«Più coraggio verso l'Euro» di Massimo Giannini

«Più coraggio verso l'Euro» INTERVISTA IL LEADER «Più coraggio verso l'Euro» La Malfa: deficit zero entro il Duemila CROMA HIUSO nell'ufficio al secondo piano di piazza dei Caprettari che fu già di suo padre Ugo, Giorgio La Malfa fa il punto sulla transizione italiana e sulle torsioni dell'Europa. Reduce da un recente colloquio con Lamfalussy, presidente dell'Ime, la futura banca centrale europea, ne ha tratto impressioni non proprio rassicuranti, rafforzate poi dalla caduta di lira e Btp di questi giorni. «L'Italia - dice - deve fare l'impossibile per entrare con i primi a Maastricht, per evitare una crisi politica incalcolabile e una lacerazione sociale dagli esiti imprevedibili. E' certo che non possiamo rimanere fuori, ma dubito che riusciremo a star dentro. H massimo die possiamo fare, forse, è premere implicitamente per un rinvio dell'Uem minacciando, con il rigore sui conti pubblici, di esserci fin dall'inizio». Sembra un gioco di parole... «E invece è la pura realtà. La Germania non vuole nell'Euro i Paesi del "Club Med". Kohl arriva alle elezioni più fiacco rispetto alla tornata elettorale precedente, non può ri- schiare di offrire ai suoi elettori un Euro più debole del marco. E agli occhi del popolo tedesco l'Euro è più o meno debole a seconda della presenza della lira». Possibile che questo Paese, con i sacrifici che ha fatto, non riesca a dare di sé un'immagine più rassicurante? «Raggiungere il 3% nel rapporto deficit/Pil quest'almo è irrinunciabile, ma per gli osservatori il nostro problema è il debito pubblico, pari al 24% di quello totale dell'Unione; è quella montagna da più di 2 milioni di miliardi che racchiude il nostro nefasto passato. Il problema dei nostri partner è quindi chi si fa carico di questa montagna, e chi garantisce che si riduca». Garantisce il governo italiano, che ha già varato manovre per 80 mila miliardi... «Per ora i mercati non ci credono, e questo spiega perché abbiano avuto effetti devastanti gli annunci sulla restituzione dell'Eurotassa o il decreto sull'occupazione». Ciampi insiste sulla ritrovata cultura della stabilità... «Ciampi ha una testa politica: quando parla di "cultura della stabilità" per noi dice una cosa astratta, ma per i tedeschi tocca un tasto importante. Il problema è che, al di là dell'enunciato, mancano i fatti concreti che lo realizzino. Per questo, quando il ministro del Tesoro insiste nel dire che la decisione su chi entra e chi no sarà presa in base alla situazione globale di ciascun Paese, dice una cosa vera ma paradossalmente pericolosa per noi». Perché pericolosa? «Perché se su di noi si dovesse dare un giudizio globale sarebbe più negativo di quello previsto dai parametri! Se, oltre al deficit, portassimo alla valutazione dell'Europa tutto il resto, cioè pubblica amministrazione, banche di Stato e inefficienti, privatizzazioni non fatte, avremmo molte più probabilità di essere esclusi che accettati!». E come usciamo dall'impasse? «L'Italia aveva una possibilità: giocare in anticipo e presentare un piano di stabilità più ambizioso di francesi e tedeschi, che puntasse al deficit 0 nel 2000. Ma si doveva fare appena insediato il governo. Lo dissi a Prodi, nel maggio '96: fai subito un accordo politico con Bertinotti, in cui indichi le cifre del percorso di risanamento che il governo farà per entrare in Europa nel '99, e tratta subito con lui le contropartite». Ma Prodi non l'ascoltò... «Mi ascoltò, ma non mi diede retta: l'Ulivo ha colpevolmente sottovalutato la questione Europa. Nella prima riunione, a giugno '95, scrissi un documento su Maastricht, ma gli ulivisti non ne tennero conto. Non a caso Prodi, nel discorso sulla fiducia al Senato, confermò le tappe del risanamento del governo Dini, in base alle quali avremmo deliberatamente mancato il criterio sul deficit nel '97. Poi vennero le critiche di Monti e mie, alle quali il premier rispose che non voleva portare a Maastricht un "Paese morto", e la richiesta di rivedere il Trattato formulata da Veltroni in agosto». E li abbiamo rischiato... «Sì, ma la vera svolta arrivò a settembre, col viaggio di Prodi in Spagna che fece crollare l'illusione di un asse tra i Paesi latini. Da quel momento è stato il governo, non Bertùiotti, a cambiare strategia. E si arriva all'anomalia di oggi...». E come si risolverà, secondo lei, questa anomalia? «Io all'ipotesi di una crisi veloce per far fuori l'alleato scomodo Bertinotti e per fare un Prodi-bis col sostegno del Polo non ci credo. E' più probabile che, come ha detto Maccanico, si continui a navigare così, sapendo però due cose. La prima è che si logorano tutti, compreso Bertinotti. La seconda è che non si arriverà molto lontano: per riusare una metafora di Maccanico, il governo continuerà ad affrontare Capo Hom col mare mosso. E da quelle parti, mi risulta che di navi alla fine ne affondino parecchie». Massimo Giannini Giorgio La Malfa

Luoghi citati: Europa, Germania, Italia, Spagna