservare l'integrità di un'antropologia che non perda di HELLER: E' MORALE CHI SCEGLIE SE STESSO FILOSOFIA MORALE Agnes Heller li Mulino pp. 329 L 35.000 FILOSOFIA MORALE Agnes Heller li Mulino pp. 329 L 35.000 A Filosofìa morale di Agnes Heller (seconda parte di una trilogia che comprende Etica generale, già pubblicato, e un saggio non ancora scritto sulla «ebuona vita») si apre con ima raffinata e intelligente teoria della vocazione: teoria di ciò che siamo destinati a essere e a fare nel mondo, teoria del destino, e del nostro ossessivo e per lo più disperato tentativo di capirlo, assecondarlo, contrastarlo; teoria del «come si diventa quel che si è». L'essenza stessa della riflessione morale nella modernità, come ripete Heller più volte nel libro, chiama in causa come tematiche centrali la questione della scelta, del destino, e del rapporto tra l'una e l'altro. C'è una «contingenza doppia» che colpisce e contrassegna l'uomo moderno: non solo la precarietà dell'umano (l'«essere gettati» nel qui), ma anche l'estrema varietà e diversificazione dei percorsi sociab, l'incertezza, l'instabilità dei regimi politici. L'uomo moderno «è un fascio di possibilità privo di un thélos»: non può fare affidamento sul destino che gli è stato socialmente assegnato, ed è alle prese con una pluralità di destini possibili, tra i quali occorre scegliere. Qui si dischiude però la precondizione stessa di una filosofia morale. Infatti, va detto che a differenza della riflessione etica (a cui è dedicato Etica generale), la morale non ha per oggetto l'universalità dei principi, ma il «che cosa devo fare?», ossia la contingenza delle singole decisioni. Ed è proprio la modernità, che pone in modo determinante il problema della scelta, a far rilevare l'importanza della teoria morale: essa si rivolge precisamente a chi è posto nella dimensione del dover scegliere, a chi vuole scegbere, e ha bisogno perciò di principi orientativi. Inoltre la filosofia morale si rivela possibile perché, pur nella pluralità dei contesti in cui ci si muove, resta un terreno unico di incontro, un orizzonte comune, che ci è dato precisamente dalla condivisione della contingenza. «Gli uomini e le donne della modernità», scrive Heller, «sono tutti di fronte allo stesso problema: o scelgono se stessi, o lasciano che gli altri scelgano per loro». Di qui il primo, suggestivo precetto-consiglio della morale di Heller: «Se non scegliete voi stessi, altri sceglieranno per voi», «se non scegliete la vostra vita... morirete senza aver vissuto». Scegliere se stessi, «trasformare la propria contingenza in destino» è l'equivalente moderno del «conoscere se stessi». Si tratta forse di «farsi», «costruirsi» in modo arbitrario? La morale di Heller è tipicamente e dichiaratamente moderna, ma non così ingenuamente volontaristica. La scelta non si compie a partire dal nulla dell'arbitrio: in essa si tratta di «diventare ciò che si è». Il «che cosa devo fare, chi devo essere?» ci è dato solo come risposta a certi appelli (di qui la centralità della vocazione), «chiamate» che ci vengono rivolte nella contingenza delle circostanze vitali. Dunque scegliere è sempre ri-scegliere, e imporsi una direzione è sempre corrispondere anche a una richiesta o a un invito. Heller distingue la scelta «nella differenza», che consiste nel darsi una via nell'eccezione, scegliere la propria specificità di artista, musicista, tornitore, ecc., e la scelta propriamente morale, quella «nell'universalità», che consiste nello scegliersi come persona «buona», che «preferisce patire ingiustizia, piuttosto che commetterla». Naturalmente, le due scelte possono scorrere parallele, anche se qua e là possono generarsi effetti di disturbo; e va detto che entrambe hanno una Agnes Heller: la sua «Filosofia morale» è la seconda parte di una trilogia che comprende «Etica generale», già pubblicato, e un saggio non ancora scritto sulla «buona vita» caratteristica irrevocabilità: chi ritorna sulle proprie scelte esistenziali, scrive Heller, di fatto non ha autenticamente scelto se stesso, ma si è lasciato attraversare dalle decisioni altrui. L'esito di questa antropologia che possiamo definire «vocazionale» è anzitutto una visione della sapienza morale come arte interpretativa, che si fonda e si sviluppa nel dialogo, non nell'astratta rarefazione della teoria, ma nell'incontro dialogico tra questo singolo e quest'ago singolo (di qui una presa di distanza dalle etiche universalistiche, come l'«etica del discorso» di Habermas e Apel). Ma secondariamente, la semplicità e l'evidenza della realtà morale che si dispiega in questa prospettiva concreta, dialogica, interpersonale (esistono di fatto, e sono facilmente incontrabili, persone buone), apre la possibilità di un teorizzare