Il ruggito dei bulldozer e il sussurro di Feisal di Fiamma Nirenstein

Il ruggito dei bulldozer SUL MONTE DELLA DISCORDIA Il ruggito dei bulldozer e il sussurro di Feisal GERUSALEMME O, questo non è ancora l'inferno in cui Gerusalemme potrebbe trovarsi da un giorno all'altro. Questo è Tanti-inferno: un monte strampalato, mai sentito nominare, Har Homà, all'apparenza bellissimo, pieno di rovine pastorali tipo nuraghi, con i mandorli in fiore, le larghe balze ornate di vecchi palestinesi con la kefiah bianca e rossa, i pini fitti, gii ulivi azzurri; e d'un tratto alcuni enormi bulldozer arancione ruggiscono, e la terra si rovescia come disgustata, diventa gialla e ancora più fangosa di prima. La pioggia batte da stamattina alle 8 sulla testa di noi cronisti, custodi di questo anti-inferno, con i telefonini che trillano in tutte le lingue, le penne sguainate, le macchine da presa che frugano ovunque, i microfoni pelosi protesi. Siamo come le pizie che aspettano la tragedia preannunciata da tempo: Netanyahu, si dice in giro, prima ha sperato nella pioggia e nella grandine, ma quando un sole gelido ha squarciato le nuvole ha dato il via, perché non c'erano più scuse, il mondo stava a guardare chi avrebbe flesso i muscoli per primo. E poiché Netanyahu era stato improvvido e roboante, ripetendo che se Har Homà non fosse stato costruito, la battaglia di Gerusalemme sarebbe stata perduta per sempre (chissà perché!), anche se dopo la visita di re Hussein forse non ne avrebbe avuto più voglia, ha fatto il duro. E così si è giocato tutta la simpatia conquistata con lo sgombero di Hebron, ha accettato di farsi di nuovo strapazzare da tutto il consesso internazionale, come si è visto all'Onu, dove 130 Stati gli hanno votato contro. E sempre di più così sarà se si aprirà lo scontro, visto che Netanyahu non vuole capire che il machismo è passato davvero di moda. Non si sa se lo abbia capito anche Arafat, e se si voglia tirare indietro dagli anatemi di fuoco lanciati in questi giorni. Per ora rifiuta d'incontrare Netanyahu, se il primo ministro israeliano non gli farà proposte concrete; però, l'atteggiamento di Feisal Husseini, il leader palestiense che gestisce la battaglia di Gerusalemme, per ora non sembra quello di un duro a tutti i costi. Ieri mattina era seduto su una specie di basso sofà, da molte ore, in una tendina militare, il quartier generale delle operazioni. Intorno a lui, accoccolati, si sono avvicendati tanti notabili palestinesi che lo sono venuti a trovare anche da parte di Arafat, che^n quelle ore incontrava uno dei capi dell'opposizione israeliana, Yossi Sarid. La tendina color kaki è minuscola. Il vento feroce sbatte, esplode, impedisce di parlare; Feisal è gonfio di influenza e di stanchezza, ha un'aria mite e antica, sembra uno sceicco di mezz'età, avvolto com'è in una lunga palandrana marrone pelosa, con i risvolti blu, e con uno strano cappello blu calcato sulla fronte. I palestinesi si consultano sottovoce e hanno l'aria depressa. Sono tutti imbacuccati nel freddo, ognuno indossa un copricapo diverso come in un quadro di Masaccio, chi la kefiah, chi turbanti fatti di sciarpe di lana. Feisal bisbiglia an- che rispondendo alle domande: «Ah, davvero!? - ci chiede facendoci trasecolare - i bulldozer si sono già mossi? Mezz'ora fa? Il processo di pace è per me come un mio figlio. Non posso credere che muoia, che sia morto. Per ora, ci stiamo organizzando. Vedremo il da farsi. Sono molto irritato con Netanyahu che non ha mai cercato una decisione comune. Però in queste ore continuano le trattative tra le due parti, spero ancora che portino a buon fine. Perché se la gente non riconosce più la leadership del processo di pace ne riconoscerà un'altra, certo non più moderata di noi che abbia¬ mo scelto la non violenza» Feisal lo ripete per essere certo che non si accusino i palestinesi di violare l'accordo di Oslo. Il tentativo di spostarsi dalla tenda per avvicinarsi alla zona da costruire viene bloccato a spintoni da uno schieramento immane di polizia che ormai fa parte del paesaggio, e che popola ogni sasso, ogni ulivo, ogni balza. Ha fermato anche un gruppo di studenti che volevano venire a protestare: «Pero - ripete Feisal - ancora non è la fine». Anche da parte israeliana non si è proprio cominciato a costruire, ma solo ad aprire una strada, più lontano possibile dalla zona palestinese oltre la linea verde. Vorrà dire qualcosa? «Può darsi di sì», dice, stanchissimo, Feisal Hussein, mentre il vento sbatte cosi forte sulla tenda che quasi non si riesce a sentirlo. Fiamma Nirenstein Il leader palestinese Husseini veglia in una tenda sotto il diluvio Il leader palestinese Husseini veglia in una tenda sotto il diluvio Le ruspe al lavoro e Feisal Husseini Le ruspe al lavoro e Feisal Husseini

Luoghi citati: Gerusalemme, Oslo