BOBBIO: QUELL'AVVOCATO NON CONOSCE BENE KELSEN di Bruno Quaranta

IL RICORDO IL RICORDO di Alberto Arbasino CARO Tuttolibri, La dottrina pura del diritto di Hans Kelsen, menzionata nel nuovo romanzo di Antonio Tabucchi, fu pubblicata da Einaudi nella «Biblioteca di cultura politica e giuridica», nel 1952; ed era il testo su cui si dava l'esame di Filosofia del Diritto all'Università Statale di Milano col professor Renato Treves che l'aveva tradotta. Noi studenti d'allora la trovavamo assai elegante non solo per la copertina (lo stesso design dei «Gaggi», però in grigioperla e non arancione), ma perché la dottrina «pura» viennese come Wittgenstein e Adolf Loos - insegnava a considerare il diritto senza ideologie e senza passioni, liberando la giustizia secondo norme né serve né complici della politica. Firmino è il giornalista che indaga sul delitto, ma il rem protagonista del romanzo è Loton. il lesale che. o eso assomiglia a Pereira Firmino è il giornalista che indaga sul delitto, ma il rem protagonista del romanzo è Loton. il lesale che. o assomiglia a Pereira NTONIO Tabucchi ha preso gusto al romanzo-romanzo, quello dotato, per intenderci, di personaggi robusti, di una trama facilmente percorribile, di passioni forti espresse senza schermi svianti. Ieri Sostiene Pereira, adesso La testa perduta di Damasceno Monteiro. Ma va da sé che uno scrittore colto e avvertito come lui recupera per strada il piacere e la necessità della citazione, la cifra dell'allusione, il prelievo onirico. Non rinuncia cioè a fare stile. Semplicemente, come il suo maggior personaggio, causidico in varie discipline, sembra avvertire l'urgenza di «passare alatto pratico», di non eludere una realtà violenta e «bassa» che tuttavia ci viene imposta, ci appartiene. Con tutto il possibile malumore per essere distratto da interessi più «nobili» e gratificanti: «Milioni di stelle, disse, milioni di nebulose, cazzo, milioni di nebulose, e noi qui ci stiamo occupando di elettrodi che ci infilano nei genitali». Stiamo entrando con questo dentro il romanzo, dentro la storia di Damasceno Monteiro e della sua testa, perduta due volte. Prima quando pretende di uscire dalla miseria imitando e ricattando chi è più forte e spregiudicato di lui, poi quando viene torturato, ucciso e decapitato per confondere le tracce del delitto. Tabucchi imbastisce intorno a queste premesse un thriller moderato, nel senso che quasi subito veniamo a sapere come sono andate le cose e la suspense riguarda soprattutto le contromisure prese via via da chi vuole inchiodare gli assassini: la strategia delle indagini, ma anche le reciproche investigazioni ulteriori, il riconoscimento e la crescita delle ragioni che inducono ad affrontare una battaglia apparentemente vità). Ma c'è anche l'infanzia solitaria con una nonna arcigna, la ferita di un amore perduto per inavvertenza o colpa, la consultazione maniacale di un antico orario delle Ferrovie svizzere a cercare treni puntualissimi e irrimediabihnente scaduti. I sogni di un sedentario che si è rassegnato all'immobilità propria, ma non a quella del mondo. Che diventa centro motore di mia cospirazione degli onesti contro le ipocrisie e le complicità del potere: Firmino, intanto, ma anche il direttore del suo giornale e Dona Rosa, la padrona della pensione dove alloggia il giornalista, che svolge una inattesa, e mi po impossibile. A partire dal ritrovamento del cadavere ad opera di «Manolo il Gitano», una figura di intensa creaturalità che, intrattenendo rapporti conflittuali con la polizia, rifiuta di andare in caserma a denunciare personalmente la scoperta. E mentre imprime cosi alla storia il sigillo di una oscura solidarietà tra perdenti, rivela una straordinaria preveggenza. Monteiro, infatti, è stato assassinato da tre agenti della Guardia Civil perché ha scoperto che gestivano