Un Paese commosso come ai tempi di Sadat di Fiamma Nirenstein

Un Paese commosso come ai tempi di Sadat Un Paese commosso come ai tempi di Sadat TRA ODIO E SPERANZA SGERUSALEMME ERATA di pioggia e freddo a Gerusalemme. 11 Re lascia le luci della capitale d'Israele dopo un giorno lunghissimo pieno di lacrime e anche, però, di amore. Risultati concreti ancora non ce ne sono, ma certo l'aria è più quieta e può darsi persino da quel che si capisce dalle mezze parole di Netanyahu e di Hussein che anche sul quartiere di Har Homa ci sarà un rallentamento, un temporeggiare nell'inizio delle costruzioni che consenta ai due contendenti, palestinese e israeliano, lanciati l'uno contro l'altro nella battaglia di Gerusalenune, di frenare. Certo la visita del Re giordano è un evento nei tempi, nei modi, che non potrà mancare di far grande effetto anche su Arafat, come sembra averlo fatto su Netanyahu. che alla fine della giornata tutta passata vicino al Re appare raddolcito, quasi cambiato. «Ho capito che senza parlare, senza confrontarsi su una base regolare, arabi ed israeliani non giungeranno mai alla pace», ha detto il primo ministro israeliano. «Faremo tante cose, abbiamo tanti progetti in comune» hanno detto re Hussein e Bibi. E' merito di Hussein se questo accade. Anche se purtroppo l'incontro che potrebbe perlomeno cambiare lo stile dell'intero processo di pace ha le sue radici nel sangue di sette bambine israeliane. Questa visita, che poteva essere un disastro diplomatico, è stata una gran prova di coraggio e anche di ambizione del sovrano hascemita. Non si esaurisce mai la sua fantasia che dimostra davvero che il suo cuore e il suo cervello sanno inventare ben di più di un brain storni delle più famose teste d'uovo della politica. E' una bomba, un'autentica rimessa in moto del processo di pace, di quello comunque vero, che matura solo nella coscienza della gente, quello che ieri il Re giordano ha saputo fare: ùiginocchiarsi sul tappeto di fronte alle madri e ai padri, ai nonni e ai fratelli disperati delle bambine israeliane assassinate giovedì scorso da un soldato giordano sull'Isola della Pace, abbracciare i genitori seduti per terra nel lutto ebraico della Shiva, i sette giorni in cui gli ebrei stanno chiusi a casa piangendo e ricevendo i loro cari senza dedicarsi a nient'altro che all'elaborazione del lutto. Il mondo arabo, i giordani tutti, ma anche i sauditi, certo gli egiziani, certo i magluebini, e forse anche i siriani, hanno visto un grande re musulmano, con la kefia rossa degli hascemiti, e senza altri ornamenti, quindi in visita da uomo a uomo, da famiglia a famiglia, riempirsi di commozione e parlare con dolcezza, mani nelle mani agli ebrei, agli israeliani nemici di una vita intera. Hussein sempre parlando sottovoce, in un'intimità corporea del tutto nuova con lo stesso Bibi Netanyahu, che gli faceva semplicemente da traduttore, ha chiesto perdono, ha ripetuto la sua «vergogna» (ha detto proprio così) e ha ripetuto a ciascuno dei genitori che la loro bambina ebrea morta era per lui come la sua propria bambina. Lo accompagnava la giovane figlia, vestita da soldatessa. «Il mio unico desiderio è dare ai bambini di tutta l'area quella pace che io non ho mai avuto», ha detto con parole politicamente geniali. Sette scale ha salito, a sette porte ha bussato, sette famiglie ha abbracciato, come in una favola araba antica. Il suo mondo è stato sommerso dagli interni delle case ebraiche, per lo più case tradizionali, perché Beith Shemesh, il luogo di provenienza delle bambine, è un moshav, una specie di kibbutz, in prevalenza abitato da ebrei piuttosto poveri, di origine africana, o immigrati russi. I vecchi hanno lunghe barbe, le nonne portano i fazzoletti in testa come le nostre contadine, i poveri genitori tra le lacrime abbracciano tutti gli altri loro bambini, che li baciano. Pochi mobili e molto semplici, vecchi tappeti orientali in ter¬ ra, e sulla porta il pane e il sale dell'ospitalità che il capo famiglia ha offerto al re. E il re è venuto con il volto non di un politico, ma di un re antico, uno che dei suoi sottoposti non tiene conto più di tanto, ma che all'amore, al respiro caldo della gente ci tiene davvero. All'inizio, quando il re aveva annunciato la sua visita, alcune delle famiglie delle bambine assassinate avevano reagito con un diniego; quando però è stato detto loro che avrebbero potuto dire al re tutto ciò che volevano, allora hanno accettato. E infine, di fronte all'umiltà di Hussein, 0 re inginocchiato, la rabbia contenuta nelle domande che avrebbero avuto nel cuore si è trasformata in un coro di pace: «Speriamo che questa sofferenza serva a qualcosa». Ed è proprio per questo, oltre che per un autentico desiderio di fare ammenda, che il re giordano è venuto in Israele. E' uno dei molti gesti che fin da anni lontani fanno della Giordania un partner di pace diverso da tutti gli altri: quello che negli Anni Ottanta incontrava segretamente Peres a Londra, che prima ancora aveva cercato di avvertire Golda Meir deU'irnminente pericolo di guerra, quello che aveva stretto con Rabin un'amicizia forte e strana, che lo portò a sorvolare Gerusalemme dialogando per radio con il primo ministro israeliano quando ancora non aveva stretto la pace che poi lo portò due anni dopo alla Arava a firmare la pace alla presenza di Clinton; e che infine lo ha ispirato quando pronunciò il più vero e più forte fra tutti i discorsi dei leader del mondo al funerale di Rabin. E' Hussein che ha condotto a buon fine la crisi di Hebron venendo di persona a Tel Aviv ed è Hussein che adesso ha tentato con la sua visita di spezzare la terribile tensione che sta portando i palestinesi e gli israeliani in rotta di colbsione sulla terribile, santissima e dannata questione-Gerusalemme. La sua indubitabile passione di pace appare forse agli occhi degli israeliani commevente e genuina come quella del grande (madre della pace», Anwar Sadat; e si commuovono oggi come avvenne per quella sua visita degli anni '70. ■ Là per là, l'azione di Hussein sembra trascinare Bibi; forse imporgli un nuovo rispetto verso il mondo arabo. Adesso, si aspettano i risultati e le reazioni di Arafat. Fiamma Nirenstein

Luoghi citati: Gerusalemme, Giordania, Israele, Londra, Tel Aviv