Massimo-show all'università

Massimo-show all'università Massimo-show all'università L'ironia spegne gli slogan degli autonomi ^«ASSEMBLEA» A PALAZZO NUOVO TORINO ASSIMO D'Alema ha appena parlato della crisi dello Stato sociale, della necessità di governare i nuovi processi imposti dalla «mondializzazione dell'economia», della battaglia con la destra, quando conosce la sua prima contestazione - da segretario del pds - in un'università. Davanti a lui trecento studenti stipati nell'aula magna delle facoltà umanistiche. Nell'atrio di Palazzo Nuovo, altrettanti. «La sinistra - incalza il segretario del pds - deve svolgere un'azione politica, quattro anni di antipolitica ci hanno dato Berlusconi, ma anche la sinistra deve ripensare lo Stato sociale, il complesso delle garanzie conquistate...», al fondo del salone un gruppo di giovani del Collettivo Antagonisti Universitari estrae uno striscione, lo attacca al muro con un nastro per scatoloni. La scritta è a caratteri cubitali, stella degli autonomi, tutto in rosso: «Servi della Confindustria. D'Alema nella fossa». La platea si volta, c'è un brusio di disappunto, ma il leader della Quercia rassicura: «Lasciate stare, è solo una domanda scritta». Applauso. Le domande orali saranno, poi, una ventina. Sulla riforma dello Stato sociale, sulla mobilità del lavoro, su Berlusconi, sulla riduzione dell'orario di lavoro, sul deficit pubblico, sugli stipendi dei parlamentari, sull'Albania, sulla scuola privata, ma il pezzo forte della mattinata è il botta-risposta tra D'Alema e i giovani contestatori. Drm-drin. Suona un telefonino. «Rispondi, sarà Berlusconi» gli gridano dal fondo. «Io non ho cellulari», risponde. Poteva essere un match, invece, ha rischiato di diventare uno show, con il presidente della Bicamerale nella parte del mattatore. Sicuramente gii sono state di aiuto le assemblee di anni ben più caldi. Quando era universitario, nel '68, nella Pisa di Sofri. 0 nel '77, quand'era segretario dei giovani comunisti. Erano manifestazioni in cui dalle parole di passava ai fatti. Invece, ieri il cordone delle for¬ ze dell'ordine ha potuto restare tranquillamente al suo posto. D'Alema ha dribblato la polemica con l'ironia, con la battuta, sempre fulminea. Le stesse contestazioni sono state contenute. I giovani hanno urlato, ma senza trascendere. Le provocazioni più pesanti? Un attacco dai giovani del Fuan per «la casa in affìtto», dagli autonomi con slogan del tipo: «Governi di destra, governi di sinistra, chi è amico di Romiti è sempre fascista», «... chi caccia gli immigrati è sempre fascista». D'Alema prosegue: «Il problema vero dell'università è ...». «Berlinguer», gli urla uno studente del Fuan. «Se fosse così prima andava bene», risponde. Parla di sacrifici, per tutti. Lo interrompe un giovane: «I sacrifici li facciano i padroni», e lui: «Siamo d'accordo». Il leader pds racconta del suo rapporto con il sindacato, «con i comagni della Cgil», «quali compagni?», ironizza il giuppo degli autonomi. «Va be', i miei compagni», riprende D'Alema. La platea, dopo aver assistito indifferente, approva sempre più il segretario della Quercia, che pur minimizza le intemperanze, «Abbiamo anche un po' dialogato». 1 contestatori insistono, lo marcano: «Siete un'altra destra». Lui incassa: «Vi auguro di batterla come l'abbiamo fatto noi, ma sarà dura». «La destra ce l'hai al tuo fianco», aggiunge un giovane indicando un universitario del pds; ((Alla mia destra, purtroppo, ci sono parecchi milioni di italiani». Un altro: «La lotta di classe spazzerà anche voi», D'Alema: «Questo è auspicabile, e spero che lei ci sia in quel momento». Prosegue sull'Europa, «noi voghamo garantire la democrazia al continente». Gli arriva un «buffo¬ ne». D'Alema continua: «E' la nostra sfida intellettuale, e chi si accontenterà degli slogan si divertirà meno». Albania, «Là è la guerra, dobbiamo aiutare chi viene nel nostro Paese, ma non chi viene per delinquere». Gli autonomi: «La pensava così anche Hitler». D'Alema: «Questa sì è una battuta che va applaudita». E il battimani, l'ultimo, è stato fragoroso. Luciano Borghesan Squilla un telefonino. «Rispondi, è Berlusconi che ti chiama». Ma lui ribatte: «Non ho cellulari»

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