un traffico di droga e ha cercato ingenuamente di rivalersi. Chi indaga sul delitto è Firmino, giovane cronista di un giornale scandalistico, che sogna in realtà di dedicarsi alla ricerca letteraria, di scrivere un saggio su Vittorini e la sua influenza sul romanzo portoghese. Ma sarà un avvocato a convincerlo della dignità della cronaca nera, di un giornalismo essercitato con lucidità e passione. Questo avvocato Loton, così chiamato per la sua somiglianza con l'attore Charles Laughton obesità, viso glabro e floscio, labbro pendente - è il vero, complesso protagonista del romanzo. Appartiene a una famiglia aristocratica decaduta e si picca di riscattare le colpe degli antenati dedicandosi alla difesa dei disgraziati di ogni risma. Esperto di poesia e di teoria letteraria, è ossessionato però da Hans Kelsen, il filosofo del diritto 1 che era stato un idolo della sua gioi vinezza. Si sforza di capire come la ! «norma assoluta», immaginata quale fondamento di una giustizia asettica, diventi storicamente fonte di aberrazioni, di dogmatiche asserzioni: avallo di una tortura che continua sotto la pelle della normalità, ben oltre gli esempi che Loton snocciola a Firmino, desumendoli dalla storia recente dei totalitarismi e dei colonialismi. E' un gran personaggio, destinato a imprimersi mdelebilmente nella nostra memoria. Come Pereira al quale assomiglia non solo fisicamente: fin nel rapporto con un giovane alunno che là appariva tuttavia rovesciato. Nel senso che era il rivoluzionario Monteiro (ancora quel nome) a risvegliare la coscienza sopita del maestro. Dal fondo del suo ufficio, Loton tesse la sua tela di ragno benefico e sembra incarnare l'anima razionale di Oporto, insieme alla sua effusa, febee corporeità (la trippa locale di cui l'avvocato è goloso e che Firmino detesta, è un motivo insistente di umoristica le¬ giornalista sul delitto, rotagonista o è Loton. le che. a Pereira vità). Ma c'è anche l'infanzia solitaria con una nonna arcigna, la ferita di un amore perduto per inavvertenza o colpa, la consultazione maniacale di un antico orario delle Ferrovie svizzere a cercare treni puntualissimi e irrimediabihnente scaduti. I sogni di un sedentario che si è rassegnato all'immobilità propria, ma non a quella del mondo. Che diventa centro motore di mia cospirazione degli onesti contro le ipocrisie e le complicità del potere: Firmino, intanto, ma anche il direttore del suo giornale e Dona Rosa, la padrona della pensione dove alloggia il giornalista, che svolge una inattesa, e mi poco miracolistica, attività di intelligence. Loton perderà la sua prima battaglia processuale. La sua arringa conservata a brandelli in una registrazione imperfetta è la prova della sua impotenza, dell'incapacità di farsi ascoltare. Ma i lampeggiamenti di alta retorica nella quale l'avvocato fa confluire tutto il suo rigore morale, tutti i libri che ha letto, non lasciano dubbi sul seguito della storia: «Per tutti i problemi essenziali, e cioè quelli che rischiano di far morire o che moltiplicano la passione di vivere, esistono solo due metodi di pensiero, quello di La Palisse e quello di Don Chisciotte». Lui la sua strada l'ha scelta da tempo, cercherà nuove prove, riaprirà il processo. Lorenzo Mondo BOBBIO: QUELL'AVVOCATO NON CONOSCE BENE KELSEN LA DOTTRINA PURA DEL DIRITTO Hans Kelsen Einaudi pp. 425 L. 55.000 LA DOTTRINA PURA DEL DIRITTO Hans Kelsen Einaudi pp. 425 L. 55.000 EI conosce Hans Kelsen?», chiede a bassa voce l'avwocato Loton al giornalista Firmino. Kelsen appare nell'undicesimo capitolo del nuovo romanzo di Antonio Tabucchi. Chi è? E' un filosofo del diritto, mitteleuropeo, nato a Praga nel 1881, due anni prima di Kafka, scomparso a Berkeley, California, nel 1973, ultranovantenne. Un'opera su tutte, La dottrina pura del diritto. La tradusse per Einaudi Renato Treves (morto nel 1992, coltivò in particolare la sociologia del diritto). Mario G. Losano ha curato l'edizione del 1966, riproposta nel 1990. Kelsen è un caposcuola del positivismo giuridico, la corrente hi cui si è mosso Norberto Bobbio (che al «positivismo giuridico» dedicò un fondamentale corso universitario). «Conobbi Kelsen a Parigi - ricorda - alla fine degli Anni Cinquanta. Un piccolo convegno sul diritto naturale. Tenni una relazione sul tema: "Alcuni argomenti contro il diritto naturale". A Kelsen piacque. C'era an¬ che Alessandro Passerin d'Entrèves, che difese le ragioni del giusnaturalismo. L'antico distinguo fra ciò che è per natura e ciò che è per convenzione o posto dagli uomini». Tabucchi alias Loton così descrive Hans Kelsen: «Era un uomo alto e secco, calvo e impacciato, a prima vista nessuno avrebbe capito che era un grande filosofo del diritto, lo si sarebbe scambiato per un funzionario statale». Un medaghone che Bobbio ritocca: «Forse tradiva l'aspetto del funzionario statale, al mio ricordo era però di piccola statura». Ancora Tabucchi-Loton: «Kelsen, negli anni venti, aveva scritto un saggio intitolato Hautprobleme der Staatsrechtslehre». Ancora corregge Bobbio: «In realtà non è un semplice saggio. E' un volumone, il testo che lo ha fatto conoscere: aveva appena trent'anni. E poi non fu pubblicato negli Anni Venti, bensì nel 1911». «La dottrina pura del diritto», ovvero? «Pura - spiega Norberto Bobbio - nel senso che ha liberato il diritto dai giudizi di valore. Secondo Kelsen, al filosofo tocca occuparsi del diritto che è (un sistema di norme che stabiliscono poteri e di poteri che rendono effettive le norme), non del diritto che deve essere». Di qui l'accusa - paradossale: Kelsen era ebreo, dovette lasciare l'Università di Colonia, volendo sottrarsi al regime nazionalsocialista - di aver nobilitato i totalitarismi, a cominciare dal nazismo. «Affermava, coerentemente - osserva Bobbio - che il diritto nazista era diritto perché, e fino a che, è ubbidito, osservato». L'avvocato Loton ha una passione-ossessione, la teoria sulla Grundnorm («Per Kelsen è situata al vertice della piramide, è una Norberto Bobbio nonna base rovesciata, sta in cima alla sua teoria della giustizia, quella che lui definiva Stufenabau Theorie»). «A dire il vero - corregge Bobbio - la giustizia non c'entra. La norma fondamentale è quella da cui dipende la validità dell'intero ordinamento giuridico, indipendentemente dal fatto che le norme siano giuste o ingiuste. Le norme di un ordinamento giuridico sono disposte in ordine gerarchico. Dalle norme inferiori alle norme superiori, un'ascesa di delegazione in delegazione che conduce logicamente a una norma ultima, che fonda tutte le altre senza essere essa stessa fondata, Filosofo mitteleuropeo, maestro del positivismo giuridico, un'opera su tutte: «La dottrina pura del diritto» la norma fondamentale, appunto. Rispetto alle altre norme, la norma fondamentale si distingue perché non è stabilita da una volontà dominante. E' una norma presupposta, secondo cui un ordinamento per essere valido deve essere anche effettivo, cioè di fatto ubbidito, indipendentemente dalla considerazione che il governo sia giunto al potere democraticamente o con una rivoluzione. Da tener presente la corrispondenza tra la norma fondamentale, che chiude la gerarchia delle norme, e il potere sovrano, che, in quanto potere al di sopra del quale non c'è nessun altro potere, chiude la gerarchia dei poteri». Hans Kelsen è sempre attuale? «Non direi - conclude Bobbio -, soprattutto per l'accresciuta influenza del diritto anglosassone, più prammatico e meno dottrinale. Kelsen è attuale come sono attuali i classici, la cui attualità non può essere commisurata al variare dello "spirito del tempo"». Bruno Quaranta

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