Le correnti usa e getta di Filippo Ceccarelli

Mussi: «Così danneggiate il partito e il governo» E Folena frena: ma la nostra non sarà una vera corrente Nell'era del «bipolarismo nominale» non bastano quarantaquattro partiti rappresentati nel Parlamento Le correnti usa e getta AROMA LL'ORA di pranzo, in nome e per conto della corrente liberal-nazionale di An, l'on Pagliuzzi ha espresso solidarietà alla corrente liberalradicale di Forza Italia, pure auspicando per l'avvenire «un sempre più stretto coordinamento» trasversale fra le due correnti, pardon «componenti». Con un po' di fantasia, visto che c'era, poteva estendere quella stessa solidarietà anche alle tre o quattro correnti, altrimenti dette «aree culturali», che seguitano ad agitarsi dentro il pds, pure all'insegna dell'incongruo e dell'inesplicabile. Perché se nel partito berlusconiano i centristi hanno raccolto firme (72) contro i liberal-radicali (Colletti e Taradash) che si sono più o meno organizzati in corrente, a Botteghe Oscure le firme (143) le hanno raccolte gli organizzatori del gruppone dalemiano (senza apostrofo, al momento). Ma poi devono aver capito che non era il caso, per cui ieri gli stessi onorevoli Folena e Zani hanno negato di aver fatto ciò che hanno fatto, cioè la corrente. Di «spazio aperto», semmai, si tratta, oltre che del bisogno di «alleviare la solitudine del segretario». Al quale segretario, d'altra parte, l'economista Biasco, uno degli aderenti alla nuova corrente, ha chiesto ieri di non avallare le correnti. Con il che senz'ai- tro contribuendo a proiettare il formicolante revival in una dimensione irreale, degna di questi tempi di confusione e intraprendenza. Così, dato che non bastavano 44 fra partiti e partitini, adesso ci si mettono di nuovo anche le correnti. Pura illusione nuovista si rivela quindi l'idea che dopo gli schianti di Tangentopoli se ne potesse fare a meno. Con qualche scetticismo, ora, si ascolta il pidiessino Minniti rifiutare perfino la parola: «Ma no, chiamiamole con, il loro vero nome: aree». Proprio il fatto che chi le crea, le correnti, non voglia nominarle, accresce in realtà lo sconcerto, e a suo modo conferma lo strano ritorno. Nulla di serio, però. Senza dover riandare alla dialettica eminentemente ideologica tra De Gasperi e i dossettiani, né al confronto Amendola-Ingrao, ma anche soltanto soffermandosi sul «manuale Cencelli», libro sacro del correntismo, oppure sui pranzetti per mille organizzati da Prandini, i torpedoni di «truppe mastellate», la carta intestata dei manciniani («Presenza socialista»), ecco, per quasi mezzo secolo le correnti sono state in Italia una cosa perlomeno inevitabile. Una volta Fanfani si sentì dire da Krusciov: «Anch'io ho i miei dorotei...». Al processo di Palermo, i giudici hanno chiesto a Giorgio Galli una perizia sulla storia a dir poco controversa degli andreottiani. La stessa architettura della sede socialista di via del Corso, prima di Craxi, risentiva dell'articolazione correntizia, con le cellette manciniane, demartiniane, lombardiane, giolittiane. Nel msi, a un certo punto, se ne contarono addirittura nove, di correnti, alcune con buffi nomi tipo «Andare oltre» (e gli avversari facevano «Vai! Vai!» con la mano) oppure «Destra in movimento» (e in questo caso era comico pensare a qualche anziano notabile che arrancava). A lungo, in Italia, sebbene più nel male che nel bene, le correnti hanno acceso la fantasia della gente. Di alcuni democristiani battezzati dorotei perché si riunivano in un certo convento di monache di Santa Dorotea, s'è detto. Ma come in un continuo cartone animato ci sono stati di volta in volta «i giovani Turchi» de e i «gnam gnam» tanassiani, il «clan degli avellinesi», la «banda del buco», la «corrente del Golfo» poi divenuta, su indicazione di Gava, figurarselo, «Impegno riformista». Nessuna nostalgia, dunque. E tuttavia occorre pur dire che rispetto a quell'epopea, queste di oggi, queste postcorrentine, queste frazioncelle da bipolarismo andato a male, non hanno letteratura, non hanno storia, non hanno futuro, non hanno idee, ma nemmeno sedi, nemmeno ristoranti, non hanno niente. Sembrano prove di emulazione mal riuscite, il che - secondo' i più impietosi canoni del trash - le porrebbe automaticamente nel sempre più capiente cestino della spazzatura politica. Giudizio certo brutale, e troppo definitivo. Però, diamine, oggi non sono mica tanti quelli che s'appassionano al conflitto tra «liberisti» e «sociali» dentro An, o tra «ulivisti» e «comunisti del No» nel pds. E poi - quesito porgli appassionati - si tratta di conflitti «veri», oppure di formicolìi all'ombra del leader, pura finzione, vana litigiosità destinata all'usa-e-getta? Inutili o dannose che siano, le post-correnti costituiscono in ogni caso uno dei misteri meno gloriosi di un ipotetico ritorno della Politica. Oppure, forse, non c'entrano più nulla con la politica. E ritornano, se mai se ne sono andate, come pura e perenne proiezione di un popolo condannato alla frammentazione. Siamo in tre, quindi facciamo una corrente, o per meglio dire una bella «componente». Filippo Ceccarelli A Botteghe Oscure si agitano i «dalemiani» Ma sono lontani i tempi storici della grande «balena bianca» Tra gli Azzurri i centristi hanno raccolto firme contro i liberal-radicali di Colletti e Taradash

Luoghi citati: Botteghe Oscure, Italia