L'ex premier Nano il dopo Berisha sono io

Era in carcere per una storia di tangenti ma lui giura che è innocente, che è stato un complotto Ma l'uomo forte del partito socialista di Ramiz Alia non piacerebbe a italiani e americani L'ex premier Nano: il dopo Berisha sono io Dalla prigione al podio si candida alla guida del Paese TIRANA DAL NOSTRO INVIATO La voce è gioviale, lo sguardo anche. Niente rancore, non becero, in ogni modo, e se ha deciso di presentare il conto, lo farà più avanti. Dice: «Se mi chiedete che cosa penso delle dimissioni di Sali Berisha, beh!, devo dire che non le considero la cosa più importante. Certo, preterirei stringergli la mano come semplice cittadino che come presidente dell'Albania». Patos Nano ha 44 anni, originario di Argirocastro, il volto rotondo incorniciato dalla barba grigia, e la voce calda. E' uscito dal carcere l'altro giorno, graziato dall'irriducibile avversario, di certo sotto la pressione della gente. E ora lui si gode il ritorno fra i suoi, un ritorno degno di un Cesare. Si accontenta, per ora, di ciò che i socialisti gli offrono: un molo da protagonista. Perche loro lo sanno che soltanto lui è in grado di reggere il confronto con l'affascinante cardiologo del quale, ormai, i più chiedono la testa. E' il capo del partito, lo è sempre stato, anche quando presidente era Ramiz Alia e lui fu primo ministro, ma anche negli anni trascorsi in carcere, dov'era finito nel 1993, per un'accusa di maneggi a favore di una ditta italiana durante l'operazione Pellicano, quella che portò qui aiuti d'ogni tipo. Un'accusa falsa, hanno sempre protestato i socialisti, e che poggiava sulla testimonianza di Adim Ciarciani, che era stato uno della nomcnklatura ai tempi di Enver Hoxha. E ora, per vedere da vicino il capo, sono accorsi a centinaia davanti al numero 1 di Sheshi Austria, che scivola fra la Banca d'Albania e i lisi palazzi del potere, affollata di solito dai cambisti. La sede del partito socialista è una costruzione Anni Cinquanta in cemento e vetro, incapace di nascondere l'età. La gente si aggrappa alla bassa inferriata del muro di cinta, sale fino al primo piano, non bastano quelli del servizio d'ordine a tenerla lontana. Applaude, piange, e anche quando con le auto blu arriva Bashkim Fino, fresco leader, i cuori continuano a battere tutti per Nano. Anche quelli dei vecchi, irriducibili comunisti, quelli che guardano con espressione perplessa il simbolo del partito: un pugno che stringe due garofani, il primo fresco e vigoroso, l'altro un po' appassito. A Bettino Craxi, negli anni del suo splendore, chiamiamolo così, dettero la tessera numero 2. Fatos Nano arriva in quella che fu la sala delle riunioni del partito del lavoro, al primo piano, scortato da due guardie del corpo, le stesse che proteggevano Arben Gelosi quando accettò di sostenere l'accusa contro di lui, e solo per questo diventò procuratore generale di Tirana: ma i tempi cambiano e Qelesi non è più potente e, dimenticato da tutti, svolge il suo lavoro di magistrato in un tribunale periferico. Piace, il capo, anche per quel suo passato da ribelle negli anni in cui uscire dal coro significava uscir di circolazione. Lui cantava i motivi dei Beatles, quando era proibito tutto, e si accompagnava con la chitarra, al secondo avvertimento finì in un complesso ad ELbasan. Siderurgico, non musicale. Non era allineato alle posizioni del vecchio dittatore, ecco, veniva considerato un economista liberale. Ha insegnato all'uni¬ versità di Tirana e lavorato all'Istituto di studi marx-leninisti. Parla quattro lingue. Ora, sull'incidente di percorso che l'ha portato in galera, dice di voler «fare chiarezza, rifare il processo anche con la presenza di avvocati internazionali». Ma ai suoi, che lo abbiano messo in prigione accusandolo di traffici poco limpidi, non interessa proprio, i suoi lo guardano e cercano di toccarlo, molti con le lacrime agli occhi, come quel vecchio attore di teatro con i capelli e la barba bianchi, o quel giovanotto col «Chiodo» nero che si dispera perché non ce l'ha fatta a stringergli la mano. «Piuttosto che mandare i militari, gli europei mandino qui dei tecnici perché di questo, c'è bisogno, di tecnici e non di soldati. La gente così come da sola si è potu- ta armare, così da sola si disarmerà. Se però sarà necessaria una forza internazionale, se servirà davvero per la pace, allora sarà la benvenuta». Nano parla di «riunificazione della nostra famiglia politica per il bene del Paese, e noi siamo insieme. Del resto, io sono un uomo del Sud, ma i migliori amici li ho fra quelli del Nord». Parla di aiuti dalia comunità internazionale e dall'Europa, parla dell'importanza dei messaggi religiosi, soprattutto di quello del Papa. E poi, una frase, forse per tranquillizzare: «Faremo l'impossibile perché non partano più profughi e perché tornino quelli già partiti per partecipare alla vita democratica, alla ricostruzione». E non parla mai degli Stati Uniti. «Ma il mio inglese ha l'accento di New York, e io sono un uomo degli Stati Uniti...», ride, quando gliene chiedo ragione. E, invece, lo sa di non essere considerato un amico dagli americani, e pure gli italiani, in passato, han dato l'impressione di aver puntato su un altro cavallo, su Ilir Meta, che ha 28 anni ed è il capo della gioventù socialista. Ma nell'agosto 1996 Meta fu messo fuori corso dal congresso del partito e ora avrebbe tentato un approccio con il nuovo presidente della repubblica in pectore. Perché lei, Nano, si presenterà candidato, vero? «Questo è compito del mio partito, io non sono libero. Certo, se me lo chiede il popolo, lo faccio». Vincenzo Tessandori Era in carcere per una storia di tangenti ma lui giura che è innocente, che è stato un complotto «Faremo l'impossibile perché non partano più profughi. Ora qui servono tecnici e non militari» L'ex premier socialista Fatos Nano applaudito al suo rientro a Tirana nel quartier generale del partito