«Bussoleno, la terra promessa»

«Bussoleno, la terra promessa» «Bussoleno, la terra promessa» A Porta Nuova sono arrivati iprimi albanesi IN FUGA DALLA GUERRA ICOLAS era arrivato in Italia con la maxi ondata di profughi del '91. Aveva trovato lavoro a Mappano, vicino a Torino: un milione e 200 mila lire al mese per lavorare come operaio. In cinque anni ha spedito in Albania quasi quaranta milioni, tutti investiti con «Vefa», la più nota delle finanziarie fantasma albanesi, quelle che concedevano interessi fino al 40 per cento. Nove mesi fa ha salutato l'Italia ed è tornato in Albania. Ha convinto il suo datore di lavoro a seguirlo laggiù, a Kavaja, per impiantare una piccola azienda. Poi sono scoppiati i primi disordini e lui è saltato di nuovo su una «nave deij la speranza» ed è tornato qui, a Bussoleno, in Val Susa. «Sono rovinato - racconta - , non ho più assolutamente nulla. Appena tornato a Kavaja avevo fatto fare un calcolo degli intessi maturati: avrei potuto intascare novanta milioni. Invece...». Invece ha perso tutto. Eri è tornato in Italia per cercare di sopravvivere alla guerra, in mezzo a decine di altri connazionali anche loro rovinati dal miraggio di guadagni veloci. Nicolas e anche il primo dei profughi albanesi sbarcati a Brindisi che arriva a Bussoleno. O «Bissoiino, Val di Susa» come dicono decine e decine di uomini e donne che ogni giorno con il permesso della questura in mano si infilano nei treni diretti al Nord. Qui vive una delle comunità più nutrite della provincia. In passato ci sono state tensioni con i nuovi immigrati. «Ma adesso tutto si è tranquillizzato; i problemi di qualche mese fa sembrano superati» dice don Pierluigi Cordola, parroco di Bussoleno che segue costantemente l'evolversi della situazione in Albania. «Non so se ne arriveranno altri - dice prima di iniziare la messa -. Se succede, ci occuperemo anche di loro». 1 primi profughi dei Paesi balcanici sono arrivati ieri alla stazione di Torino Porta Nuova. Krano poche decine, si sono subito confusi con i gruppi di connazio¬ nali che abitualmente sostano davanti alla stazione. Alla Polfer di Bussoleno, invece, spiegano che negli ultimi giorni, alla spicciolata, ne sono arrivati parecchi: «Gente nuova che adesso è probabilmente da amici e parenti che vivono in paese ormai da anni». Ma gli albanesi di Bussoleno negano. Dicono di aver parlato con amici a Kavaja, il loro paese d'origine. «Per il momento non arriverà proprio nessuno - assicurano -. Perché qui non c'è l'America». Ferdinand Loja ha 28 anni ed è sposato con una ragazza italiana. Pochi giorni fa ha sentito la famiglia. Dice: «Stanno chiusi in ca¬ sa. I miei non fuggiranno perché, se lo facessero perderebbero anche quel poco che hanno. Compresa la casa». Lui, forse, è l'unico della comunità che non ha investito risparmi nelle finanziarie. Gli altri suoi connazionali lo hanno fatto tutti, perdendo chi 10, chi 15 chi addirittura 40 milioni. Come ha fatto Nicolas, che dice di aver salvato dal tracollo solo il suo datore di lavoro: «Hanno cominciato a sparare pochi giorni prima che comperassimo le attrezzature per lavorare. Almeno non ci ha rimesso tanto». Adesso, però, si aspetta l'arrivo dei profughi in partenza da Brin¬ disi, quelli che conoscono solo il nome di Bussoleno. E lo immaginano come la loro unica ancora di salvezza. Il sindaco, Alida Benetto, dice chiaramente che il Comune non ha a disposizione strutture per ospitare altra gente: «Siamo addirittura costretti ad affittare dalla parrocchia i locali per la direzione delle elementari». La fama di Bussoleno tra i profughi d'Albania la stupisce. «Forse ci hanno conosciuti grazie al nostro arciprete - dice - che una volta era il presidente della Caritas diocesana: per anni, con gruppi di volontari, è andato laggiù a fare campi di lavoro». [1. poi.] Un gruppo di albanesi a Bussoleno, dove sono arrivati g'à fin dal '91: di bocca in bocca, tra amici e parenti, il centro della Val Susa è diventato famoso a Tirana

Persone citate: Alida Benetto, Brin, Ferdinand Loja, Pierluigi Cordola, Polfer