«Toccare le liquidazioni sarebbe un grave errore»

LA SPESA SOCIALE «Toccare le liquidazioni sarebbe un grave errore» L'ECONOMISTA SPAVENTA L/7 ROMA m USCITA di Waigel? Mettiamoci l'anima in pace, assisteremo a questa giostra per tutto il 1997, con i "falchi" tedeschi che bocciano questo o quel Paese, e il Cancelliere Kohl che poi ricuce, con qualche pacca sulle spalle. Può non piacere, ma noi siamo ormai costretti a stare al gioco. Certo, poteva essere un gioco diverso, se avessimo concordato a giugno un ingresso posticipato nell'Unione monetaria. Oggi è troppo tardi». Nel viavai di studenti che vanno a «rapporto» da lui al Dipartimento di economia dell'Università di Roma per la tesi di laurea, il più «tedesco» degli economisti italiani, Luigi Spaventa, rilancia la sua, di tesi politico-economica. In questo complicatissimo Risiko europeo siamo finiti in un vicolo cieco. Come ne usciremo non si sa, ma intanto dobbiamo risanare i conti, stando ben attenti al «come» oltre che al «quando»: e qui, magari a malincuore visto che è stato ministro del Bilancio del governo Ciampi e candidato del pds alle elezioni del '94, Spaventa dà ragione a Fossa e a Romiti e boccia l'ipotesi di intervento sul Trattamento di fine rapporto, cui punta il governo di centro-sinistra. Professor Spaventa, dobbiamo abituarci a questa giostra, ma dopo le dichiarazioni di Waigel l'ipotesi di un rinvio di Maastricht diventa oggettivamente possibile. «Diciamo che diventa più realistica. Guardi, in giro per il mondo e sui mercati ormai si dice che le probabilità che l'Unione monetaria parta effettivamente dal primo gennaio 1999 sono al 50%». Quindi in netto calo... «Direi di sì. E il paradosso è che il calo è strettamente connesso ai comportamenti dell'Italia: quanto più ci avviciniamo ai criteri del Trattato, tanto più si fa concreta l'ipotesi del rinvio. Tanto più ci diamo da fare per abbattere il deficit entro il 3% del Pil nel '97, tanto più la Gennania, che per ragioni di equilibri sociali e politici interni non ci vuole nel "nucleo duro" di Maastricht, tende ad allontanarsi dal parametro e allo slittamento generalizzato». Paradosso difficile da far capire all'opinione pubblica. «Già. E ne discende, oggi come oggi, che i veri "euroscettici" di casa nostra dovrebbero essere i primi ad auspicare una manovra aggiuntiva più robusta, perché proprio questa potrebbe portare per assurdo al fallimento di Maastricht. Le cose sarebbero andate diversamente se già prima dell'estate ci fossimo accordati con i nostri partner per entrare in una seconda fase nell'Uem. Invece il governo non l'ha fatto, e da settembre in poi ha deciso di giocare tutto il suo destino politico sull'Europa». E oggi? «Oggi Germania e Francia sarebbero ancora prontissime ad accordarci un ingresso posticipato, ma per coerenza il governo non può tornare indietro. Il ministro del Tesoro Ciampi ripete che "se non entriamo con i primi non entriamo più", e io lo capisco: ci sono ragioni nobili per accelerare verso l'Uem». Pur sapendo che se rispettiamo i criteri si ritirano gli altri, se non li rispettiamo ci ritiria¬ mo noi da soli... «Esatto. Ma lavorare per rispettarli servirà almeno a farci sentire a posto con la coscienza: ce l'avremmo fatta, ma per volontà comune di tutti si è preferito il rinvio. E' un'altra cosa, sul piano politico e morale, rispetto all'ipotesi di aver fallito noi soli l'obiettivo». Resta il fatto che per raggiungerlo dobbiamo fare una manovra sulla quale rischia di naufragare il governo. «La manovra va fatta e subito, questo è sicuro. L'ordine di grandezza ormai riconosciuto è di 15 mila miliardi, anche se sento ancora ambiziosi e valorosi colleghi che invocano misure per 25 mila miliardi: li inviterei correttamente ad indicare come e dove reperirli. Perché guardi, sui tagli alla spesa siamo veramente di fronte a una parete del sesto grado». Per questo è più agevole aggredire il Tfr delle imprese, che varrebbe 6 mila miliardi. «Ecco, pur considerati tutti i limiti entro i quali il governo è costretto a muoversi, questa è una mossa che io giudico negativamente per tre diverse ragioni. La prima: temo che Bruxelles non ce la accetterebbe. Il paragone con quello che ha fatto Juppé su France Telecom è improprio: nel nostro caso si tratterebbe di denaro prelevato dal settore privato, di un'altra una tantum, con in più un meccanismo di rimborso degli interessi che le imprese dovrebbero pagare. La seconda ragione riguarda proprio le imprese». Per la riduzione del margine di autofinanziamento... «Non solo: proprio la formula del rimborso degli interessi è iniqua, perché a seconda dei debiti