Gli eroi dei due mondi di Filippo Ceccarelli
Dal trionfo all'esilio, la storia di una grande passione Dal trionfo all'esilio, la storia di una grande passione Gli eroi dei due mondi C ROMA IMELI? Ma quali cimeli? Beliquie sarebbero, semmai, per Craxi: sacre reliquie poste sotto sequestro, feticci violati da inconsapevoli militari della Guardia di Finanza, potentissimi amuleti dentro i quali riposa lo spirito dell'Eroe... E magari ci sarà pure dell'altro, negli scatoloni di Bettino, lo diranno i giudici, ma intanto questa storia di ricongiungersi con le adorate memorie garibaldine, facendole camuffare da stoffe, per giunta, inscatolandole e imbarcandole in vista di un avventuroso trasloco, un po' fa ridere, un po' fa tenerezza e un altro po' rientrerebbe perfettamente nel personaggio. Craxi possedeva in effetti tanti di quei cimeli da poter vantare - e lo faceva spesso, pure con innocente civetteria - un autentico museo. Quadri, stampe, libri, opuscoli, autografi e oggetti vari, anche domestici, il cui pezzo forte era il calco mortuario dell'Eroe, reperto che illuminava una passione ben lungi dall'arrestarsi di fronte alla necrofilia. Aveva cominciato presto, Craxi, secondo alcuni biografi addirittura giovinetto, nel 1948. Divenuto potente la raccolta s'era incrementata con acquisti massicci e graditissimi doni da parte di amministrazioni, ospiti, cortigiani e adulatori. Questi ultimi sempre in caccia di polverosi attrezzi garibaldini, molti dei quali, secondo Spadolini, drammaticamente falsi. DG Con l'indimenticabile leader repubblicano, pure lui appassionato raccoglitore risorgimentale, s'era sviluppata una certa rivalità di Palazzo, di cui piti di tutti trovò giovamento un furbo antiquario di via del Babuino, instancabile organizzatore di aste. Al 45° congresso socialista (Milano, Ansaldo, maggio 1989) Craxi ebbe finalmente la generosa opportunità di mettere in mostra una piccola parte di quell'armamentario che la signora Anna ha ieri assicurato trovarsi ancora in Italia, «donata da tempo a un'Associazione Patriottica», e fra cui almeno a Milano si distinse il «Piccolo garibaldino» dell'Induno. Di quella strana esposizione, altri raccoglitori di foglie morte della Prima Bepubblica ancora conservano brandelli di catalogo: «L'idea di allestire una mostra dedicata a quadri e stampe di argomento garibaldino - scriveva Antonio Ghirelli - è qualcosa di più e di meglio di una trovata propagandistica». Cosa rappresentasse, in ultima e profonda analisi, quello sfoggio di icone garibaldine era una questione più intensa e a pensarci bene anche enigmatica che anda¬ va al di là di una semplice smania collezionistica. Era, o almeno sembrava, già una specie di transfert magico, con qualche risonanza religiosa, qualche suggestione occulta, qualche vertigine esoterica. Di questo eventuale legame sentito e magari anche vissuto in modo, per così dire, mistericamente spirituale fra Craxi e Garibaldi non si può azzardare molto di più. Quel che invece è possibile sostenere è che dal 1982 (centenario dell'Eroe e inizio dell'ascesa craxiana) per decisa iniziativa del leader socialista si sviluppò in Italia un autentico, pubblico e a tratti anche piuttosto insistente e dispendioso culto di Garibaldi. Questa venerazione, che s'intrecciava con la riscoperta e il riadattamento dell'orgoglio patriottico al sogno del garofano, ha lasciato dietro di sé strenne illustrate, citazioni mirate (tra cui anche «Sto per rompermi i cgh), quindi francobolli, copertine, recital, sceneggiati tv. Imperterrito e non di rado visibilmente appagato, anche se con una tendenza all'incontentabilità, nel corso degli Ami Ottanta il presidente Craxi si fece perfino cantare «Mettiti il poncho, Bettino!», su e un'arietta sudamericana. Quindi scovò preti garibaldini (il cappellano Bassi: altro libro e altro sceneggiato); visitò innumerevoli musei garibaldini, anche a Staten Island; arruolò rissosissime eredi dell'Eroe. Sazio ma non satollo, volle instaurare l'accaldatissimo rito della visita estiva a Caprera, incubo di un'intera generazione di cronisti colà trasferiti su una nave militare. E una sera, a Napoli, presenziò alla sfilata di alcuni sciagurati giovani socialisti in camicia rossa. Nel 1992, il congedo dalla segreteria del psi dopo aver comunque distribuito alcune copie di un libro, Un cuore garibaldino, inizialmente previsto in aitri 50 mila esemplari mai più andati in stampa. Mario Chiesa aveva già cantato, e il festival dei due mondi stava ormai per finire. Una sintomatica foto ritrae Craxi al tavolo con una pubblicazione dal titolo «Garibaldi a Tunisi»: un destino. Pure da Hammamet s'è trovato a difendere il Generale da un pentito che l'aveva accusato di aver pagato il «pizzo» alla mafia. E per Sellerio ha curato la pubblicazione di un ennesimo diario garibaldino - dedicato «alla mia patria lontana». Anche l'esilio, in effetti, seguita a collegarlo a quello spirito d'italiano inquieto: le cui fattezze alcuni finanzieri hanno rinvenuto dentro un camion in diversi scatoloni. Filippo Ceccarelli
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