extra-contestuale, ossia ci permette di parlare se non all'Umanità Intera (impensabile astrazione) a tutti i singoli umani. Heller formula così alcuni principi anti-universalistici, condivisi anche dalle etiche di ispirazione ebraica (Lévinas, Derrida), «femminile» in senso lato (Arendt, Irigaray, Benhabib), neoaristoteliche e postmoderne, ma li elabora in un tentativo di organizzazione teorica generale. Il principio (che le etiche suddette contrappongono all'egualitarismo) della «cura dell'altro in quanto altro» diviene il centro di una morale fondata in ogni aspetto, comprensiva di regole orientative e massime universali, teoria delle virtù e dei vizi, teoria del giudizio morale e delle facoltà che gli sono proprie. Heller resta sostanzialmente fedele alla visione moderna della teoria. Certamente non si tratta di una teoria risolutiva una volta per tutte. «Nessuna filosofia morale può provare che le persone rette sono "migliori"», scrive Heller; ma va detto che lo sforzo da lei compiuto fa irrompere in un mondo abbastanza tiepido in materia di virtù, e ancora profondamente segnato dall'ipoteca relativistica, l'utopia di una morale possibile, di una bontà universalmente degna di essere perseguita. Dialogo con i classici alla ricerca di verità minime e di una «ospitale» solidarietà; pragmatismo angloamericano come ragionevole antidoto ai paradigmi della metafisica vista che il linguaggio c'è per esseri che patiscono, agiscono e scelgono. Anche se il tessuto argomentativo, il lessico, gli ammiccamenti talvolta un po' compiaciuti sono tutti interni alla compagnia anglofona dei filosofi, il senso profondo della scommessa di Veca sembra essere un altro. Si tratta di far dialogare tre grandi filosofi della modernità (tre facce, se si vuole, del pensiero moderno), prendendo sul serio anche le loro ossessioni: la crudeltà per Montaigne, la solitudine involontaria per Hume, la frustrazione della dignità e dell'autonomia per Kant. Sono ancora queste, si suggerisce, le sfide per la filosofia in un mondo pieno di violenza, di solitudine di massa e di esclusioni umilianti. Solo dal dialogo fra quei classici può scaturire pertanto un programma all'altezza dei tempi, sintetizzabile nel motto: «Intransigenti con il male e libertari con il bene». Con la svolta linguistica la riflessione filosofica sull'identità transita dall'«io» al «noi». Ed ecco allora il compito di costruire un «noi» che sia fatto di ragioni e non di idiosincrasie, perché solo così si può riuscire a trasformare un mondo avaro di senso in una realtà condivisa con altri. Entro un contesto che vede il ritorno delle tribù, l'impegno è una difesa consapevole dell'universalismo, anch'esso la concezione di una tribù particolare (le obiezioni dei comunitari vanno prese sul serio). Ma è bene chiarire che la prospettiva tmiversalistica non esige il sacrificio del sé e del noi, non impone a ciascuno di rinunciare ai suoi lessici, ai suoi valori e alle sue tradizioni, implica soltanto che «si accetti la priorità di quanto mutuamente ci dobbiamo come esseri semplicemente umani partner di pari dignità». Già queste sono sufficienti ragioni per un universalismo minimo. Il che fa tutt'uno con 0 riconoscimento delle ragioni del laicismo: esplorare il possibile politico comunicandolo ad altri. Tale è il senso dell'impresa filosofica oggi, anche quando sembri possibile perseguirla solo nelle forme del bricolage. In condizioni di incertezza, appunto. Pier Paolo Portinaro Franca D'Agostini U. MÙCKENBERGER - G. SAPELLI (a cura di) I NUOVI «LANDER» TEDESCHI E I «MEZZOGIORNI» D'ITALIA Un confronto italo-tedesco pp. 210 £. 20.000 ISBN 88-7284-482-7 NESTORE DI MEOLA LA «GRANDE GERMANIA» VERSO IL DUEMILA pp. 170 £. 18.000 ISBN 88-7284-562-9 ELISABETTA GUALMINI LE RENDITE DEL NEO-CORPORATIVISMO Politiche pubbliche e contrattazione privata nella regolazione del mercato del lavoro italiano e tedesco pp. 312 £.25.000 ISBN 88-7284-516-5 ANTONIO COSTABILE MODERNIZZAZIONE FAMIGLIA E POLITICA Le forme del potere in una città del Sud pp. 192 £. 20.000 ISBN 88-7284-521-1 ADOLFO PEPE IL SINDACATO NELL'ITALIA DEL '900 pp. 586 £. 50.000 ISBN 88-7284-452-5 GILBERT HOTTOIS IL PARADIGMA BIOETICO Un'etica per la tecnoscienza a cura di Daniela De Leo e Rita Rocco pp. 188 £.20.000 ISBN 88-7284-498-3 H. BRESC - G. BRESC-BAUTIER (a cura di) PALERMO 1070-1492 Mosaico di popoli, nazione ribelle: l'origine della identità siciliana Edizione italiana a cura di L. Sciascia e S. Tramontana pp. 252 £. 30.000 ISBN 88-7284-400-2 FABRIZIO CONCA (a cura di) BYZANTINA MEDIOLANENSIA Atti del V Congresso Nazionale di Studi Bizantini pp. 454 £. 70.000 ISBN 88-7284-495-9 Rubbettino Tel. 0968/662034 - E-mail: Rubbettino@boot.it

Luoghi citati: Germania, Italia, Palermo, Torino