«Avete ucciso mia figlia un'altra volta» di Marco Raffa

Cancellato l'ergastolo al giovane che aveva ucciso a coltellate la fìdanzatina di 15 anni Cancellato l'ergastolo al giovane che aveva ucciso a coltellate la fìdanzatina di 15 anni «Avete ucciso mia figlia un'altra volta» Genova, una madre contro i giudici GENOVA. Lei, Stefania Massarin, quindici anni, una «fìdanzatina» di quelle che una volta si portavano in pizzeria o al cinema e si baciavano timidamente al momento del commiato, massacrata con 25 coltellate sul pianerottolo di casa. Lui, Antonio «Tony» Scarola, 22 anni nel '94, bullo di periferia cresciuto senza padre, in una famiglia difficile, in un quartiere degradato, e che non sopporta l'idea di essere lasciato. Anche se magari lei sta con lui da quando aveva tredici anni e lui diciannove, e in questa loro storia ci sono anche un aborto, liti violente, gelosia. E un epilogo selvaggio, feroce, anche se forse non imprevedibile. Poi, il processo, la difesa, le accuse, i pianti e l'odio della madre dell'uccisa. L'ergastolo. Perché - dicono i giudici - quelle venticinque coltellate sul corpo di una quindicenne, che quasi hanno decapitato una ragazzina che si apriva alla vita, meritano il carcere definitivo. Ma, ed è storia di ieri, la condanna all'ergastolo «dura» poco. E i giudici dell'appello lo cancellano: 24 anni e due mesi al posto del carcere a vita, le attenuanti generiche a compensare la premeditazione. Respinta anche l'aggravante, richiesta dal pubblico ministero Luigi Cavedini Lenuzza, dei «motivi futili e abbietti». «Una sentenza che non voglio e non posso commentare - dice Giovanni Scopesi, avvocato di parte civile -. Sul piano tecnico, però, i giudici hanno riaffermato la colpevolezza dell'im putato e la premeditazione». A Maria Cagnetta, la madre di Stefania, questo però non basta per accettare una condanna più mite e forse l'ipotesi, tra non molti anni, di incontrare per strada, libero, l'assassino di sua figlia. Grida, si dispera, insulta «Me l'avete uccisa un'altra volta», urla ai giudici e all'avvocato difensore del fidanzato-omici da. Foi se ne va, in preda alla rab bia e allo sconforto. «Non mi darò pace finché non avrò giù stizia», urla ancora uscendo dal l'aula. Poi, in strada, i nervi ce dono. Sviene sulle strisce pedonali davanti all'ingresso del Palazzo di giustizia, viene soccorsa, si riprende. Anche lui, l'omicida, aveva avuto un momento di «ribalta» durante l'udienza: al termine della durissima requisitoria dell'altro avvocato di parte civile, Claudio Cangelosi, si era alzato in piedi nella «gabbia». «Datemi pure l'ergastolo, buttate via la chiave. Ma non è vero che non amavo Stefania». E proprio questo «amore, amore folle»,, secon do il difensore Bruno Lo Mona co, avrebbe scatenato il delitto. «Stefania era l'unico punto fer mo della sua esistenza. E quan do lei lo ha lasciato, si è sentito profondamente solo, una solitu dine, per lui, insostenibile». E' iì convulso finale di una vicenda giudiziaria controversa, ricca di colpi di scena. L'ultimo è arrivato ieri dopo due ore di camera di consiglio: ergastolo annullato. Sentenza definitiva a meno di un ricorso in Cassazione. L'assassinio di Stefania Massarin aveva suscitato emozione e indignazione non solo tra i palazzoni del Cep di Prà, quartiere popolare costruito nel dopoguerra sulle alture a Ponente della città, che aveva visto nascere e dipanarsi la vicenda di Stefania e Tony, ma in tutta Genova. Stefania aveva conosciuto Tony Scarola nel '92, quando aveva tredici anni. Lo aveva frequentato, poi si erano messi insieme. C'erano stati, nella loro storia, anche una gravidanza indesiderata e un aborto. Una pa¬ rentesi molto amara. Lei bionda, graziosa, ma poco più di una bambina. Lui, già adulto, «bullo di periferia» per alcuni, «bravo ragazzo, che aveva lasciato la scuola per aiutare la famiglia» per altri. Comunque, sembravano mol- to innamorati. Ma da qualche tempo lui era sempre più geloso, possessivo. Secondo gli avvocati di parte civile, «Stefania era per l'omicida solo un oggetto di possesso, da esibire con gli amici». Durante il processo di primo grado alcune amiche avevano raccontato: «Tony non voleva che uscisse senza di lui, che si mettesse la minigonna, che si truccasse». Jeans stinti e maglione informe, la «divisa» di Stefania. Era vestita cos'i anche la mattina del delitto. Fidanzato-padrone, insomma, almeno secondo l'accusa. Un rapporto di possesso che si era interrotto da qualche tempo. Lui, però, non aveva accettato la separazione. C'erano state delle minacce. E la ragazzina, già segnata da una tragica storia familiare (il papà era stato ucciso a coltellate, in un bar, qualche anno prima) aveva paura, anda¬ va a scuola accompagnato dal convivente della madre. Quella mattina, alle 7,30 del 22 ottobre 1994, l'uomo era uscito prima di lei, per comprare i giornali, e la stava aspettando in auto, davanti al portone. Scarola, però, l'aveva preceduto: era già sul pianerottolo, in attesa di Stefania. Un agguato? Un ultimo tentativo di convincerla a tornare con lui? La verità, forse, non si saprà mai. E l'unica cosa certa di quella livida mattinata restano 25 coltellate e una lunga striscia di sangue sulle scale. Marco Raffa Durante l'udienza l'imputato aveva lasciato l'aula infuriato: dite pure che sono un mostro ma non che non amavo la mia Stefania A sinistra Antonio Scarola, a destra Stefania Massarin

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