Tirana invoca un blitz europeo di Vincenzo Tessandori

I ribelli assaltano l'aeroporto e gli arsenali della capitale, ventiquattro morti. I ribelli assaltano l'aeroporto e gli arsenali della capitale, ventiquattro morti. Tirana invoca un blitz europeo 7/ nuovo governo: che Dio e il mondo ci aiutino DAL NOSTRO INVIATO Si, da sola l'Albania non ce la farà e nel documento sottoscritto da Berisha e da Bashkim Fino, leader al primo giorno di lavoro, si sottolinea il «supremo rischio di una guerra civile». Fino, l'economista, non ci ha messo molto a capire che ciò che lo aspetta gli farà tremare le vene dei polsi, perché non si tratta più di cercare il modo per ottenere il massimo dall'avversario di sempre, ora si rischia di non avere più un Paese da governare. «Dio ci aiuti», mormora Bashkin Fino. Ma non sarà un affare da poco neppure per il Padre Eterno dare una mano perché qui nessuno sembra aver l'intenzione di volerlo, un aiuto, e Zef Kanai, democristiano di Scutari e componente del Forum, il gruppo che si opponeva a Berisha, commenta aspro: «Ho forti dubbi che il governo possa farcela perché non è più rappresentativo, considerato che la situazione è a un punto tale che, ormai, occorre una base più vasta». Che comprenda anche i comitati di salvezza nati nelle città insorte? «Certo». Ma il presidente? «Non credo che si dimetta, a meno che non sia costretto dalle pressioni intemazionali». Insomma, tutti paiono convinti che se Berisha si toglierà di torno, i guai si risolveranno per incanto. E lo scrittore Fatos Lubonja, lui pure uno del Forum, osserva candido: «Sono ancora ottimista perché credo che esista una chance se Berisha se ne va. E deve andarsene: l'altra sera ha parlato con il primo ministro e ha dato l'impressione di essere un uomo finito». Ed erano date per certe, le dimissioni, attese per metà pomeriggio. Invano. Berisha, si sa, è un montanaro ostinato. Ma sembrano davvero le ultime ore per il vecchio leone, che ha fatto imbarcare la moglie Liri con i due figli sulla nave «Palladio». Da Sud il Comitato di Saranda gli invia un ultimatum: «Dimettiti o marceremo su Tirana». Da Nord i suoi partigiani intimano agli avversari di posare le armi. Neppure lo sa, il governo, su chi può contare. Del nuovo ministro dell'Interno, il democristiano Pllumb Cela, dicono che nessuno si fidi, neppure quelli dello Shik, il servizio segreto. Si moltiplicano le diserzioni in massa e dalle caserme escono sempre più numerosi i militari che se ne tornano a casa senza neppure togliersi i pastrani. Di certo polizia e soldati hanno opposto ben poca resistenza, in tutto il Sud, e pure qui a Tirana non sono stati inflessibili. Ma a Bushat, mezz'ora d'auto da Scutari, quando hanno attaccato un magazzino di armi dell'esercito, c'è stato scontro ed è stato cruento: morti quattro militari e cmque senza divisa. In tutta l'Albania le vittime di ieri sarebbero ventiquattro. Due blocchi un po' patetici, formati dai carrelli per il trasporto bagagli, ostruiscono l'ingresso dell'aeroporto di Rinas, chiuso per ragioni di sicurezza dalla sera di giovedì, quando qualcuno ha accolto a raffiche di Kalashnikov l'aereo della Olympik, proveniente da Atene. Ora, sulla pista, sono parcheggiati un bireattore Tupolev dell'Albanian Airlines e, poco discosti, due Mig 19 di fabbricazione cinese: dovrebbero essere impiegati in caso di allarme, ma con i teloni verdi sulla fusoliera danno tanto l'impressione di vecchi, inutili giocattoli. In venti difendono l'aeroporto più inutile del mondo, qualcuno indossa la divisa blu della polizia, qualche altro abiti civili e sono questi gli uomini dei servizi. Arriva distinto l'eco dei Kalashnikov e anche quello di una mitragliatrice pesante, ma chissà a chi spara, la gente, laggiù oltre gli alberi e uno dello Shik dice cercando di sorridere: «Qui è sicuro». Per niente rassicurante, al contrario, la Opel marrone senza targa con due attempati, chiamiamoli signori, completi di mitra. «Shik», mormora il poliziotto col berretto rosso e blu buttato sulla nuca. C'è