Testimone del saccheggio

dimissioni di Berisha dimissioni di Berisha Nord si armano i civili fedeli al Presidente Testimone del saccheggio Ho visto svuotare un hotel in poche ore ASARANDA IN RIVOLTA nizzazione che sei giorni fa ha firmato l'attentato dinamitardo contro l'università (bomba in un contenitore di rifiuti, quattro feriti), a gennaio quello contro il rettore serbo fatto saltare con la sua auto, negli ultimi mesi gli omicidi di quattro «collaborazionisti» albanesi, potrebbe organizzare di tutto, rompere questa sorta di equilibrio delle impotenze. Dicono sia un'armata fantasma. Adem Demaqi, il «Mandela del Kosovo» (27 anni in prigione nel succedersi dei regimi di Jugoslavia), oggi presidente del Partito parlamentare, ha più volte insinuato che a manovrarne le azioni sia la polizia serba, pronta a trovare pretesti per ogni tipo d'intervento. Nell'altro grande partito indipendentista (l'Alleanza democratica) il moderato Ibrahim Rugova mantiene posizioni più sfumate. In realtà è difficile attribuire tutto alle provocazioni della po¬ lizia di Milosevic. Un'«Armata di liberazione del Kosovo» esiste davvero, probabilmente poco numerosa ma finanziata da un'emigrazione che da anni, soprattutto negli Stati Uniti, prepara il rientro nella «terra delle aquile» e coltiva il sogno della Grande Albania. Il fatto che da qualche tempo gli attentati si stiano concentrando contro l'università prova come l'obiettivo sia solo quello di destabilizzare. L'accordo sull'istruzione siglato da Milosevic e Rugova non ha avuto alcuna applicazione. Se in qualche scuola secondaria si fanno i doppi turni per impedire che falangi di studenti albanesi s'incrocino coi ragazzi serbi, l'accesso degli albanesi all'università è impedito nei fatti. Quel che ne è scaturito è un sistema sotterraneo, spontaneo, etnico con cui gli albanesi tentano di mettere assieme in una miriade di case private una propria università, degli ospedali propri, un proprio sistema di sopravvivenza. «In queste condizioni - commenta Demaci - non c'è bisogno dei disordini in Albania perché le contraddizioni esplodano». Basta aspettare: dopo gli incontri di Rodi e Monaco, il 7 aprile a New York è fissato un terzo summit sul futuro del Kosovo. Giuseppe Zaccaria SARANDA DAL NOSTRO INVIATO «Scusatemi, devo andare via di corsa...». Alle sei di sera Fuat Karalliu, il massiccio prefetto di Saranda città liberata, lascia il bicchiere di raki e il suo bar sul lungomare. Anche se la scorta armata rimane ai tavolini, anche se non si distraggono dalla tv albanese che trasmette un filmetto con Valeria Marini e Raz Degan, dev'esser successo qualcosa di grave, preoccupante come la faccia di Karalliu. Passa mezz'ora e arriva Socol l'ingegnere. «Nel Nord dell'Albania la canaglia sta armando i suoi servi». La canaglia è Berisha, i servi i fedelissimi del partito democratico. «Non gli bastano i mercenari del Nord che ha arruolato nell'esercito. Vuole armare anche i civili e mandarli contro di noi, qui al Sud». Socol l'ingegnere fa parte del «Comitato intellettuali di Saranda», professori, medici, architetti, anche il Pope ortodosso: tutta gente che non vuole armi, non vorrebbe violenza, e adesso teme il peggio: «Siamo troppo vicini alla guerra civile». Saranda è il Sud del Sud dell'Albania. Ventimila abitanti. Città liberata, città armata, città intimorita. Di giorno sparano, la notte saccheggiano. Il primo impatto è con un posto di blocco rigido: venti uomini e venti Kalashnikov puntati, due carri armati ai lati della strada. Nessun problema, al momento, per i giornalisti. Ma proprio nella notte, in centro, all'hotel Butrinti, è entrata una banda dei Senzanome. Era un albergo della catena governativa, sono rimasti soltanto i cinque piani di cemento. Alle 11 del mattino, dal tetto, si stanno rubando il ripetitore della Rai. A mezzogiorno i ragazzini escono con i tavoli, le sedie, coperte, cuscini portacenere, fili della luce, i più piccoli si sono fregati le lampadine. Saranda è questa, e quell'omone del prefetto Karalliu, a sera deve convocare al Palazzo del consiglio cittadino i maggiorenti di Saranda. Tema: «Come orga nizzare l'autodifesa della nostra città, soprattutto nella notte?». Nel porto di Saranda sono or meggiate e requisite sette corvet te della Marina albanese, bottino di guerra. Kapsia Cevat, 58 anni, jeans e Ray-Ban, energico colonnello dell'esercito in pensione, ha un bel daffare nel convincere suoi concittadini: «Non sprecate le munizioni!», ripete dall'arsenale che sta sopra