AFRICA E ITALIA GIOCO DI SPONDE di Giovanni Tesio

AFRICA E ITALIA GIOCO DI SPONDE AFRICA E ITALIA GIOCO DI SPONDE Spina, romanziere tra due culture LA RIVA DELLA VITA MINORE Alessandro Spina Mondadori pp. 302 L. 26 000 RODENGO (BRESCIA) DELLA VITA MINORE Alessandro Spina Mondadori pp. 302 L. 26 000 LESSANDRO Spina ha trovato nella maschera del nome il miglior travestimento di un'identità che non esiste - dice - se non «nella metamorfosi». Più demone che demiurgo, la sua ossessione è la polarità: «Tutto comprende sempre l'opposto». Con La riva della vita minore, appena uscito da Mondadori, lo scrittore completa il ciclo di nove romanzi, pubblicati nell'arco di un trentennio, nei quali narra la storia della Libia dalla guerra giolittiana dell'I 1 fino alle soglie della destituzione di re Idris, che non a caso nell'ultimo romanzo campeggia in solitudine austera, in un'aura sacrale. Non un percorso rigorosamente cronologico ma mi condensato esemplare di momenti cruciali («è la somma che crea la diacronia»), i nodi di una polarità che si gioca sulle sponde di due mondi estranei. Per ventisei anni ha fatto l'imprenditore. Ma le sue passioni sono sempre andate all'arte, l palla musica, alla letteratura: «Più Wagner che Vittorini», confessa epigrafico. La lingua materna è stata l'arabo. Ma la lmgua d'uso e letteraria è l'italiano, che ha appreso fin dall'asilo, e poi perfezionato frequentando il liceo al «Maria Luigia» di Parma e l'Università a Milano, laurea in lettere. Un patrimonio prezioso perché «mia persona può avere cuori diversi» e la ricchezza di mia lmgua è più consistente se si ha «la possibilità di mescolarla con altre». Non può che discenderne un onesto orrore per le etichette: «La letteratura non segue il sistema maggioritario, ognuno va per conto suo» e infatti la sua officina è intessuta di dialoghi mentali in francese e la sua biblioteca è piena di romanzi tedeschi: da Fontane a Musil a Hofmannsthal a Kafka a Marni. Più Marni - addirittura - del pur amatissimo Proust: «Mentre l'importanza che ha per me Thomas Marni è assolutamente serena e filiale, il mio più grande sforzo è stato distaccarmi da Proust, perché Proust può schiacciare. Tra me e Proust ho dovuto mettere l'Africa». Anche se poi l'Africa resta mi fatto remoto, mia riva più mentale che reale, più l'emblema di una polarità esemplare che un'esperienza semplicemente autobiografica. Pur non astenendosi dal denunciare (con mi po' di civetteria) la soglia dei settantanni, Spina resiste alle domande dirette, mantiene il riserbo con tenacia. Mentre le sopracciglia foltissime invadono la montatura degli occhiali, guarda con occhi chiari e penetranti e porta un po' la voce come un attore. Signore di una splendida dimora cinque-settecentesca collocata ai piedi delle basse colline di Franciacorta, ha curato l'assetto del parco come una scenografia. Ma tra glicini e betulle, cespugli e vialetti di studiata disposizione diventa più facile capire come l'occultamento del nome anagrafico non sia un'impuntatura. Cauzione di un passato che potrebbe ancora bruciare? Sicuro, ma non basta. Freudiano travestimento del rimosso? Possibile, ma quasi ovvio. Molto più probabile che tutto dipenda dalla strategia scenica di una passione plurisangue e pluriculturale. Cogliendo lo scrittore nel suo ambiente si capisce che la sua non è ostinazione, ma teatro. Teatro che diventa memoria, memoria che diventa teatro: «Un bambino un po' chiuso, un po' difficile, che non si è mai ritrovato completamente nel quotidiano, quando scopre il teatro, e soprattutto il teatro d'opera, trova oggettivato, applaudito quello che sembrava stramberia. Una rivelazione, mia maniera altra di vivere». La vicenda del romanzo è semplice e complessa. In una città libica si muove una società di africani e di europei colti in un periodo che va dal '59 al '64, alle soglie di un cambiamento radicale appena alluso: «Quello che m'interessa è il moto oscillatorio della niente tra due mondi, patria e altrove ad un tempo. In Europa l'altrove è l'Africa, in Africa è l'Europa. Una stessa persona può essere come un treno che va in una direzione e poi nella direzione inversa». E' proprio questo il moto che riguarda il protagonista, Gerard Conti, il cui nome sa di resoconto epocale: un ponte gettato sull'unico futuro possibile tra due rive «senza affinità. Gerard è un addetto commerciale francese che decide di lasciare il suo incarico per restare in Africa e per tornare poi più maturo a Parigi. Intorno a lui si muove un gruppo di comprimari che interpretano ruoli diversamente intrecciati e annodati al tema conduttore del doppio: movimento di figure che disegnano le loro geometrie mentali tra l'una e l'altra sponda, tra identità e alterità, su un palcoscenico d'ombre, specchi perturbanti. Sulla distanza da Gerard si può anche misurare la distanza culturale di una letteratura come quella italiana che alla riva africana non ha prestato molta attenzione: «Certo la Libia non è stata per gli italiani ciò che l'India è stata per gli inglesi. L'Africa fu un episodio marginale e anche personaggi importanti e famosi scrissero sciocchezze. D'Annunzio ad esempio, o lo stesso Pascoli che si impietosiva per una rondinella e trovava naturale la guerra coloniale. Addirittura scandaloso e repellente quanto Croce scrive nella Storia d'Italia)). Mai in tutto il colloquio si è alzata così forte la voce dell'indignazione. Ma già Spina smorza i toni avendo l'aria di pensare a qualcosa che sta oltre ogni Africa ed Europa. Con l'amata Cristina Campo, che ha contribuito a far conoscere, forse pensa alla sottaciuta riva maggiore del divino, dove ogni necessità anagrafica non può che scomparire. Dove ogni polarità metaforica della sua riva minore non può che perdersi, che combaciare. Giovanni Tesio