stata, in ogni modo, razzia anche a Rinas: razziati mitra e proiettili, in quantità. Alle banchine di Durazzo sono bloccate 25 navi, in rada ce n'è il doppio, in attesa di entrare. Un esodo, finché c'è stato il sole, e la gente preme sui moli e vuol salire su quelle navi e vuole fuggire. Ce l'hanno fatta in 400, ieri. Gli italiani hanno lasciato Tirana, gli ultimi 330 portati via con i mezzi organizzati dall'ambasciata. Alle 15,30 sono usciti dal cancello in ferro marrone della palazzina beige in Leke Dugajni, un'ora più tardi erano in vista dell'Adriatico. Sulle navi sono stati trasferiti con l'elicottero, perché bisognava superare un muro di gente disperata. E tutti hanno preso il largo, più rapidi degli altri, i russi. Gli inglesi hanno mandato, qui nell'albergo dove siamo noi giornalisti, quattro uomini delle Sas, quelli abili con il mitra e il coltello come pochi. Come per incanto, dall'altra sera si sono svuotate le residenze dei diplomatici, Tirana torna ad essere un'isola irraggiungibile, come lo è stata per cinquant'anni. E, forse, proprio questo è il gran sogno insano di chi ha progettato il colpo di Stato. Perché è difficile credere che qui stia avvenendo qualcosa di diverso. Nel caos si vede la carta decisiva. Per esempio, alle 15,35, hanno dato l'assalto al carcere di Tirana, quello grande, nel quale tenevano Fatos Nano, il leader socialista messo agli arresti un paio d'anni fa. Nano è già fuori, dicono, ma c'erano altri duecento detenuti, compreso Ramiz Alia, che è stato l'ultimo erede di Enver Hoxha. E fra quei duecento, il peggio del peggio. La gente gridava, e poi hanno fatto fuoco sulle guardie. Anche questo, un attacco organizzato niente male e c'è chi dice non dai parenti ma dai «provocatori», insomma, dagli uomini del potere che cercano nel caos l'occasione per assestare i colpi più duri. A meno che non sia troppo tardi anche per loro. Sparatoria breve e rabbiosa, poi, dal cancello, sono usciti i detenuti, che si sono allontanati, con i loro berrettucci blu, a gruppetti di tre o quattro, e ora scorrazzano perla città. I magazzini della ialina e dei generi alimentari sono quelli che la gente assalta più spesso. Bisogna intendersi: niente di spettacolare, niente di simile alla sommossa del pane di manzoniana memoria. Ai cancelli aperti arrivano uomini con vecchie biciclet¬ te cinesi o con le carriole, e aspettano il proprio turno. Sulla via Kavaja, un giovanotto di 23 anni, Artan Nestaqi, in buon inglese, confessa: «Rubo, non lo faccio per fame, ma perché questo può procurarmi un po' di denaro». E mi offre una bottiglietta dr minerale. «Stai attento alle pallottole, amico». Poco più avanti, al quartiere Kombinat, nella notte hanno sparato e imbracciavano i Kalashnikov ragazzi di 14 o 15 anni. Pericolosissimi. Sulla via dell'aeroporto hanno sfondato i battenti in ferro del grande magazzino Vela, quello della maggiore fra 'e finanziarie e che come per miracolo non ha dichiarato fallimento. Nessuno è più fedele a nessuno, neppure a se stesso. A Sud la gente canta la vittoria e attende soltanto l'abdicazione di Berisha, «il tiranno». A Nord fremono e lanciano appelli: chi tradisce Berisha, tradisce l'Albania, dicono quelli di Tropoja, il feudo del presidente. Gli scontri si moltiplicano, e qualcuno, come quello avvenuto a Leja, appare singolare: dato l'assalto alla banca locale, un gruppo di una mezza dozzina si stava arrabattando attorno alla cassaforte con il plastico. Finché c'è stata luce, molti non hamio rinunciato a una sosta al caffè, per l'espresso o il bicchierino di rakì. Con le tenebre, le raffiche aumentano e si fanno sempre più vicine. A tarda sera, i cani armati entrano nella piazza principale della capitale e si appostano intorno alla sede della presidenza della Repubblica e del Consiglio dei ministri. Agenti in borghese sparano in aria raffiche di mitra. Chissà se i 4 delle Sas ci torneranno utili, stanotte. Vincenzo Tessandori Rivolta ed evasione di massa dal carcere. Dovunque la polizia fugge. Battaglia anche a Scutari