Ernesto Calindri arguto affarista di Osvaldo Guerrieri

Ernesto Calindri arguto affarista Successo all'Alfieri di Torino del «Mercadet» adattato da Lunari, da domani a Milano Ernesto Calindri arguto affarista Ottima prova d'attore nella commedia di Balzac TORINO. Non potremmo immaginare un Ernesto Calindri più scattante e arguto di quello che abbiamo ammirato all'Alfieri, dove l'attore è stato protagonista di «Mercadet l'affarista», commedia di Honoré de Balzac tradotta e adattata da Luigi Lunari (da domani in scena al Manzoni di Milano). L'immenso ciclo narrativo della «Commedia umana» non sembra avere molti rapporti col «Mercadet». La minuziosità analitica dei romanzi è del tutto assente nei tre atti di questa commedia, dove prevalgono, piuttosto, il gusto dell'intreccio e una leggerezza comica molto vicina all'«esprit» di Molière. Mercadet è una simpatica canaglia. Vive imbrogliando la gente. Da quando è stato abbandonato dal socio Godeau, fuggito letteralmente con la cassa, si è ingegnato per conservare il decoro dei bei tempi. In sostanza ha raccolto il denaro altrui e lo ha investito in Borsa, in imprese strampalate che gli fruttano un continuo assedio di creditori. La rovina, ormai imminente, potrebbe essere evitata con un bel matrimonio: Giulia, figlia di Mercadet, che fra le possibili virtù non ha quella della bellezza, potrebbe sposare il ricco De La Brive, ma questi è a sua volta uno spiantato che spera di mettere le mani su una ricca dote. Il baratro sembra inevitabile. Quando arriva l'ufficiale giudiziario per pi¬ gnorare i mobili di Mercadet, si sparge la voce dell'arrivo di Godeau. L'ex socio è davvero tornato come aveva promesso e, quel che più conta, è tornato ricchissimo. Mercadet rivive. Giulia può sposare tranquillamente lo spiantato Minard, che in realtà è 0 figlio di Godeau. La vita continua, gli affari continuano. La commedia, che vive di una meravigliosa fluidità, è alimentata soprattutto dall'eloquenza di Mercadet. Quest'uomo è un vero demonio nell'abbindolare il prossimo, nel metterlo a tacere con patacche finanziarie, nel costruire castelli di ricchezza fondati sui debiti e sulla truffa. Ha gioco facile Lunari nello stabilire relazioni strettissime tra l'Ottocento di Mercadet e la realtà dei nostri innumerevoli faccendieri. Gioca col testo di Balzac da autore, si gingilla col nome Godeau, che naturalmente ha lo stesso suono del Godot beckettiano, e fa dire in scena «Godeau, Godeau, qui si aspetta sempre Godeau», oppure «finalmente è arrivato Godeau». In chiusura, poi, mette in mano a Mercadet un telefono cellulare e lo fa parlare con la Borsa di Tokyo, precipitandolo in un nirvana dolcissimo di compravendita. Ma poi, come per sottolineare ulteriormente l'eternità degli affaristi, il regista Antonio Moretti aggiunge un balletto para-brechtiano: l'intera compagnia vestita con abito grigio a righe e con cappello in testa, danza su uno sfondo di grattacieli. Ecco come il troppo sa essere nemico del necessario. Ma, finale a parte, lo spettacolo è una delizia. Calindri recita con una leggerezza che suscita ammirazione; penetra nei labirinti verbali di Mercadet come una farfalla in una serra. Applaudirlo è molto più di un omaggio. Bravissima Liliana Feldman nell'apparente svaporatezza della signora Mercadet. Miriam Mesturino dà colore crepuscolare al personaggio di Giulia. Luca Sandri fa benissimo, come De La Brive, il doppio giovanile di Mercadet. Osvaldo Guerrieri

Luoghi citati: Milano, Tokyo, Torino