Le prime raffiche in Macedonia di Giuseppe Zaccaria

Le prime raffiche in Macedonia Le prime raffiche in Macedonia Respinto l'assalto di cinquanta «briganti» SUI CONFINI DEL CONTAGIO KjSSZ !CT*"T.«! ••*.*?„ *~~ ■ ' Il SKOPJE DAL NOSTRO INVIATO P Visto così, al tramonto, il lago di Ohrid sembra un'immota, deserta tinozza dove non si muove neanche una rana. Ma l'animale da cui guardarsi è l'aquila: quell'aquila che nereggia secca sui rossi vessilli della Repubblica d'Albania. Al di là del lago c'è la frontiera, e su quella frontiera stamani si è sparato. Non una battaglia, piuttosto un'azione preventiva: «Una cinquantina di briganti è apparsa dietro le sbaire di frontiera di Kafa San - raccontano i doganieri della Repubblica di Macedonia Abbiamo visto i soldati albanesi che fuggivano, quella marmaglia che tentava di venire avanti: è bastato sparare qualche colpo per vederli gettare le armi e scappare come maiali prima del macello». Chissà come correranno mai, i maiali, forse non c'era immagine che potesse meglio esprimere lo scherno. Ma con la guerra civile che ribolle oltreconfine quel secolare, inestinguibile disprezzo che i macedoni nutrono verso gli sqipetari si sta trasformando in qualco- s'altro. Protesta, insofferenza, paura, reazione: i valichi di frontiera sono chiusi, a Skopje il governo è riunito in seduta straordinaria. Si parla non di diritti degli albanesi, ma di protesta della maggioranza. Sul lago tagliato a metà dal confine termina il fuso orario europeo, se lo si attraversa verso Oriente l'orologio va spostato avanti di un'ora. Correrebbe indietro di secoli se mai le bande che si stanno fronteggiando in Albania riuscissero a coprire il percorso inverso, a seminare in questa piccola Repubblica il virus della rivolta. Su poco più di due milioni di abitanti, gli albanesi di Macedo¬ nia sono 400 mila, però continuano a crescere a ritmo forsennato, si moltiplicano tre volte più degli altri, parlano la propria lingua, scrivono in caratteri latini contro il cirillico eh Stato. Una minoranza sdegnosa e aggressiva che adesso vuole la propria università, una lmgua parificata alla miscela di serbo e bulgaro che compone il macedone, e quote fisse del potere. La reazione della maggioranza è pronta a scatenarsi. «Makedonska Makedonya», macedonia macedone e non albanese, dicono le scritte murali che si rincorrono nella folle architettura di Skopje. Tra i blocchi eli prefabbricati grigi le baraccopoli albanesi sono altrettante macchie scure, grandi insetti fissati al paesaggio dagli spilli dei minareti, tutt'intorno una cintura di officine spande nell'aria un sentore di marcio. E' anidride solforosa, spiega l'autista. Solo il microscopico «Bit Pazar», antico centro turchesco, mantiene una certa coesione. Non è colpa di mi architetto ubriaco ma del terremoto che devastò la Macedonia più di trent'anni fa. Dinanzi alla vecchia stazione, il monumento più rappresentativo è l'orologio rimasto fermo alle 5,17 di quel terribile 26 luglio del 1963. «E adesso quelli pensano di spostarlo indietro di cent'anni?». Vlade Velvovsky era professore di inglese e adesso racconta in un bar cosa gli è capitato prima di finire in pensione. Insegnava a Gostivar, cittadina dell'Est, fino a quando nelle Amministrative dell'anno scorso i partiti albanesi conquistarono la maggioranza. «Li vidi festeggiare con la bandiera sqipetara e le grida: macedoni, andatevene. In classe gli studenti mi guardavano beffardi, uno pretese; di rispondere non in inglese ma nella sua lingua. Ho chiesto di andarmene». Sta descrivendo, il mite Velvovsky, il progressivo montare di un'aggressività che fra gli albanesi di Macedonia non ha poi così drammatiche ragioni. Il Kosovo, la terra della repressione, è molto più lontano dei 120 chilometri che separano Skopje da Pristina. Sempre più vicina, quasi incombente si fa invece la riscoperta di un nazionalismo che in quest'insalata di influenze ed etnie finora non si era manifestato. Nei Comuni dell'Est, quelli in cui la minoranza albanese si fa predominante (Gostivar, Struga, Debar, Tetovo) la rivendicazione etnica si è trasformata in battaglia. Gli albanesi premono per una «loro» università, da costruire a Titovo, il governo se l'è cavata con una proposta di compromesso: una facoltà albanese inserita nell'Accademia di Pedagogia. Un disegno di legge prevede poi di riservare alla minoranza il 10 per cento dei posti nelle scuole di Stato. «E noi dovremmo pagare le tasse per consentire a quei selvaggi di mangiarsi il Paese?». Basta interrogare i primi passanti per capire qual è il sentimento dominante. Gli albanesi vivono in tribù, dicono, abitano catapecchie ma maneggiano molto danaro, quando non possono ottenere dal pubblico comperano dal privato. Sono pericolosissime termiti. Gli studenti macedoni scendono in piazza, come a Belgrado. Fanno rullare i tamburi, assordano al suono dei fischietti con una protesta che va facendosi sempre piii violenta. Un gruppetto di universitari fa lo sciopero della fame: vuole che Sonja Nikolova, ministro dell'Istruzione, si dimetta subito. Ad incoraggiarli c'è un gruppo d'opposizione dalla sigla folle (si chiama Vmro-Dpnmz) ma dalle origini lontane e profonde. E' pronipote di quell'«Organizzazione intema macedone» che agli inizi del secolo assassinò a Marsiglia il re Alessandro. Un miscuglio d'epica e intolleranza che può esplodere da un momento all'altro. Gli ingredienti ci sono tutti: pochi giorni fa anche la Macedonia ha avuto il suo scandalo. La «Tal», cassa di risparmio di Bitolj, è fallita bruciando 114 milioni di marchi, gii «investimenti a piramide» di chissà quanta gente. Il governatore della Banca centrale, Borko Stanoovsky, già dichiara: «Lo Stato non è responsabile». Giuseppe Zaccaria

Persone citate: Debar, Macedo, Sonja Nikolova