«Mi minacciavano: ti violenteremo»

«Mi hanno trattato peggio di una bestia perché confessassi. Loro avevano già deciso che ero colpevole» «Mi hanno trattato peggio di una bestia perché confessassi. Loro avevano già deciso che ero colpevole» «Mi minacciavano; ti violenteremo» Caserta, il mostro per un giorno accusa la polizia CASERTA. Per 24 ore è finito all'inferno, coperto di infamia, trasformato in un mostro che violenta e ammazza ragazzini. E adesso che da quell'inferno è uscito, ha i vestiti puliti, un velo di gel nei capelli tirati all'indietro e gli occhi di chi, da innocente, ha vissuto per un giorno una terribile colpa. Ma nella voce che a tratti si spezza, lo smarrimento diventa via via rabbia: «Mi hanno trattato peggio di una bestia, mi hanno coperto di insulti, volevano che confessassi e io non avevo niente da confessare. Elemosinavo un po' di fiducia, ma loro avevano già deciso che ero colpevole». Adesso ad accusare è lui, Angelo Scellini, 24 anni, ragioniere, sospettato dagli inquirenti di aver abusato di Francesco, lo studente morto per una crisi d'asma e non per le sevizie, come ieri ha rivelato l'autopsia. Ce l'ha con la polizia e con i magistrati che l'hanno sbattuto in cella per uno stupro in realtà mai avvenuto. Seduto al tavolo della cucina, in un villino senza pretese al centro di Lusciano, circondato da familiari e amici, racconta la sua esperienza di cittadino finito per errore nella macchina gudiziaria che quasi l'ha stritolato. Ci racconti che cosa è accaduto. «E' successo che venerdì notte mi hanno portato al commissariato. All'inizio non avevo paura. Pensavo: adesso spiego tutto e loro mi lasciano andare. Ma dopo dieci minuti ho capito che m'avevano già condannato. Mi hanno coperto di maleparole, hanno detto che mi avrebbero fatto quello che Francesco aveva subito da me. Ora ti portiamo in galera, urlavano, così là dentro vedi che cosa ti fanno. Qualcuno ha minacciato di tirarmi addosso una lampada». Non ha provato a spiegare dov'era, al momento in cui sarebbe avvenuta la violenza? «Ho detto ai poliziotti che sono stato per mezz'ora in bagno. Ho ripetuto che Francesco, venuto a l'are lezione di matematica da mio fratello Giuseppe, io non l'ho proprio visto. E loro: sì, in bagno ci sei andato, ma con il ragazzo, e là gli hai fatto quelle cose. Ogni tanto nella stanza entrava il magistrato e poi usciva di nuovo. Gli ispettori continuavano: tu non sei un uomo, tu non sei bravo con le femmine, gridavano, perciò ti fai i ragazzini. Perché non sei andato con una puttana invece di ammazzare Franco?». Quando ha capito che la situazione stava precipitando, e che davvero l'avrebbero portata in carcere? «Ad un certo punto mi hanno fatto credere che Giuseppe mi aveva accusato, mi hanno mostrato un foglio. Ho pensato che ero perso. Ma mio fratello, ovviamente, non mi aveva mai accusato. Per non parlare di quel che è capitato a lui, a Giuseppe, quando lo hanno interrogato». Che cosa le ha raccontato Giuseppe? «Mi hanno detto che gli hanno appoggiato una pistola sulla nuca e hanno minacciato di colpirlo alla testa con il calcio dell'arma se non parlava. Insomma, per loro, o io o mio fratello eravamo colpevoli. Hanno scelto me. Ma prima hanno trattato male pure mia madre. Alle 6 di sabato matti¬ na sono andati a prenderla, hanno buttato giù la porta. Lei è una donna debole, una semplice casalinga. L'hanno insultata per l'educazione che ha dato ai figli, le hanno detto che per la vergogna avrebbe dovuto lasciare il paese». Di tutto questo, che cosa le ha fatto più male? «Quando mi hanno portato in carcere, mi hanno ammanettato come un criminale. Mentre uscivamo dal commissariato, un poliziotto ha avvertito gli altri che fuori c'erano le telecamere. Io mi sono messo a piangere, li ho implorati di coprirmi la faccia con il giubbotto. Ma loro mi hanno risposto che dovevano vedermi tutti. E in macchina, l'autista mi ha detto che mi avrebbe fatto la stessa cosa che avevo fatto a Francesco. E tutti mi dicevano che se loro fossero stati al posto del padre del ragazzo, mi avrebbero ammazzato». Nel carcere di Santa Maria Capua Vetere come l'hanno trattata? «Una guardia ha preso la foto della mia fidanzata e mi ha detto: che devi fare con quella? Tu vai con i ragazzini. Poi mi hanno messo in una cella da solo». Quando ha saputo di essere libero, di poter tornare a casa? «Verso le 11 di sabato sera. Mi hanno detto che potevo prendere la mia roba e andarmene, che l'autopsia su Francesco aveva escluso la violenza, me l'hanno detto i miei fratelli all'uscita. Una cosa ancora voglio dire. Nessuno mi ha spiegato perché è successo tutto questo e soprattutto nessuno, ne la polizia né i giudici, mi ha chiesto scusa». Mariella Cirillo «Gli ispettori gridavano: non sei un uomo, perciò ti fai i ragazzini» Di spalle Angelo Scellini, 24 anni, accusato di essere il mostro I genitori di Francesco Abate durante la cerimonia funebre del figlio

Persone citate: Angelo Scellini, Francesco Abate, Mariella Cirillo

Luoghi citati: Caserta, Lusciano, Santa Maria Capua Vetere