Berisha, suspense nella notte «Si è dimesso». «No, io resto» di Vincenzo Tessandori
Berisha, suspense nella notte «Si è dimessa». «Ha, ia resta» Berisha, suspense nella notte «Si è dimessa». «Ha, ia resta» TIRANA. dal nòstro inviato «Il presidente Sali Berisha si è arreso, abbandonali. E Tirana, a notte, piomba in un silenzio irreale, La notizia viene comunicata lontano da qui; in Olanda, dal ministro degli Esteri Van Mierlo, presidente di turno della Comunità europea. E confermata dalla televisione greca. Pareva chiuderei cosi, con un colpo atteso e temuto, una giornata di calma relativa. Ma poco dopo, alla televisione albanese, una dichiarazione del Presidente: «Mi dimetto soltanto se il mio partito, il partito democratico, perderà le prossime elezioni». Dunque, una notizia talsa, eppure pareva il prologo di una nottata carica di tensioni. Berisha ha gettato la spugna, la notizia si era diffusa rapida, in città, e Tirana, come sempre accade per imperscrutabili ragioni, si era fatta silenziosa, come mai, forse, in queste notti di coprifuoco. Sembrava tutto credibile, tutto vero: Berisha abbandonava perche ormai aveva capito di non poter più contare su appoggi solidi e su alleati importanti: l'Italia, certo, e la Germania e pure gli Stati Uniti. Pareva il prologo di una tragedia notturna, con l'assalto al Palazzo del Presidente, a quelli del potere, occupati dalla vecchia Nomenklatura di Enver Hoxha. Ma Berisha è rimasto, e nella notte a Tirana sono ricomparsi i carri armati. La sveglia ha suonato all'alila, ieri, per Shpetim, che ha 24 anni e nessuna illusione. Lui si è messo il vestito buono, jeans e «chiodo» neri, poi ha chiamato Ferit e Fitor, i suoi amici, che hanno 20 anni e ancora qualche sogno. Avevano lavorato in Grecia, per quasi quattro anni, muratori e camerieri, ed erano rientrati a Tirana da un mese, ed ò stato un mese lungo, che ha consumato troppe speranze. E ora sono qui, Shpetim e i suoi amici, davanti al cancello arrugginito del Komisariati Policse 2, sulla circonvallazione Muhamet Gjollesha, in mezzo a una folla di altri giovani, forse duecento, che, come loro, l'altra sera hanno sentito alla televisione l'invito a presentarsi per rinfoltire i ranghi della polizia. In sostanza alla tv hanno detto. «La patria ti chiama». E hanno pure aggiunto un dettaglio nient'affatto secondario, soprattutto per gli aUjanesi, cosi sensibili al fascino indiscreto del denaro: chi si arruola, riceverà uno stipendio mensile di 300 dollari e avrà paga triplicata anche chi e rimaste, tra i vecchi poliziotti, quelli che han fatto temere di evaporare Come neve al sole, ai-primi spari. La battaglia di Tirana è stata, soprattutto, una corsa contro il tempo. La polizia non si è preoccupata troppo di chi saccheggiava i magaz- zini di viveri, anzi, ha dato l'impressione di non essere preoccupata per niente, ma la città non è stata abbandonata, com'era accaduto un po' ovunque nei centri del Sud. Poi, gli uomini del Presidente si sono contati e hanno capito di essere in pochi, contro un attacco coordinato non avrebbero resistito. Neppure con i quattro carri armati messi a sorvegliare la residenza di Sali Berisha, il presidente. E allora hanno lanciato la campagna di reclutamento, e già l'altro giorno, quando mille segnali sembravano indicare la caduta della capitale, molti giovani armati di Kalashnikov e aggrappati ai blindati verdi, con la scritta Policja, avevano preso a pattugliare le strade. Ed era stato decisivo per intimidire quelli che avevano progettato di trasformar la notte hi im'orgia di spari e saccheggi. Shpetim e i suoi sono andati al comando della polizia e hanno dato il nome. ■(Al commissariato 2 vi daranno le armi». Ora sono qui, in mezzo a tanti che, secondo il mio interprete, «parlano con l'accento del Nord». Le 11,50. Shpetim e i suoi amici aspettano da tre ore. «Le anni non ci sono, devono arrivare», hanno detto loro. Ma ora entra nel giardino e si ferma sotto la palazzina bianca a tre piani un furgone Bedford azzurro con la scritta «Smas, caldo su misura» sulle fiancate. Lo sport elio posteriore è quasi divelto, ma non se ne prooccupa nessuno, anche se il carico sono Kalashnikov e mitra cinesi, quelli con la canna forata, e caricatori. Shpetim e i suoi, ora, sono dei poliziotti, hanno il mitra e la licenza di uccidere. Sarebbero 17 i morti, negli ultimi due giorni, e duecento feriti, ma la gente appare meno tesa, come se fosse convinta che, sì, il peggio è passato. Vedremo. I drammi si consumano altrove. A Durazzo, per esempio, dove la polizia ha sparato sulla folla, forse cinquemila persone, che voleva scalare la fiancata della nave greca Kabalidis: quattro gli uccisi. E se tutto questo non è l'inferno, allora è l'assurdo. «E' l'assurdo coordinativo», lo definisce Mimosa Alimeli, 33 anni, poetessa assai conosciuta, qui in Albania, autrice di cinque raccolte di poesie, l'ultima tradotta in italiano. Lei dice anche un'altra cosa, dice che «lo spettacolo è qui, ma lo scenario no, quello è altrove, i reali protagonisti sono lontani». Mimosa Ahmeti non vorrebbe che Berisha lasciasse, «ma nel cuore della gente, lui è già morto». Ieri la polizia ha riassunto il controllo dell'aeroporto civile «Rinas». Le forze Usa hanno sgomberato altri 90 civili americani verso Brindisi. E l'ambasciatore russo ha accompagnato 25 suoi concittadini nella sede diplomatica Usa. Vincenzo Tessandori Le nuove milizie assoldate dal Presidente riconquistano l'aeroporto «Rinas» Altri 90 americani sgomberati. 25 russi portati dal loro ambasciatore nella sede Usa
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