CAPIRE IL POSTMODERNO SCENDENDO UNA SCALINATA di Giovanni Tesio

IL CONSIGLIO IL CONSIGLIO di Francesco Biamonti LA natura benigna, matrigna, indifferente, lontana. Esiste un punto di vista della natura? E' ciò che cerca di scoprire Giorgio Ficara in Leopardi La natura matrice del sogno, ma anche della ragione che lo distrugge e che si sostanzia nella musica di un lungo colloquio poetico. I Cosa avviene ne! cielo e nel I cuore? La domanda si rinvia e continua senza fine, ora a capo alzato, ora a capo reclino, e sempre con occhi lucidi e sgombri di pregiudizi. Il libro di Ficara (Il punto di vista della natura - Saggio su Leopardi, Il Melangolo; si legge d'un fiato, con vera gioia, perché fa una musica a onde lievi. Pensato con fervore e scritto con nitore, perche l'artisticità e una legge della natura stessa, vi si esamina un Leopardi incantato dall'eterno e attento all'ora che passa coi suoi diamanti estremi. Tutti i passaggi di questo libro hanno una logica, e la sensazione che poi ne rimane e di un Leopardi che «rinuncia alla teoria» e ^prigioniero della notte stellata» sente nel cuore l'aridità del deserto. Mentre la morte e l'ultima verità di questo mondo e fa tenera la vita. Che cosa si salva in questo pessimismo? La mutazione della parola, la laboriosità naturale dell'arte. Stile tenero e, insieme, marmoreo CAPIRE IL POSTMODERNO SCENDENDO UNA SCALINATA RACCONTARE IL POSTMODERNO Remo Ceserani bollati Boring/iier/ pp.242. L.35.000 RACCONTARE IL POSTMODERNO Remo Ceserani bollati Boring/iier/ pp.242. L.35.000 HI, come me, è nato nella modernità, può sorprendersi a pensare - a sognare - che il postmoderno sia una notizia dell'altroieri suscettibile di smentita, o una specie di malattia passeggera, un esantema che passerà presto. Ma non è così. Nei suoi pregevoli quadri sinottici, Remo Ceserani ci mostra al contrario tutta la sua ineluttabile esistenza storica (o post-storica) e tutta la sua clamorosa invadenza nei linguaggi della comunicazione di massa. Postmoderni sono gli odierni costumi sessuali, i film di Tomatore e di Salvatores.. il neogotico, le nuove religioni americane, le vecchie processioni, la festa di paese e una rotonda sul mare con le canzoni di Patty Pravo. E postmoderno è un termine adoperato disinvoltamente e assolutamente da tutti, anche dai fanciulli. D'altra parte le sue origini si perdono negli ambulacri del moderno, con le prime trasformazioni macchinistiche, le ferrovie, le lampade a gas e poi l'elettricità e tutto il resto di cui è traccia, ad esempio, nei Passages parigini di Benjamin. Anche la mercificazione della produzione culturale, e quindi «la caduta della distinzione fra 0 pubblico highbrow e quello lowbrow», sono sotto gli occhi di tutti fin dai tempi dell'industrializzazione. Nel cuore stesso della modernità, cioè, qualcosa cambiava e slittava e rovinava verso l'attuale frammentazione e «disintegrazione». Dove, poi, esattamente ed effettivamente si determini la coupure tra tempi moderni e tempi postmoderni e ancora oggi motivo di dispute di professori, da una conferenza al Whitney^Museum a un convegno alla Cornell a una le¬ zione pisana, ed è uno degli obiettivi - raggiunti, almeno dal punto di vista morfologico - di questo libro. E diro subito che, delle tesi passate al vaglio, tutte mi sembrano irreprensibili, da quella di Friedric Jameson sulla fine della guerra fredda e quella di Susan Sontag sulla «nuova sensibilità» degli Anni Sessanta a quella molto chic di Dwight McDonald sulla diffusione del Kitsch e sulla confusione dei valori negli Anni Cinquanta. Se la modernità è repressione, come pensavano Horkheimer e Adorno e in qualche modo anche Foucault, il postmoderno con la sua carica antimetafisica e decostruttiva dovrebbe rappresentare la più felice emancipazione; se la tecnologia e le città moderne sono orribili e angosciose, come vuole un certo heideggerismo esistenzialistico di Spanos, la morbidezza digitale postmoderna potrebbe dirsi una consolante e poetica panacea. Per quanto mi riguarda, ho capito i vantaggi del postmoderno solo una volta, a Stoccarda, scendendo una scalinata finto assira della Neue Staatsgalerie del favoloso James Stùiing: la paragonavo al colosso già vecchio del Beaubourg e mi dicevo che lo scioglimento del vincolo della modernità aveva prodotto, e forse potrebbe produrre, ancora anarchia e ironia, ma anche felicità. (D'altra parte, Jameson afferma che nell'Hotel Bonaventure di Los Angeles, massimo e sconcertante simbolo dell'architettura postmoderna, è facile entrare ma per uscire occorre chiedere aiuto). E la letteratura? I «nuovi trovatori» di Hassan, cioè Léonard Cohen, Bob Dylan, Jacques Brel e John Lennon, sono davvero grandi scrittori? E se le fonti dei romanzi di Don De Lillo sono i fumetti e i film di Godard, chi mai, anche se non proprio scolaro di Contini o di Segre, potrebbe dedicare loro più di uno sguardo «sociologico»? Ancora: la debolezza e l'interscambiabilità dei codici (letterario, fotografico, filmico, figurativo) sono una garanzia di benessere e di euforia del romanzo, come ai tempi del Tristram Shandy i disegnini dell'autore a pie di pagina? Mi permetto di dubitarne, anche se Ceserani, entusiasta delle «manipolazioni stilistiche del postmoderno», esorta i critici a dimenticare la «soluzione stilistica individuale», per dir così classica e moderna; e fra gli scrittori italiani cita Calvino, Eco e Tahucchi: forse alquanto fuorviato da una lettura sorprendente di Alfonso Berardinelli su Calvino «neoclassico», vede in particolare negli «esperimenti di parodia, rifacimento, gioco intertestuale» la prova di una certa (profonda) attenzione dell'autore di Palomar ai temi del postmoderno. Ma fortunatamente, e con acume sicuro, conclude che la posizione di Calvino è «alla fine peculiare e irriducibile a tante delle teorie postmoderne correnti» e che dietro l'idea «della coerenza di elementi logici e morali» si intravede il suo «fermo ancoraggio a una concezione variamente razionalistica e iUummistica della vita». Di Eco e Tabucchi, invece, basti dire che è vero: sono scrittori postmoderni. ANT'Arcangelo è l il g pil cuore di una Romagna che fra terra e mare sa riemi di i l pire di storie la ppropria memoria, narrando in prosa narrando in prosa i i DA NESSUNA PARTE Flavio Nicolini Mobydick pp. 243 Lire 22.000 Giorgio Ficara DA NESSUNA PARTE Flavio Nicolini Mobydick pp. 243 Lire 22.000 ANT'Arcangelo è un luogo speciale: il cuore di una Romagna che fra terra e mare sa riempire di storie la propria memoria, narrando in prosa e in poesia con una forza visionaria che si nutre delle sue stesse viscere. Non a caso, da Tonino Guerra a Raffaello Baldini, da Nino Pedretti a Gianni Fucci a Giuliana Rocchi, la poesia in dialetto ha dato vita, partendo di qui, alla più eccezionale delle fioriture. Flavio Nicolini rientra bene nel quadro e pare aver seguito anche un po' le orme di Guerra nel suo andirivieni tra Sant'Arcangelo e Roma, tra cinema e letteratura. Il mondo che scaturisce dal suo ultimo romanzo, Da nessuna parte, pubblicato dalle edizioni faentine di Mobydick, è lì a dimostrarlo. La vicenda di Comunardo Donini, il barbiere anarco-comunista, che risponde all'isolamento e al disconoscimento della prigionia e del confino decidendo di sprofondare nelle radici dei proprii assilli, sembra venire più dalla mite follia di una solitudine fantastica che dalle ragioni estreme di una storia senza riscatto. Gregario di una compagnia (o compagnoneria) delle cause perse, Comunardo fa parte di un gruppo di amici che sognano la rivoluzione e che in cerca della «palingenesi» si muovono come gli eroi ribelli di un'epica paesana dai gesti singolari, guidati dall'energia impavida e vitalistica di uno di loro, il Montevecchi, che sfida il fascismo nascente come se vivesse in una leggenda di Omero. Ma vengono tutti inghiottiti dall'ingenua natura della propria ostinazione rivoluzionaria, approdando alla «nessuna parte» a cui il titolo allude. Comunardo ha una moglie, che non riesce a condividerne l'idea e ha un figlio che da bambino dà una caccia fanatica alle cicale e da grande diventa un pilota di aerei tanto eccezionale quanto indomabile e cinico. A separare il figlio dal padre è la figura di una procace professoressa di latino, moglie di un podestà hi missione, alla quale padre e figlio si sono nel frattempo legati d'attrazione diversamente fatale. Ma a congiungere le due traiettorie divise da un mistero giallo e insoluto è la sorte di un segreto più profondo che non può non appartenere alle ragioni del destino. A costituire la cifra essenziale di un romanzo di buon ritmo, specie nella prima parte, è la capacità di impastare figure che si muovono tra storico e fantastico in un continuo slittamento dal sogno alla realtà, dalla realtà al sogno. Personaggi marginali che affrontano la vita con l'impavida ingenuità dei puri impartendoci una lezione che va ben oltre il loro umanissimo tracciato. Nello scacco che li annienta sta tutta la loro stoffa di perdenti che sanno pagare con magnanimità, come diceva Garcia Lorca, il dovere dell'allegria. Giovanni Tesio

Luoghi citati: Los Angeles, Roma, Romagna, Sant'arcangelo, Stoccarda