che hanno non tutte le imprese pagherebbero lo stesso tasso: potrebbero persino esserci imprese che non trovano proprio il credito, perché hanno già un alto livello di sofferenze. Infine, il prelievo interferirebbe con il regime dell'Irep». E la terza ragione? «Riguarda i lavoratori: se permette, io starei più tranquillo se dovessi riscuotere quel denaro dalla mia azienda, che non da un nuovo "ente preposto"». D'accordo, ma se si accontentasse la Confindustria rinunciando al Tfr dove si troverebbero 15 mila miliardi? «Secondo me l'unica alternativa possibile potrebbe essere una rimodulazione delle aliquote dell'Iva, visto che in ogni caso di qui al '98 dovremo armonizzarle all'Eu- rapa, riducendole a 2. Tanto varrebbe anticipare l'operazione al '97». Ma così potrebbe riesplodere l'inflazione, no? «Si dovrebbe trovare il giusto mix. Non è detto che serva una rimodulazione radicale delle aliquote Iva per 10 mila miliardi. Si potrebbe per esempio prevedere un aumento sostanzioso del gettito, ma utilizzandone una buona metà per abbattere i contributi sanitari che dall'anno prossimo saranno comunque sostituiti dall'Irep». Rimane il nodo della spesa sociale, da recidere. «Certo, ma con un'avvertenza: al di là del contributo di solidarietà, che comunque frutterebbe non più di 2 mila miliardi, pensare a grossi risparmi sulla previdenza già da quest'anno, anticipando la verifica sulla riforma Dini, è una pia illusione. Ciò detto, su questo punto il governo un inspiegabile errore lo ha commesso». Quale? «Constato con sorpresa e rammarico che l'ottimo lavoro della Commissione Onofri sul Welfare, voluto a tutti i costi entro il 28 febbraio, è oggi "figlio di nessuno". E questo è inaccettabile: pur non traducendo in norme quelle proposte, il governo avrebbe potuto dire subito "intendo riformare le pensioni come suggerisce la Commissione", oppure con le "seguenti modifiche". Questo avrebbe avuto un ef¬ fetto benefico sui mercati, benché, forse, anche un "costo" politico». Appunto, con i vincoli che Bertinotti continua a porre... «Ma se guardiamo al risultato della somma algebrica dei vincoli che hanno agito sul governo finora non rimane granché: i tagli alla spesa sociale non li vogliono Rifondazione e il sindacato, i prelievi sul Tfr non li vogliono gli industriali, nuove tasse non ne vuole nessuno né a destra né a sinistra. Se ci si fa bloccare dai vincoli non si fa molta strada, sa?». Non è il «vizio d'origine» di questa maggioranza, che sopravvive col sostegno del «nemico» Bertinotti? «Sì, benché Bertinotti appaia il più lineare di tutti, con il suo reiterato "non facciamo niente". Detto questo, farebbe bene a spiegare perché, se oggi plaude al rinvio di Maastricht, ha detto sì ad una Finanziaria da 62.500 miliardi varata proprio per arrivarci in tempo, a Maastricht». Ma intanto può fregiarsi di aver propiziato il decreto sui 100.000 posti di lavoro al Sud. «Non me ne vanterei più di tanto: sono appunto solo "posti" promessi, non si sa quando verranno né chi li potrà garantire. La verità è che fin quando la crescita staziona intorno all'I % all'anno c'è poco da illudersi, l'occupazione non riparte. Poi, certo, è giusto tentare di sbloccare i fondi non spesi, ma è ima vecchia musica che ho già sentito nei tanti vertici del passato ai quali ho partecipato anch'io, per lo più inutilmente». Il rischio è proprio questo: che il governo si logori in un'azione, se non inutile, poco efficace rispetto agli obiettivi. Ciò può avere due effetti: il primo è che Bankitalia rialzi i tassi, il secondo è che Ciampi getti la spugna. Lei che ne pensa? «L'ipotesi di un aumento dei tassi è improponibile, anzi mi stupisce che continuino a restare così alti, ciò che per altro ha contribuito alla caduta dei Btp iniziata nelle scorse settimane: molti operatori indebitati in lire sul breve termine hanno infatti cominciato a scaricare titoli italiani proprio perché il calo dei tassi ha tardato t-oppo». E di Ciampi cosa dice? «Se lui se ne andasse, dire che i tassi salirebbero cL oltre un punto sarebbe dir poco. Ma io lo conosco, è un uomo troppo responsabile per farlo». Massimo Giannini «L'Ue può slittare ma la manovra-bis è indispensabile» «1100 mila posti? Sono solo promessi Chissà se arrivano...» «Se Azeglio lascia i tassi risalgono Ma lui non lo farà» «Anche l'Italia ha sbagliato ma ora non può tornare indietro» LA SPESA SOCIALE (dati in percentuale) DANIMARCA LUSSEMBURGO PORTOGALLO FRANCIA 9,2 11,4 2,8 Sanità Pensioni Sussidi In rapporto al prodotto interno lordo 2,3 azioni e errore» «Anche l'Italia ha sbagliato ma ora non può tornare indietro» LA SPESA SOCIALE