il porto. Come avesse detto il contrario, Saranda è uguale ad Argirocastro, Tepelene, Permit e tutto il Sud. Raffica continua. Almeno, qui a Saranda, il Prefetto ha vietato le armi ai minori di 17 anni. Non come ad Argirocastro, dove l'altra sera un gruppetto di Senzanome ha dato fuoco a una caserma senza sapere ch'era piena di esplosivo. Flamur, l'autista che dormiva ad Argirocastro, ha raccontato momenti da terremoto, tutta la città che trema, e due bambini morti. Armi, armi per tutti. Inflazione da armi, tanto che alle dieci, davanti alla fortezza di Argirocastro, la quotazione di una pistola cinese è 4 dollari, e si arriva a 5 con due ca- ricatori. Alle 7 di sera, quando arriva la notizia che Baskim Fino, già sindaco socialista di Argirocastro, sarà il nuovo primo ministro, i maggiorenti si sono appena riuniti. Scende il portavoce del prefetto Karalliu e concede parole di buonsenso: «Lo so bene che ci vogliono nuove elezioni e un nuovo Parlamento, capisco che è un passaggio indispensabile. Però, anche al vostro ministro Dini sta sfuggendo l'aspetto più impor- tante: noi, i cittadini, vogliamo le immediate dimissioni di Berisha. Questa è la prima cosa, la prima condizione. Il nuovo premier viene dopo. Quando la gente vede Berisha in televisione perde il controllo. Neanche noi sappiamo quante ne ha combinate quell'uomo, un bel giorno lo scopriremo. Ma se ne deve andare subito, altrimenti il Sud non lo trattiene più nessuno, non ci riusciremmo neppure noi». Il portavoce saluta e torna con i maggiorenti. Riusciranno a convincere Saranda che il nuovo premier è una loro prima vittoria? Da Kacavia, confine tra Albania e Grecia, i doganieri di Tirana se ne sono andati da una settimana. Ioannina, prima città oltre il confine greco, sta diventando una retrovia. Gli alberghi di Ioannina sono diventati la nuova base per i traffici della mafia albanese, l'altra sera al bar dell'Hotel Alexios trattavano una partita di hashish con trafficanti russi, così, davanti a tutti. Dal confine di Kacavia a Saranda, due ore d'auto, il Sud dell'Albania è terra di nessuno e delle bande dei Senzanome. Le banche le hanno già passate tutte, negozi di elettronica pure. Cominciano problemi seri per alimentari e carburante, la corrente elettrica va e viene come le raffiche di mitra. Il colonnello Cevat sta cercando di organizzare i rifornimenti. Ma sono le troppe armi a preoccupare, e al colonnello non resta che segnare su un quaderno con Paperino in copertina i nomi di chi spara al vento sprecando pallottole. Dovesse arrivare l'ordine di consegnare tutte le armi, e il colonnello Cevat lo sa bene, anche i bravi cittadini di Saranda si comporterebbero come tutti gli albanesi. Dice un vecchio detto di qui che quello che trovi è tuo, quello che comperi anche, e se è roba rubata sono affari del ladro. Da Valona in giù, e anche questo il colonnello lo sa bene, la rivolta e il saccheggio delle armi sono stati spinti dai contrabbandieri della costa, gente che in una notte si guadagnava 20 mila dollari per ogni traversata in motoscafo fino all'Italia. Milioni di dollari finiti nella truffa delle finanziarie, milioni di dollari che la malavita vuole recuperare, e dunque a morte Berisha colpevole di tutti i mali. Ma ogni albanese del Sud ha una sua ragione per odiare Tirana e il Presidente, e ora ogni albanese del Sud ha un'arma e il colonnello sa che non le renderanno. Alle 8 di sera dà gli ordini ai 60 volontari, saranno le Sentinelle della notte contro le Bande dei Senzanome. Giovanni Cerruti Ribelli dopo l'irruzione nella base aerea di Kutsova. Sotto, il dolore del fratellin j di una delle ultime vittime A destra, giovani ammirano il bottino saccheggiato a Berat Ribelli dopo l'irruzione nella base aerea di Kutsova. Sotto, il dolore del fratellin j di una delle ultime vittime A destra, giovani ammirano il bottino saccheggiato a Berat m Sono rimasti soltanto i 5 piani di cemento Chi arrampicato sul tetto smontava il ripetitore Rai, chi usciva con tavoli, sedie cuscini e portacenere I bambini si portavano via le lampadine Il prefetto della città «liberata» organizza una riunione con i notabili per studiare la difesa dagli sciacalli scatenati nella notte Nel porto ci sono sette corvette della Marina «bottino di guerra» La frontiera è sigillata, reparti forniti di visori notturni sono pronti a sparare a vista contro chiunque tenti di passare la linea A Argirocastro una pistola cinese si vende per 4 dollari e il prezzo sale a cinque dollari con due caricatori