Gli allevamenti di Grosseto
Gli allevamentidi Grosseto Gli allevamentidi Grosseto UN maligno ma spiritoso commentatore delle vicende storiche italiane ha detto che l'esercito italiano è sempre pronto a vincere l'ultima guerra. Quella passata. Per controbattere a questa antipatica battuta siamo andati a vedere un luogo dove la modernizzazione delle strutture militari è abbastanza avanti e le tecniche sono volte al futuro. Il servizio veterinario dell'esercito ha acquisito nuove tecnologie e le sta applicando nel luogo e nella situazione più antichi: l'allevamento dei cavalli. Lo Stato italiano alleva a Grosseto i cavalli necessari per il suo servizio. A pochi chilometri dalla città, in belle strutture che serbano l'impronta medicea, vengono prodotti, se ci si passa il termine bassamente merceologico, 70/80 puledri l'anno che, a seconda delle loro attitudini e capacità, verranno poi impiegati nei servizi della struttura militare. Cavalli sono necessari per: impegno strutturale e agonistico della Scuola di cavalleria; mantenimento dei centri ippici periferici appoggiati ai reggimenti di cavalleria; carabinieri a cavallo; polizia a cavallo; Accademia militare di Modena e Livorno. L'esigenza fa sì che lo Stato italiano sia il primo allevatore di cavalli di mezzo sangue della nazione. Trottatori e galoppatoli di puro sangue per le corse sono un altro discorso. Vediamo ora come vengono fatti nascere e crescere questi cavalli, quindi istruiti, selezionati e allenati. Innanzitutto il parco fattrici. Le fattrici di Grosseto hanno diverse provenienze, ma un dato in comune. Il codice genetico e quindi l'attitudine a un determinato impiego. I veterinari che se ne curano scelgono le madri con criteri freddamente selettivi in vista del prodotto che vogliono ottenere. Vogliono un «sella italiano» docile, vigoroso, sensibile, adatto ai servizi più vari, ma con la segreta speranza che da questa qualità media emerga il cavallo da gara che attinga ai trionfi di Piazza di Siena e ai lauri olimpici del salto ostacoli e del completo. Più precisamente le cavalle vengono scelte tra quelle, di proprietà dello Stato, che hanno terminato una buona carriera sportiva, oppure che abbiano una promettente linea di sangue, o che diano più modeste garanzie di robustezza e salute. Ma fin qui l'ingegneria genetica è abbastanza semplice. Le cose si complicano quando arriviamo agli stalloni. Non sempre grandi padri generano grandi figli. L'esempio, per restare in patria, è il grande, grandissimo Ribot, che non ha mai dato un fuoriclasse tra i suoi discendenti. E allora la ricerca, l'acquisto e la messa in razza di buoni stalloni è il grande problema di ogni allevamento. A Grosseto, dopo aver provato molte linee di sangue con stalloni promettenti, ma con risultati non sempre buoni, tentano, e con successo, di mettere in pratica le nuove tecniche di inseminazione artificiale, ferma restando la presenza in loco di buoni padri. Entrando nei particolari: un buono stallone, per avere assicurata una lunga vita feconda, può fare 60/80 monte all'anno. Di contro il suo seme, ottenuto con tecniche sulle quali è inutile dilungarsi, è suddivisibile, conservato e/o congelato con tecniche opportune, in moltissime fecondazioni invece che in una sola. I veterinari militari possono così, a Grosseto, fecondare le loro fattrici con seme congelato di stalloni che vivono, in molti casi, a migliaia di chilometri di distanza. I dati che seguono sono stati forniti dal tenente colonnello Marco Reitano, direttore dell'Infermeria Quadrupedi Presidiaria della Regione militare centrale e nome di punta nel campo delle nuove tecniche applicate alla scienza veterinaria. Nell'allevamento militare la tendenza è quella di usare il seme fresco diluito suddiviso che, come già detto, ha il vantaggio di poter essere ripartito tra molte fattrici. Il seme congelato può viaggiare senza grandi diffi- Lo Stato italiano è il primo allevatore di mezzosangue della nazione con 70/80 puledri all'anno colta, ma l'indice di fertilità non è alto. Normalmente è sotto il 50 per cento. L'uso del seme bruto (senza manipolazioni) è sconsigliato in quanto ha il solo vantaggio di poter essere ripartito, mentre i diluitoli favoriscono il mantenimento del seme in condizioni igieniche ottimali prevenendo al massimo il rischio di malattie da contatto sessuale. Abbiamo ora i puledrini, figli come abbiamo spiegato - di un padre residente nella stessa tenuta oppure di un altro a migliaia di chilometri. Vivono con la madre fino a 6/8 mesi, poi vengono riuniti per età in branco. Si chiama allevamento semibrado. Ovvero i puledri stanno hi grandi paddocks con un riparo aperto per la notte, guidati e nutriti dall'uomo che ne controlla alimentazione, pascolo, abbeverata. Al terzo anno vengono ammansiti. Significa che cominciano ad avere un trattamento individuale e non più da branco. Conoscono la bardatura e la sella. Infine la monta dell'uomo. Nel frattempo l'occhio vigile dei tecnici ha già apprezzato carattere, caratteristiche individuah, attitudini. Si crea una piramide di merito per cui alla fine del terzo anno vengono avviati al loro destino. I più promettenti vengono mandati alla Scuola di Cavalleria, dove apprendono i rudimenti della futura carriera agonistica in apposito settore riservato ai puledri. Finito questo «corso» vanno sotto le sapienti mani dei cavalieri della Scuola ed introdotti nella carriera agonistica. In questa trafila sportiva si inseriscono per suggerimenti sulle tecniche di lavoro i veterinari studiosi del cavallo atleta. Un recentissimo studio di due ottimi professionisti (Colli-Reitano) sulla capacità aerobica e sulla lattacidemia ha analizzato in un test l'incidenza dello sforzo atletico su queste componenti. Il test viene effettuato su una distanza di 1200 metri da percorrere al galoppo alle varie velocità con segnali ogni 200. Al termine di ogni fase si opera un prelievo ematico che fornisce successivamente i dati da confrontare con la frequenza cardiaca in rapporto alla velocità tenuta. Possiamo dire che i dati forniti da questo tipo di studi sono di prezioso aiuto per i tecnici preposti alle discipline olimpiche attinenti al cavallo. Quindi, seguendo l'esempio di Paesi tecnicamente più avanzati, non ci si affida più solamente alle capacità, forzatamente empiriche, anche del tecnico più sperimentato, ma si ha una valida base di dati tecnici su cui lavorare per una migliore utilizzazione dell'atleta cavallo. Dà, forse, un'impressione di freddezza introdurre la scienza dei numeri tra prati verdi e puledri caracollanti. Ma va considerato che, in questo modo, i nostri amati cavalli nasceranno meglio, verranno seguiti meglio e allenati meglio. Roberto Martinengo
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